Storie di risurrezione Nel laboratorio di ostie del carcere di San Vittore a Milano

Anche dietro le sbarre si può tornare a sognare

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01 aprile 2023

Il mio nome è Shalom, come pace. Come la pace che ho ritrovato in questo laboratorio di ostie. Una pace che desidero, ma che non ho mai avuto e il cui pensiero non mi lascia da quando sono lontana da mio figlio e dall’amore per lui.

Sono arrivata in Italia quindici anni fa dall’Eritrea. Scappata con lo sconforto di chi sa di lasciare a casa gli affetti più cari, la propria terra, i colori delle proprie tradizioni. Ho attraversato il deserto e sono salita su uno di quei barconi che da un momento all’altro sembrano incamerare acqua e abbandonarti al largo. Il mare fa paura quando diventa nero, quando si agita e ti sballotta con una forza che non si può contrastare. Ho rischiato di perdere tutto, ma era troppo più grande la speranza di raggiungere una meta sicura e ricominciare una nuova vita. La mia storia da immigrata ha un finale triste e non potrà essere diversamente fino a quando non avrò scontato la mia pena e riabbracciato mio figlio.

Ho fatto la badante, avevo un compagno italiano e aspettavo una bambina, che ho perso al settimo mese di gravidanza. La figlia che portavo nel grembo e che sentivo in ogni battito, andandosene, si è portata via anche una parte di me. E alla sofferenza già vissuta, si è sommato un dolore che non avevo messo in conto. La perdita di un figlio non può essere spiegata: mi mancava il conforto e la consolazione. Il mio compagno era partito per Londra alla ricerca di un nuovo lavoro e una cara amica di Savona si prese cura di me. I pochi giorni a Savona diventarono settimane. In quel periodo, un amico eritreo mi chiese di poter essere ospitato nella mia casa di Milano con altri connazionali. Non sapevo nulla della loro vita, in che modo fossero arrivati in Italia, né se fossero immigrati regolari o irregolari. Non ero nemmeno lucida per poter fare tante domande. Avevo risposto di sì ad una richiesta di aiuto, con spirito fraterno.

Tornata a Milano chiesi a tutte quelle persone, ancora ospiti a casa mia, di trovare una nuova sistemazione, perché avrei ricominciato a lavorare e il mio compagno sarebbe tornato da Londra. Pochi mesi dopo rimasi nuovamente incinta e nel 2016 è nato il mio bambino. Diventare madre ha trasformato me e ha risposto alle domande sul senso del vivere.

Sono stata arrestata a luglio 2021 e condannata a tre anni di reclusione per aver ospitato illegalmente immigrati irregolari.

Quando ti tolgono tutto senza possibilità di replica, senza
essere creduti, macchiando quel poco di dignità che hai conquistato, puoi ancora sperare? Volevo provare a vedere oltre le sbarre la mia vita futura, ma vedevo solo un buio fitto. Ho iniziato a pregare. Ho incontrato Grecia, una detenuta della cella accanto e abbiamo iniziato a pregare insieme. Poi la direzione del carcere ha accettato la nostra richiesta di lavorare per il laboratorio di ostie. Lì abbiamo incontrato Arnoldo Mosca Mondadori, presidente della Fondazione Casa delle Arti e dello Spirito, che ha creato — all’interno delle carceri — dei laboratori per la produzione di ostie, che vengono donate ogni settimana a decine di chiese e istituti religiosi in tutta Italia e da quell’incontro è cambiato tutto.

La Fondazione ha seguito la nostra formazione nel laboratorio e ci aiuta a pensare al futuro appena fuori da qui. Le ostie… il pane della speranza… Ho pensato che il Signore volesse tenermi qui a lavorare per lui, offrendomi la possibilità di ritrovare il mio vero volto, di madre e di donna; di risorgere e, in questa resurrezione, ritrovare la speranza perduta.

Anche Grecia si addolora per la sua vita. Lei è nata in Perù e ha raggiunto sua madre in Italia circa vent’anni fa, completata la scuola superiore. Voleva finalmente poterla riabbracciare. Le cose andavano bene, aveva trovato un lavoro come operatore sociosanitario e un fidanzato gentile e premuroso. Questo apparente senso di protezione del suo fidanzato si trasformò dapprima in manipolazione — per cui sottrarre qualcosa ad altri non era cosa ingiusta e non avrebbe prodotto conseguenze — e subito dopo in coercizione, tale da costringerla a commettere vari furti.

Grecia ha vissuto con la paura che quest’uomo potesse farle del male se non avesse rubato. Da un lato la violenza psicologica e dall’altro l’incoscienza assoluta delle conseguenze, della pena e della reclusione. Fuggita grazie anche a sua madre da questa trappola, si lasciava una parte del passato alle spalle e cominciava a lavorare per una casa di riposo. Nonostante, però, fossero passati tre anni, il peggio non era sfuggito. La vigilia di Natale del 2021 fu il suo ultimo giorno di libertà. Grecia lo sapeva che, prima o dopo, sarebbe arrivato il momento di assumersi la responsabilità delle sue azioni.

Condannata a cinque anni di reclusione per furto aggravato, è stata portata qui a San Vittore.

Insieme, nella fede e con la preghiera, abbiamo iniziato un percorso di rinascita. Lavoriamo in laboratorio tutto il giorno: al mattino dalle 9 alle 12, poi facciamo una pausa e riprendiamo alle 14.30 fino alle 17. Riusciamo a preparare 2000 ostie piccole e circa 80 grandi al giorno e, mentre lavoriamo, immaginiamo anche tutte quelle persone a cui questo pane verrà donato. Non siamo libere, ma con quel minimo di libertà che il carcere ci consente, possiamo sognare ancora, far volare i nostri pensieri, imparare un lavoro che significa tantissimo per noi, ma anche per il prossimo; perché in questa catena di produzione di ostie ci siamo noi (le mani), chi le consegna fuori da qui (le gambe) e chi le riceve (l’abbraccio). Ci piace tanto pensare a questa evoluzione delle nostre azioni che profumano di amore. Grazie ad Arnoldo e alla Fondazione, questo lavoro è diventata la nostra possibilità di riscatto, ci ha aperte al confronto e alla riflessione sugli errori commessi e sulle nostre fragilità, su quanto è sacra la vita e la libertà.

A Grecia manca la sua famiglia, a me manca mio figlio, che mi chiede continuamente dove sono e quando tornerò a casa. Spero sempre di trovare le parole giuste per rispondergli e prego Dio di poterlo riabbracciare prima possibile.

(Storia raccolta da
Rossana Ruggiero)