L’altra copertina

Canto alla vita

 Canto alla vita  ODS-009
01 aprile 2023

Raccontava padre Davide Maria Turoldo: «Una volta mia madre disse a mio padre, credendo che io non sentissi: “Eh... Giuàn, è meglio che me ne vada prima io, così ti preparo il posto”. E lui le rispose: “Brava, se tu vai, che cosa faccio io qui da solo…?”. “Ma papà — intervenni — cosa dici? hai avuto nove figli!”. Mi rispose: “Ma voi siete un’altra cosa…”. Se ne sono andati tutti e due quasi insieme». Con tali educatori come si può non vivere la vita come dono, come amore, come rapporto costruttivo, e il domani non vederlo con gioia e con serenità? Capisco, allora, perché dall’animo poetico di padre Davide potesse uscire il canto: «Quando suonerete per me, campane, i rintocchi dell’addio… devono suonare con il suono della festa, con il suono della Pasqua. Perché l’attesa della morte è l’attesa del giorno delle nozze».

Lo aveva ben compreso Edvige — lo ricordo ancora con ammirazione e gioia —, quando la figlia mi ha chiamato perché la mamma desiderava ricevere l’Unzione degli infermi e l’Eucarestia. Sono andato ben volentieri; la conoscevo, una vecchina arzilla, vivace, attenta, disponibile. Quando sono entrato nella camera da letto — mia grande meraviglia — l’ho trovata seduta al centro del letto matrimoniale, come una principessa. La vestaglia rosa, ben pettinata, sembrava uscita allora dal parrucchiere, ben curata nel volto, l’anello al dito, un accenno di rossetto sulle labbra. In un tripudio di gioia ho gridato: «Ma che succede?». «Sta arrivando lo sposo — mi ha risposto — non posso non accoglierlo preparata». Che gioia quel “Viatico”, io lì, con le figlie intorno, nel ringraziamento, fatto insieme, per il dono della vita, nell’attesa di quella piena in Dio. «Non chiamateli morti — diceva padre Turoldo — perché sono vivi, più vivi dei vivi. Sono più presenti di noi. Adesso non possiamo più dire di essere soli... so di parlare sempre con un Risorto dai morti».

Da questo orizzonte nasce il bellissimo e lunghissimo racconto «L’isola felice». «Ho scritto un racconto — parole di Padre Davide — dove ho narrato una strana avventura. C’era un’isola dove gli uomini non morivano mai. Si ammalavano, invecchiavano, ma non morivano. Vivevano quattrocento, cinquecento, settecento anni e non sapevano più che cosa fare, che cosa dire, che cosa dirsi; non si commuovevano, non si preoccupavano, non conoscevano la solidarietà, nel senso della pietà: tanto non si moriva e non c’era più allegria, nessuno godeva più della bellezza di un tramonto, si costruivano monumenti ai vivi… non era l’isola felice. No. C’era solo la noia più spaventosa finché il senso dell’abbandono e della disperazione fece invocare: “Dio, mandaci la morte, la grande morte, la morte salvatrice”; perché la morte entra nell’armonia del mondo. La morte fa parte dell’economia divina». È un dono.

Il grande teologo Cabasilas scriveva: “La morte è l’essere partoriti per entrare nella vita vera, in Dio”. Don Andrea Santoro, ucciso nella chiesa di Trabzon, mentre era in ginocchio nell’ultimo banco con la Bibbia in mano così pregava: «Se le tue mani mi prenderanno, mi lascerò seppellire. Se le tue mani lo vorranno, mi lascerò cadere. Se le tue mani mi afferreranno, mi lascerò marcire dentro questa zolla buia. Quando le tue mani mi sfioreranno, so che la zolla fiorirà con me». Buona Pasqua.

del cardinale Enrico Feroci