A scuola di Burkhard

 A scuola  di Burkhard  ODS-009
01 aprile 2023

Burkhard aveva circa 50 anni quando è giunto a Roma. È arrivato in treno dalla Germania quando aveva ancora un po’ di soldi. Finiti i soldi, è rimasto qui, ed è stata forse la rottura più radicale nella vita di Burkhard. Lui, che in Germania aveva lavorato come idraulico, ora era un senzatetto in un paese di cui non conosceva la lingua (e non l’avrebbe mai imparata, perché — diciamocelo — non sono molti quelli che conversano con i senzatetto, e ancor di meno se stranieri).

Per dieci anni Burkhard ha vissuto in via delle Fornaci, a pochi passi da San Pietro. Dieci anni — fino all’arrivo del covid, all’atto disperato di Burkhard, la sua incarcerazione, il suo rilascio, la sua morte.

Ma non corriamo. Il tempo romano di Burkhard è stato lento. Non aveva nulla, ma aveva tempo.

«Cerca di fare di uno di loro un amico o un protetto, e allora avrai un maestro che ti aiuterà a capire il loro mondo»: così ci consiglia il gesuita austriaco Georg Sporschill, che si occupa di bambini di strada nell’Europa dell’Est. Credo che Burkhard sia stato il mio maestro in questo senso. Allo stesso tempo, era per me una specie di trovatello. Mi ero appena trasferita con la famiglia in questo quartiere di Roma e ogni tanto, quando portavo mia figlia all’asilo o uscivo con lei, vedevo quest’uomo la cui teutonicità era in qualche modo evidente: la barba bionda, gli occhi chiari, l’andatura spigolosa e persino lo zaino. A un certo punto mi sono avvicinata e, da quel momento, Burkhard ha fatto parte della nostra vita quotidiana. Se avevo tempo, mi fermavo qualche minuto a chiacchierare, a volte gli offrivo caffè e cornetto. Quando ero da sola, mi chiedeva di mia figlia che vedeva crescere in quegli anni. Eravamo praticamente vicini di casa. Si può dire così, anche se lui la casa non ce l’aveva?

Burkhard dormiva sopra la ventilazione di un hotel. L’istituto non faceva per lui, preferiva starsene per conto proprio. Era in perenne movimento. Le sue mani erano calde anche in inverno, me ne accorgevo quando gli davo dei soldi. Le mie invece erano sempre fredde. Ci scherzavamo su. La sera pregavamo per lui, mia figlia e io. E ci siamo interrogate su di lui. All’improvviso ci sono sorte delle domande. Su ciò che conta e su ciò di cui si ha veramente bisogno. Ecco la scuola di Burkhard.

Nel frattempo era arrivato il covid. I ricchi, come me, erano rimasti a casa e hanno lavorato da lì, mentre i vicini senzatetto si disperavano. Burkhard, in ogni caso. Poiché non lo vedevo in giro da tempo, chiesi di lui. Chiesi — e so essere insistente — ai cappellani, alla Comunità di Sant’Egidio e ai carabinieri, senza esito. Solo per caso ho scoperto che non era in Germania, come speravo, ma nel carcere di Regina Coeli. Un giorno di maggio del 2020, in lockdown, aveva minacciato con un coltello un passante che si rifiutava di dargli l’elemosina. Tre anni di carcere.

Abbiamo pregato di più per lui. Mandavo anche dei soldi in prigione, per la birra e le sigarette, ma funzionava solo le prime volte, poi i vaglia postali tornavano indietro, era come una iattura.

Poi accadde qualcosa di straordinario: scoprii che Burkhard aveva una serie di altri “allievi”: c’era il sacerdote tedesco che andò a trovarlo in prigione (cosa che non mi fu permesso di fare, perché non ero una parente); c’era quell’altro che mi diede del denaro per lui; un’amica, che lo conosceva voleva aiutarlo legalmente; il suo difensore d’ufficio ha fatto per lui più del dovuto. Sono stata felice di vedere tante persone che hanno chiesto di lui o voluto fare qualcosa per lui. Mai avrei pensato che la sua “cerchia di allievi” fosse così ampia.

Finalmente, dopo due anni e mezzo, ho saputo che Burkhard stava per uscire dal carcere, e che lo aspettava l’espulsione immediata. «Non lo rivedremo più», dissi a mia figlia, «peccato, mi sarebbe piaciuto salutarlo». Ma qualche giorno dopo, come se nulla fosse, Burkhard era seduto sulla strada sotto casa nostra! Gioia e domande. Lui non ha capito bene la questione dell’espulsione. Ma era d’accordo: basta Roma, voleva tornare a casa.

Al consolato dell’ambasciata tedesca c’era una funzionaria molto comprensiva. Inviò un modulo e si rese disponibile a riceverci anche fuori orario. Burkhard Scheffler finalmente poteva tornare a casa. Il modulo era pronto nella mia borsa, quando il giorno dopo lessi che non ne aveva più bisogno. Era già a casa.

Papa Francesco ha ricordato Burkhard all’Angelus della domenica successiva, onorando la sua memoria. Burkhard è morto per strada il 25 novembre scorso, non essendo più abituato alle notti ghiacciate dopo due anni di carcere. Le sue mani, sempre calde, sono diventate fredde. Tanto di quello che abbiamo cercato di fare per aiutarlo è fallito. Ho dato veramente più di qualche briciola a quest’uomo a fianco alla mia porta? Per noi della “scuola di Burkhard”, le domande non si fermano. Anche se crediamo che ogni tentativo, per quanto fallito, viene completato alla fine.

Burkhard Scheffler (1.5.1961-25.11.2022) troverà la sua ultima dimora terrena nel Camposanto Teutonico, in Vaticano. In tanti hanno fatto donazioni per il funerale.

di Gudrun Sailer

Gudrun Sailer