Nel suo piccolo capolavoro del 1947, Il cammino dell’uomo, Martin Buber espone una riflessione simile a quella sull’armonia delle differenze e la gestione dei conflitti cara a Papa Francesco in particolare quando scrive che «l’uomo è in grado di unificare la propria anima. L’uomo che ha un’anima molteplice, complicata, contraddittoria non è ridotto all’impotenza: il nucleo più intimo di quest’anima — la forza divina che giace nelle sue profondità — è in grado di agire su di essa e trasformarla, può legare le une alle altre le forze in conflitto e fondere insieme gli elementi che tendono a separarsi, è in grado di unificarla. Questa unificazione deve prodursi prima che l’uomo intraprenda un’opera eccezionale. Solo con un’anima unificata sarà in grado di compierla in modo tale che il risultato sia non un rammendo ma un lavoro d’un sol getto».
L’identità e la stessa esistenza quotidiana dell’uomo contemporaneo sono spesso percepite come il risultato, inevitabilmente deludente, di un rammendo, un mosaico di tante tessere che non si collegano più tra loro, uno specchio in frantumi che non riflette un’immagine ricomposta ma a pezzi. Ciò non vale solo a livello individuale ma anche mondiale: la Pasqua di quest’anno trova il mondo, anche in Occidente, lacerato da una guerra che sembra sull’orlo di esplodere in una follia sempre più vasta. L’ipotesi di una “terza guerra mondiale a pezzi” paventata dal Papa sin dall’inizio del suo pontificato è qui, oggi, davanti agli occhi di tutti e non si può pensare di “rammendare”, c’è bisogno di un processo di unificazione profondo, che parta dalle radici. Il grido che si è alzato dal Colosseo ieri sera durante il rito della Via Crucis ha rappresentato questo scenario lacerato, di un pianeta ridotto a brandelli dai tantissimi conflitti che portano devastazione, migrazione forzata, sfruttamento, violenza e morte. Nella preghiera iniziale si è volutamente dato spazio a tanti «echi di pace che riaffiorano in questa “terza guerra mondiale a pezzi”» e alle «grida che vengono da Paesi e aree oggi dilaniati da violenze, ingiustizie e povertà. Tutti i luoghi dove si patiscono conflitti, odi e persecuzioni sono presenti nella preghiera di questo venerdì santo».
L’immagine del “rammendo” usata da Buber nel suo testo del ’47 è inoltre la stessa di cui ha parlato il Papa nell’omelia della messa crismale la mattina del Giovedì Santo quando, rivolgendosi ai sacerdoti li ha invitati a trasformare la propria esistenza in una vita spirituale «libera e gioiosa» e ciò può avvenire «non quando si salvano le forme e si cuce una toppa, ma quando si lascia allo Spirito l’iniziativa e, abbandonati ai suoi disegni, ci disponiamo a servire dove e come ci viene chiesto: il nostro sacerdozio non cresce per rammendo, ma per traboccamento!». Lasciamo dunque l’iniziativa allo Spirito, facciamo emergere quella “forza divina che giace in profondità”, alle radici del nostro essere uomini e allora la via della unione, dell’armonia e della pace può smettere di essere un miraggio per diventare realmente un sogno.
di Andrea Monda