IlReportage
Nel cuore antico di Roma la domenica è possibile ascoltare la predicazione di una suora. Accade al termine della Messa delle dieci dentro una chiesa settecentesca minuscola e raccolta che porta il nome di Madonna del Divino Amore in Campo Marzio, dalla quale uscendo è possibile scorgere la celebre scalinata di Trinità dei Monti.
In questo luogo che pare sottratto al tempo, il rettore, al termine della liturgia benedice i fedeli e come fosse uno di loro siede nei banchi, in ascolto. Per suor Maria Giuseppina Di Salvatore è il momento di entrare nello spazio dell’altare e illustrare una delle icone scelta tra quelle che ha creato e che conserva nell’alloggio ricavato all’interno del campanile. Sono pannelli iconografici che hanno il potere di calamitare immediatamente l’occhio e lo spirito e, come tutte le icone, non portano soltanto bellezza bensì servono per pregare.
Oggi la religiosa ha scelto il ritratto di un Cristo a figura intera inondato di luce dorata e inserito in uno spazio celeste. L’oro delle icone, spiega suor Giuseppina a suo agio accanto all’immagine, è la gratitudine che noi sentiamo per il dono della vita eterna, per la nuova Toràh che Cristo ha portato sulla terra. Quelle dieci luci che lo circondano sono i dieci comandamenti rinnovati, mentre i sandali ai piedi significano la velocità dei missionari che sono sempre pronti a partire per portare la buona novella. E quell’arcobaleno sul quale è seduto invece è l’alleanza di Dio con gli uomini e le donne. La predicazione di suor Giuseppina è sempre un’esplorazione visuale e teologica del passo del Vangelo letto durante la Messa e commentato nell’omelia. Oggi è il Vangelo secondo Matteo: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano… Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Lei cita santa Teresa D’Avila: «Ci mancano le parole per descrivere il mistero dell’amore di Dio». Dove mancano le parole, arriva l’oro ed è lasciato ai simboli lo svelamento del mistero.
La predicazione dura una manciata di minuti. Una religiosa che aggiunge una propria riflessione alla parola di Dio è un arricchimento voluto dallo stesso don Federico Corrubolo, rettore della chiesa, che per primo ha ammirato la capacità della religiosa di “scrivere” – e non dipingere – i pannelli iconografici. «È strano vedere un sacerdote rivestito dei paramenti che mi ascolta», dice suor Giuseppina riferendosi a don Simone Caleffi che ha sostituito per questa domenica don Federico, «eppure io sento una pasta che lievita, laici e presbiteri insieme senza cancelli né recinti; e la parola alle donne non è forse quello che auspica papa Francesco?».
Non è uno stravolgimento della liturgia. La riflessione iconografica di suor Giuseppina avviene dopo la messa e serve per accendere una maggiore comprensione del mistero appena celebrato. In Occidente le icone, scomparse per buona parte del Novecento, sono tornate in auge negli anni Ottanta con la stessa funzione di un tempo, e cioè fornire ai fedeli una spiegazione delle Sacre Scritture. «Che lo faccia una donna non cambia poi molto», spiega la religiosa più tardi all’ora di pranzo mentre prepara un risotto nella sua cucina spartana, bianca come il latte. Per spiegare meglio utilizza una similitudine con il ricamo: «Che io utilizzi il punto croce oppure un punto piatto per ricamare una rosa non è importante; il mio obiettivo non è forse ricamare una rosa? In un modo o nell’altro, ricamare la rosa dell’amore di Dio è quello che conta».
Suor Maria Giuseppina Di Salvatore è nata a Bergamo. Aveva diciannove anni quando, visitando il Santuario della Madonna del Divino Amore a pochi chilometri da Roma, riconobbe i segni della vocazione. Dopo anni nell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, nel 2010 è arrivata in questa casa delle Figlie della Madonna del Divino Amore nel centro storico della Capitale, detta anche ufficio, poiché proprio al suo interno don Umberto Terenzi ricavò lo spazio per il suo studio prima di fondare nel 1942 la Congregazione delle Figlie della Madonna del Divino Amore che oggi conta a Roma sette case e nel mondo 150 religiose. Lo studiolo di don Terenzi è intatto e suggestivo nella cantorìa dove oltre al piccolo organo è ancora al suo posto la scrivania, l’inginocchiatoio che lui utilizzava e la sua lampada semplice di colore verde. Osservando l’altare e specialmente il quadro che rappresenta la Vergine con il Bambino, sopra il tabernacolo, don Terenzi scrisse e dettò molti appunti, meditazioni, pensieri spirituali.
All’inizio, spaesata, suor Giuseppina esaminava con stupore questa nuova vita silenziosa tutta compresa in una chiesa grande come una stanza e un campanile romanico con una scala stretta che conduce a stanze senza finestre. L’amore per le icone era nato molto tempo prima, in maniera del tutto casuale grazie a un libro di carta pregiata, ora aperto sul tavolo di lavoro fra i colori e gli strumenti per i pannelli iconografici.
Le icone hanno un linguaggio particolarissimo del quale bisogna studiare e maneggiare i simboli senza cadere nell’errore di considerarle normali immagini sacre come gli affreschi di Giotto. «Dietro le icone vi sono ragioni teologiche e scritturistiche», spiega suor Giuseppina quando al termine della sua predicazione saliamo al piano superiore dove ai muri sono esposte le sue opere. La prima, ricorda ancora, è stata spedita a una piccola chiesa del Pakistan. Sul retro un acronimo che sostituisce la sua firma, poiché tradizionalmente gli iconografi non firmano mai quello che producono. Suor Giuseppina racconta che prima di entrare nel mondo delle icone trovava queste immagini a volte eccessivamente scarne e dure. Poi ha compreso: «Nelle icone non c’è profondità né prospettiva, solo luce, poiché Dio non produce ombre: sono preghiere fatte col colore». Come la vocazione, la passione per questa arte ha trafitto le sue giornate: «Come dice Isaia, ho sentito che Dio ha appuntito la sua freccia e l’ha riposta nella sua faretra grazie a un progetto di silenzio, colori e Vangelo». Nella stanza con cucina dove non entra mai un raggio di sole, la luce vera arriva prima nel cuore e poi nelle mani di suor Giuseppina. Quando scrive un’icona ripete un rito identico da secoli: il pannello è composto sempre da strati di gesso, colla e tela. I colori sono otto, compreso le foglie d’oro. Elementi materici che vanno dal visibile all’invisibile, dal materiale allo spirituale.
Un tema ricorrente, oltre all’Annunciazione, è la Madonna del Divino Amore. Eccola appesa sopra lo scrittoio, una Vergine che tiene in braccio Gesù Bambino e ovunque drappi bianchi che richiamano passi dell’Antico e del Nuovo Testamento tra i quali il Vangelo di Giovanni ( «Il Verbo si fece carne e mise le sue tende in mezzo a noi»), la tenda dove Mosé trovava la preghiera durante l’Esodo e il «santuario aperto del cielo» citato nell’Apocalisse. La Madonna in questa icona ha il velo blu della maternità divina e l’abito rosso che simboleggia la sua appartenenza all’umano, e dunque anche il drappo di Gesù è della stessa tonalità a simboleggiare un Dio che si è fatto uomo. Ovunque nelle icone di suor Giuseppina ricorrono edifici di colore verde, che era tradizionalmente il colore della purezza prima che lo diventasse il bianco e dunque verde è il telo che raccoglie le spoglie della Vergine quando muore e viene accolta dal figlio Gesù.
La stanza che raccoglie le icone è la stessa dalla quale il giovedì sera suor Giuseppina tiene lezioni online di teologia mariana iniziate dieci anni fa, quando svolgeva la formazione ai seminaristi. Questa missione è parte integrante del suo quarto voto di amore a Maria che la spinge a «far conoscere ed amare la santa Madre di Dio, costi quel che costi», come voleva il suo fondatore.
«Faccio molte cose, è vero», sorride, mostrando il volume dove è narrata la vita della sua santa ispiratrice, Ildegarda di Bingen, dottore della Chiesa dal 2012, monaca e mistica dell’ xi secolo e donna eclettica poiché fu anche naturalista, appassionata di botanica e medicina, filosofa, cosmologa e linguista. E tra le pagine di Ildegarda esistono riferimenti anche alla cucina alla quale suor Giuseppina dedica tempo e intelletto: «Quando una donna cucina è il prolungamento della liturgia, è un servizio d’amore», dice accendendo il fuoco sotto le polpette di carne al sugo di pomodoro e preparando lo zafferano da aggiungere al riso. Durante la settimana la tavola stretta di linoleum è occupata dalle due suore che vivono nella casa, mentre la domenica si aggiunge un piatto per don Federico.
Quando il parroco si congeda, per suor Giuseppina è il momento perfetto per ricominciare a scrivere le sue icone. Suor Alice torna nella sua stanza, la chiesetta è chiusa, e nel campanile diventato dimora risplende un silenzio raro. La religiosa prende i suoi pennelli, indossa la visiera che amplifica la visione dei dettagli, e nel vuoto apparente comincia a creare: «Perché il silenzio è il motore che genera e soltanto chi ama riesce a creare».
di Laura Eduati
#sistersproject