Tra lacrime e preghiere
di dodici giovani reclusi

 Tra lacrime e preghiere  di dodici giovani reclusi  QUO-082
07 aprile 2023

Una vera lacrima scende sulla lacrima che Usov, quasi 18 anni, russo di origine ma nato e cresciuto a Roma, ha tatuato all’angolo dell’occhio destro. Non si aspettava forse la forza dell’impatto di vedere il Papa chinarsi a lavargli e baciargli il piede. All’inizio scherzava insieme ad un compagno ricciolino, con il collo tatuato, mascherando l’imbarazzo con battute sull’acqua fredda e il piede nudo. Poi però quando il Papa passa avanti dopo avergli stretto la mano, scoppia a piangere. Si fa coraggio dopo che il Pontefice ha finito di lavare i piedi a lui e altri nove ragazzi e due ragazze di etnia Sinti del carcere minorile di Casal del Marmo. «Papa Francesco, scusa, te posso da’ dopo na’ cosa?», gli sussurra all’orecchio, con accento romano. Il Papa annuisce e sorride. Lui gli stringe la mano e la bacia. Alla fine della visita nel penitenziario alle porte di Roma — dove Francesco ha voluto, come nel 2013, celebrare la messa in Cena Domini del Giovedì santo — grazie ad una guardia, il ragazzo riesce a consegnare al Papa due pergamene.

Come Usov si commuovono anche gli altri giovani, tra cui un musulmano del Senegal, sistemati su una tribuna sopraelevata per evitare al Papa la fatica dell’inginocchiamento. Francesco, nemmeno una settimana fa dimesso dall’ospedale, con un grembiule e le maniche arrotolate, si ferma con ognuno dopo aver compiuto il rito della lavanda dei piedi. Stringe le mani, porge l’orecchio per ascoltare le loro parole e battute. Ne fa anche lui di battute, come alla ragazza Sinti a cui dice: «A voi due vi hanno lasciato alla fine?». Il più emozionato è Matteo, ha i tratti mediorientali, la barba nera incolta e, seduto in centro, mentre aspetta il suo turno, si fa tre volte il segno della Croce, inviando baci verso il cielo. È croato ma anche lui da anni risiede a Roma. «Mamma mia, Papa Francesco, io ti voglio bene e prego sempre per te!», esclama avvicinandosi a Jorge Mario Bergoglio, poggiandogli la mano sulla spalla. Per due volte lo ferma ancora, una per assicurare che lui si unisce sempre alle preghiere per la pace in Europa: «Deve finire questa guerra».

Tutti sembra che vogliano dire qualcosa, ma lì per lì non tutti trovano le parole. Come Samuel, 15 anni, il più giovane del gruppo, capelli rasati in basso e sopra un ciuffo decolorato. «E che dovevo dire? Sono felice sì». È a Casal del Marmo da due mesi. Perché? «Ehh, ho quasi ucciso tre persone... J’ho menato!», replica anche lui in romanaccio. Chiede di essere fotografato e taggato su Instagram: «Dai, che poi ricambio il follow». «Da queste parti non se ne vedono mai telefonini, per questo sono attratti», sorride una guardia.

Michele, per due anni e due mesi a Milano, nell’ipm di Casal del Marmo da sei mesi, dà man forte al compagno. Ha 17 anni, gli occhi di un verde acceso, quasi quanto il rosario azzurro che ciondola sulla t-shirt nera. «Ho chiesto al Papa la grazia... La grazia di uscire, non gliela faccio più». È spigliato, si offre di portare la sedia a rotelle sulla quale il Papa fa il suo ingresso nella cappella intitolata al beato Pino Puglisi, il sacerdote siciliano che ha dato la vita per ragazzi come questi, invischiati in crimini piccoli e grandi.

Tutti lì a Casal del Marmo hanno spacciato o rubato o usato violenza e tentato omicidi. La sensazione però nel guardarli, nell’ascoltare i frammenti delle loro storie e l’ingenua fierezza con cui denunciano le cause della loro detenzione, è di grande tenerezza. Una tenerezza che il Papa restituisce loro con un gesto antico e sempre commovente. «Lei disarma con questa immensa dolcezza che ci riporta all’essenziale», dice infatti la direttrice Maria Teresa Iuliano. Anche lei è emozionata, le trema in mano il foglio sul quale si è appuntata le parole da dire al Papa: «La voglio ringraziare a nome di tutti per questa meravigliosa poesia che oggi ci ha regalato».

La direttrice ha accolto il Papa al suo arrivo al carcere minorile, giunto dopo un breve tragitto di 15 minuti da Porta Sant’Anna, dove due nutrite ali di fedeli urlavano e riprendevano il passaggio della 500l coi loro smartphone. Si è rischiato quasi la calca quando in via del Mascherino il Papa ha fatto fermare la macchina per salutare un giovane in sedia a rotelle. Poi l’auto si è diretta verso il Lungotevere, costeggiando le macchine ferme ai semafori, tra turisti che gridavano «Oh my God!» nello scorgere il profilo di Francesco dal finestrino.

Il Papa varca la soglia di quest’isola dentro Roma puntuale alle 16. Iuliano, come detto, è in piedi, sorridente, ad attenderlo fuori dalla cappella. Dentro, appena spenti i motori dell’auto, qualcuno esclama: «È arrivato, shhh!». Vicino c’è il cappellano, don Nicolò Ceccolini, giovanissimo (35 anni), sacerdote da pochi anni. Francesco scherza con lui: «Tu sei il cappellano? Ma hai fatto la prima Comunione?». Don Nicolò celebra la messa, presieduta dal Pontefice che pronuncia una breve omelia, interamente a braccio e incentrata sul gesto di Cristo di lavare i piedi ai discepoli.

Il coro intona canti alla chitarra. La messa finisce e l’iniziale silenzio si trasforma in un boato quando Francesco si dirige verso la porta: «Papa, Papa, W il Papa». Le guardie invitano alla calma, tirano scappellotti affettuosi ai ragazzi più euforici. L’entusiasmo ha tutto il suo sfogo nella tappa successiva, un lungo corridoio di una delle “palazzine”. Prima, però, il Pontefice si ferma in un salone dove riceve due pacchi di pasta: penne rigate e mezze maniche. Sono due prodotti del panificio inaugurato di recente a Casal del Marmo. Lo spunto, spiegano i responsabili, lo ha dato il Papa stesso quando dieci anni fa visitò l’istituto e disse ai ragazzi: «Non lasciatevi rubare la speranza». Da allora sono nati tanti progetti proprio per insegnare un mestiere a questi ragazzi e garantire magari un futuro fuori da queste mura: corsi da barbiere, falegnameria, addirittura un laboratorio per musica rap.

Sempre dal pastificio sono stati realizzati biscotti a forma di croce. Un pacco viene regalato al Papa insieme ad una croce in legno con profili in oro, opera dei giovani della falegnameria. Gli stessi che gridano e intonano cori, mentre Francesco distribuisce rosari ad agenti e operatori e ai ragazzi uova di cioccolato che li sollevano come trofei. Le voci rimbombano nel corridoio dipinto di giallo, qualcuno si inginocchia al passaggio della sedia a rotelle: «Grazie per questa visita». Francesco sorride divertito. Poi si ferma a salutare di nuovo la direttrice e il comandante: «Il nostro motto è ridare la speranza — dice quest’ultimo — lei con il suo grande esempio ha rafforzato la nostra di speranza e così ci aiuta a ridarla a questi ragazzi». «Coraggio, continuate ad andare avanti», è il mandato del Papa. Infine la consueta richiesta, prima di salire in macchina dopo circa due ore, mentre il sole già tramonta dietro gli alberi: «Pregate per me. A favore, eh, no contro!».

di Salvatore Cernuzio