La missione delle suore della Carità nel Gabon piombato in una crisi sociale senza precedenti

La forza delle donne
e la solidarietà tra i poveri

 La forza delle donne e la solidarietà tra i poveri  QUO-079
04 aprile 2023

Il Gabon, nell’Africa centro-occidentale, è uno dei sei paesi del bacino del fiume Congo. Ha un territorio coperto per l’88 per cento da quello che è considerato il polmone verde tra i più estesi del pianeta, tanto che proprio nella capitale Libreville si è tenuto all’inizio di marzo l’One Forest Summit, sotto il patrocinio del presidente francese Emmanuel Macron che ha visitato anche altri quattro stati dell’Africa centro-meridionale. Nel summit, a cui hanno partecipato capi di Stato dall’America latina e dal sud-est asiatico, si è dimostrato che tutela delle foreste e sviluppo economico delle nazioni delle aree interessate non sono contrapposti. A giudicare dalla situazione in cui vive la maggioranza della popolazione, tuttavia, l’impressione è che si fatica a tenere insieme le cose. E quindi è giustificato il timore che le preoccupazioni del Papa espresse nel suo recente viaggio apostolico in Africa non siano ascoltate.

Ne sembra convinta anche suor Paola Neloumta, provinciale delle Suore della carità di Santa Giovanna Antida Thouret: «La forbice tra ricchi e poveri è troppo grande», spiega precisando che a scuola le missionarie cercano di aiutare i giovani facendo capire loro che «bisogna lottare, trovare un’altra soluzione alla povertà, non abbattersi». Suor Paola ritiene che vent’anni fa il Gabon poteva essere ritenuto tra i paesi africani più sviluppati «ma ultimamente c’è stata una crisi molto forte». La popolazione è concentrata sulla costa, dove risiede la minuscola comunità delle suore. La missione qui è nata nel 2001: il primo stanziamento era in una laguna dove nessun’altra congregazione aveva voluto andare, poi il trasferimento a Port-Gentil, dove si gestisce una scuola parrocchiale, si lavora alla Caritas, si insegna in una scuola cattolica.

«Il ritiro dei francesi ha indebolito il Paese», osserva la religiosa: «Non si era preparati ad affrontare il vuoto; ora ci sono cinesi, anche alcuni spagnoli. Ciascuno cerca di prendere ciò che serve a sé, non a guardare alla popolazione locale», lamenta. «Per ora il Gabon non riesce ad andare avanti da solo. La povertà è arrivata in un modo violento. Per me sarebbe necessario avere un Governo che si preoccupa del bene della gente, al di là di ogni corruzione con l’esterno», denuncia. Nelle parole di suor Paola non traspare tanto una forma di nostalgia, quanto una presa d’atto della mancanza di una crescita sociale in parallelo con il venir meno di presidi stranieri. Ci parla dal Ciad, la sua base, «dove la situazione è molto peggiore anche per l’instabilità politica». Ricorda i tragici fatti di ottobre dell’anno scorso con la devastante alluvione e le manifestazioni per la transizione ciadiana represse duramente. È fiduciosa: «Noi pensiamo, nonostante tutto questo male, che Dio non ci abbandona». E sottolinea come «la forza sta nelle donne e nella solidarietà tra i poveri. Per esempio, chi ha perso le case con l’inondazione è stato il primo ad andare in chiesa per far sapere che era disponibile l’ospitalità per gli sfollati».

In Gabon, «la suora che va a scuola lavora anche nella pastorale giovanile. C’è una crisi che distrugge le famiglie, fa venire fuori tanta violenza», spiega la provinciale. «C’è tanto da fare, noi siamo pochi». Dal suo racconto, essenziale ma concreto, viene alla luce anche un fenomeno “nuovo” che preoccupa: «Tanti giovani diventano “matti” e vivono per le strade. È uno shock vedere gente che perde letteralmente la testa. Le suore con i laici cercano di fare qualcosa ma è difficile, sembra sia proprio il segnale che c’è qualcosa che non va nel Paese».

Neloumta riferisce della presenza delle sette che «fanno molta presa soprattutto sui giovani, li seducono». Parla di uno stato di disorientamento che sarebbe alimentato proprio da gruppi che manipolano le coscienze con gravi danni di destabilizzazione sociale. Si tratta di situazioni assai delicate a cui si aggiungono le tracce della tratta che «è rimasta una grande ferita e ha causato anche un odio interno tra chi vive sulla costa e chi vive all’interno». A tal proposito la religiosa spiega che le persone da schiavizzare venivano prelevate dalle zone interne da chi era riuscito a diventare “amico” dei trafficanti di esseri umani.

Il ricordo della presenza del Papa in terre così vicine, come la Repubblica Democratica del Congo, è molto vivo: «Tutta l’Africa, soprattutto quella subsahariana, si è sentita vicina a Francesco — afferma la religiosa — e abbiamo sentito che ci capisce. Ora sappiamo più chiaramente che le nostre risorse ci fanno male, è un paradosso. Quando lui ha detto “Giù le mani dall’Africa”, questa frase ci ha come liberato da qualcuno, come se avesse dato la forza di sollevare la testa. È vero che siamo stati noi ad accoglierlo ma è lui che in realtà ha accolto noi. Vediamo che ha una grande attenzione per la Chiesa in Africa e questo ci fa molto bene. Bisogna continuare a offrire una testimonianza di Cristo qui, noi consacrati, preti e vescovi. Bisogna anche purificarci un po’ e questo ci fa molto bene». L’appello che risuona ancora una volta è a «cercare di conoscere l’Africa, di dire una parola di consolazione», ripete. «I nostri media non dicono tutto — conclude suor Paola — e quando qualcuno racconta di noi vediamo che non siamo da soli».

di Antonella Palermo

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