Quel grido che riecheggia ogni dolore degli uomini

 Quel grido che riecheggia ogni dolore degli uomini   QUO-078
03 aprile 2023

C’è un momento decisivo in cui tutto comincia, in cui noi capiamo carnalmente che cosa mai sia la salvezza di cui gli uomini hanno veramente bisogno, e che razza di novità, di rottura rivoluzionaria ha significato la venuta di Cristo nel mondo. Ce lo ha ridetto, ce lo ha ridato, con la forza di un avvenimento che sfida ogni altra strategia e mette in scacco ogni altro discorso, Papa Francesco nell’omelia della Domenica delle Palme. È stato toccante sentirlo e vederlo parlare; è stato impressionante intercettare la sua struggente certezza, come uno che sta mostrando quello che vede accadere ora, in carne e ossa, davanti a lui. E lo percepisce finanche nella sua stessa carne e nelle sue ossa.

Ma questo vale per tutti, anche per coloro che non riconoscono quella salvezza, anche per coloro che addirittura rifiutano il “Figlio di Dio”. Da quel momento infatti è cambiata, e cambia, la percezione che noi abbiamo di noi stessi, esseri di mancanza, esseri di desiderio, esseri finiti e bisognosi di tutto. E cambia perché possiamo finalmente guardare in faccia con tenerezza, come fosse una possibilità di vita, quello che secondo tutte le apparenze sembrerebbe giocare contro di noi, sembrerebbe contraddire e zittire la vita. Il momento decisivo è quello in cui l’uomo Gesù si sente radicalmente abbandonato dal Padre. Al confine estremo, quasi un attimo prima della disperazione. L’essere umano abbandonato da Dio è chi «vede il cielo chiuso, sperimenta la frontiera amara del vivere, il naufragio dell’esistenza, il crollo di ogni certezza». Ma proprio lì Gesù grida, come tutti gli uomini forse vorrebbero, ma non hanno il fiato, non hanno la voce per poterlo fare. Lui grida «“il perché dei perché”. “Tu, Dio, perché?”».

“Perché mi hai abbandonato” è il momento decisivo della storia intera, è come una luce che non viene semplicemente dal di fuori, da un altrove iperuranio, ma spunta, sgorga dal di dentro della imminente disperazione. Nell’incombere della fine di tutto, «accade l’impensabile»: come cantava poeticamente Thomas S. Eliot, «nella mia fine è il mio principio». Nell’abbandono di Dio, cioè nel fallimento umano di fronte alla morte — «in amori falliti, respinti e traditi; in figli rifiutati e abortiti; in situazioni di ripudio, vedovanza e orfananza; in matrimoni esausti, in esclusioni che privano dei legami sociali, nell’oppressione dell’ingiustizia e nella solitudine della malattia: insomma, nelle più drastiche lacerazioni dei legami» — resta una certezza. Strana certezza, pur nella lontananza, nel non sentire alcuna presenza. Ma la presenza è dentro di Lui — è Suo Padre. Finalmente l’uomo può essere sé stesso e gridare. Nell’ultimo residuo della sua voce rinasce la sua figliolanza.

Tu, Dio — perché? «Il Signore ci salva così, dal di dentro dei nostri “perché”. Da lì dischiude la speranza che non delude». Questo “perché?” mostra che la questione più radicale, il bisogno più urgente in ogni abbandono, di ogni abbandonato, è l’insensatezza, quella fame e sete di un significato per vivere che segna l’arsura degli uomini di questo tempo nichilista.

Questa domanda, questo grido sono un giudizio nuovo rispetto a tutta la cultura pre-cristiana, ma anche a quella post-cristiana, impegnate a difendere come si può le proprie imprese dalla morte, a progettare strategie per rimandare la fine o per elaborare il suo lutto. O anche semplicemente a non pensarci. Ora, invece — dice Papa Francesco — c’è un principio nuovo di giudizio nel mondo e sul mondo, una nuova antropologia e una nuova “cultura”: non siamo fatti per il nulla e il nostro grido ne è come il pegno di speranza. Noi, che «non siamo stati lasciati soli da Dio, prendiamoci cura di chi viene lasciato solo»; noi «discepoli dell’Abbandonato» abbracciamo chi è lasciato indietro a sé stesso.

Il giudizio di Cristo è tutt’uno con la sua condivisione, e il suo abbraccio è il luogo in cui si rivela il suo giudizio sulla storia del mondo, cioè il suo rapporto irriducibile con il mistero del Padre. È davvero una prospettiva inedita, oggi, per noi, dopo più di duemila anni di Cristianesimo: e abbiamo bisogno ancora, come allora, di farne esperienza. Abbiamo bisogno di qualcuno che ce lo testimoni — nella vita della Chiesa — con il suo sguardo, con quel grido che riecheggia ogni dolore, ogni bisogno, ogni attesa degli uomini del nostro tempo. 

di Costantino Esposito