DONNE CHIESA MONDO

Vent’anni fa nasceva il Cti: fu così che le teologie femminili/femministe entrarono nel dibattito teologico in Italia

La scommessa delle teologhe

 La scommessa delle teologhe  DCM-004
01 aprile 2023

Un fumetto si alza sulla folla di vescovi e cardinali diligentemente seduti dinanzi al Papa: «Ça manque de femmes». Fulminante ed efficace, più di decine di relazioni, la vignetta di Plantu - pubblicata su Le Monde il 23 novembre 1985, in occasione del Sinodo straordinario dei vescovi sul Vaticano ii – è diventata una specie di manifesto del Coordinamento delle teologhe italiane, il Cti. Che compie 20 anni.

E' il 26 giugno del 2003 quando otto donne – Cettina Militello, Stella Morra, Renata Natili, Marinella Perroni, Maria-Luisa Rigato e Manuela Terribile, da Roma; Serena Noceti da Firenze; Adriana Valerio da Napoli, stappano una bottiglia di spumante sotto lo studio di un notaio, nel quartiere Prati di Roma. Sono le pioniere della teologia delle donne in Italia, come Letizia Tomassone, Nadia Toschi e Cristina Simonelli, che quel giorno non erano a Roma, ma avevano lavorato insieme a loro al progetto. In quel momento, l’intuizione di Marinella Perroni, biblista – una raccordo che permettesse alle donne di dare un punto di vista diverso alla teologia, interdisciplinare, plurale, femminile – diventa realtà. «Avevamo fatto già alcuni tentativi preliminari e io ero anche andata dal cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, per capire come rapportarci con la Cei, la Conferenza episcopale italiana. Volle sapere perché pensavamo di aggiungere un’altra realtà a quelle già esistenti, - Entia non sunt multiplicanda! - gli spiegai la nostra prospettiva. E andammo avanti». Agli inizi, ricorda Perroni, il Cti fu accolto da qualche perplessità, ilarità, accuse di separatismo. «Ben presto anche i colleghi hanno capito e apprezzato il nostro lavoro. Il rapporto con la Cei è sempre stato ottimo». Perroni, che è membro del Comitato di direzione di questo giornale, è stata la prima presidente del Cti, seguita da Cristina Simonelli (2013-2021) e oggi da Lucia Vantini.

Il Cti non segnò un inizio, ma nacque «per registrare la maturità di un pensiero - le teologie femminili/femministe - e la necessità del loro ingresso nel dibattito teologico italiano», aggiunge Perroni. Un pensiero che poggia sulla riscoperta della soggettualità femminile nella Bibbia, con un percorso che ha i suoi albori nella pubblicazione della Woman’s Bible nel 1885 e approda nel 1993 al documento della Pontificia commissione biblica sull’Interpretazione della Bibbia nella Chiesa. Insomma, ci è voluto un secolo perché «la Chiesa cattolica, tra qualche dubbio e, soprattutto, tante paure, legittimasse come possibilità interpretativa delle Scritture cristiane ecclesialmente valida anche l’esegesi femminista», conclude Perroni.

Oggi il Cti conta circa duecento socie, iscritte per i titoli accademici. Ed è interessante guardare all’anniversario del Coordinamento con la prospettiva di chi vi ha aderito negli anni più recenti, come Alice Bianchi, 29 anni, dottoranda in Teologia fondamentale alla Gregoriana. «Ho conosciuto il Cti al mio primo anno di teologia, e ho studiato altri sette anni quasi sempre circondata da uomini e spesso preti. Per me far parte del Cti ha significato fin da subito non sentirmi sola, e credo che sia il primo sollievo per una giovane studente, specie se laica: sapere che qualcuno ha fatto la strada prima di te, spesso con più ostacoli di quelli che hai tu, e che ora è disponibile a dirti cos’è cambiato, perché, e cosa può ancora cambiare. Intravedi che c’è un’alternativa a un metodo di lavoro individualista, secondo cui in accademia chi fa da sé fa per tre. Le persone del Coordinamento mi hanno mostrato che si può fare teologia in comune, che chi fa teologia non può tralasciare le differenze. Che le storie contano molto, e che la passione ecclesiale non è generica, ha nomi e volti ben precisi».

Per la giovane teologa di Brescia, dunque, l’originalità del Coordinamento è nel fatto di non essere «un’associazione con un programma a cui aderire, ma uno spazio di dialogo aperto, un laboratorio di idee anche molto distanti tra loro e che quindi tendono sempre ad allargare il confronto. Proprio per questo è un luogo intergenerazionale, ecumenico e transdisciplinare… Ed è un’associazione che non fa fatica a fare rete con altre realtà perché il metodo di cooperazione tra differenze che usa al suo interno diventa uno stile anche nelle relazioni esterne».

Il Cti, secondo la definizione ufficiale, riunisce teologhe delle diverse tradizioni cristiane che hanno conseguito un dottorato o una licenza in scienze teologiche e docenti delle Facoltà di teologia, delle scuole di Teologia dei Seminari, delle Congregazioni religiose e degli Istituti superiori di scienze religiose. E si propone di valorizzare e promuovere gli studi di genere in ambito teologico, biblico, patristico, storico, in prospettiva ecumenica.

Rispetto ad altre realtà “sorelle” internazionali, quella italiana ha una sua specificità. «In alcuni Paesi, come Austria e Germania, le facoltà teologiche sono di stato, e quindi l’insegnamento della teologia non ha un legame stretto con il Vaticano, come accade in Italia. All’estero c’è una libertà maggiore di ricerca e nel parlare di alcuni temi che sono ancora scottanti, ma c’è anche una distanza dalle diocesi, dalla dimensione pastorale, dalla vita di parrocchie. Sono mondi diversi», commenta Adriana Valerio, socia fondatrice , presidente per un mandato dell'Associazione femminile europea per la ricerca teologica, curatrice di La Bibbia e le Donne. Collana di Esegesi, Cultura e Storia (Il pozzo di Giacobbe). «Il Cti ha una sua autonomia, è nato proprio per dare forza a questi studi, si è dato strutture autonome che sono riuscite a mettere in campo non solo seminari e convegni ma anche quattro collane di testi, dove si cerca di fare emergere gli studi che le donne stanno facendo in Italia, nei vari campi. Nella collana Exousia, pubblicata con la editrice San Paolo, un teologo e una teologa riflettono insieme, provando a elaborare un’alternativa non solo a come viene formulate la teologia ma anche la vita di Chiesa», conclude Valerio.

Una teologia, quella prodotta dal Cti, che ha una sua specificità: «È una teologia di genere», dice la presidente, la teologa Lucia Vantini. Questo significa «che partiamo dalla consapevolezza che non esiste un discorso neutro su Dio: ogni nostra esperienza – compresa quella teologica – è segnata dalla differenza sessuale e dalla trama di differenze che con questa si intrecciano. In questa cornice il Cti tenta di dissotterrare il frutto culturale e spirituale delle donne coinvolte in vario modo nella storia del Vangelo, per generare una nuova e giusta alleanza tra i sessi. Essendo inoltre ecumenico, il Cti vive anche degli stimoli delle teologhe che appartengono ad altre confessioni cristiane».

Per don Riccardo Battocchio, presidente dell’Ati (Associazione teologica italiana), la specificità e l'originalità del Cti nel panorama teologico-culturale italiano sta nel «permettere a molte donne di far conoscere il loro lavoro e incoraggiare altre a impegnarsi in un settore decisivo tanto per la qualità della vita e della missione della Chiesa, delle Chiese, quanto per la promozione di una cultura civile dagli ampi orizzonti». Battocchio sottolinea in particolar modo «l’impostazione inter- e trans-disciplinare, la capacità di collaborare con altri soggetti e con le altre associazioni, collegate tramite il Coordinamento delle associazioni teologiche italiane (Cati)».

Ma il contributo più importante del Cti è stato nell’aiutare la declericalizzazione della teologia in Italia. «Il Cti ha risposto con efficacia a una necessità di cui la Chiesa, in Italia, ha preso coscienza progressivamente, lentamente e faticosamente, a partire dagli anni Sessanta: superare l’idea che l’impegno teologico, dentro e fuori le istituzioni accademiche, sia riservato al clero, religioso o secolare». La presa di parola da parte delle donne in ambito teologico, aggiunge Battocchio, è significativa «non solo per una questione di genere, come possibilità per le donne di accedere a luoghi per troppo tempo esclusivamente maschili, ma anche per il contributo che essa offre al processo di declericalizzazione della teologia». Concorda monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Ionio, che ha invitato spesso nella sua diocesi alcune teologhe italiane: «Devo dire che è stata sempre un’esperienza molto proficua per la mia Chiesa e per me personalmente. Ciascuna di loro ci ha aperto prospettive nuove di elaborazione teologica. Per competenza ma anche per originalità di approccio. Non è facile trovare oggi coniugate insieme profondità storica e lungimiranza teologica con indicazioni anche attinenti le scelte pastorali». In particolare Savino sottolinea che «la laicità della teologia è un requisito indispensabile per entrare in dialogo con tutti e perché il dialogo sia in grado di generare appartenenza ecclesiale, visto che le nostre Chiese locali sono composte in maggioranza da laici». La laicità delle teologhe, aggiunge, non dipende solo dal fatto «che non appartengono alla gerarchia ecclesiastica, ma che hanno sviluppato un pensiero teologico libero da mire apologetiche, aperto al pensiero critico e di ampio respiro».

Guardando al cammino di questi venti anni, secondo il presule, tre sono state le acquisizioni più interessanti: «La competenza e la ricerca seria e impegnata nell’ambito delle varie discipline teologiche; l’apertura alla teologia femminista più avanzata nelle confessioni cristiane riformate, un modo, per promuovere una collaborazione anche ecclesiale ecumenica; il dialogo con il mondo intellettuale laico sui temi antropologici, biblici, etici, politici, ecclesiologici».

Per quanto riguarda il contributo del Cti al cammino della Chiesa italiana, Vantini sottolinea l’importanza di alcune teologhe storiche, e, restando al «registro della squadra», indica i vari fronti su cui il Cti si spende: nella discussione sulla riforma della Chiesa nel contesto del Cati ha prodotto il testo Per una Chiesa povera, dialogica, umile; ha preso parte alla Rete Sinodale collaborando al documento Ma lei gli replicò; è coinvolto nella Piccola Scuola di sinodalità di Bologna e per il sinodo di Napoli si può leggere il documento Donne al servizio del Vangelo per la promozione a Napoli di una Chiesa inclusiva. Su questa scia don Battocchio vedrebbe come opportuno, per il futuro, «il proseguimento della collaborazione con altre associazioni e istituzioni per ripensare assieme alcuni temi teologici fondamentali - la creazione, il male, il linguaggio con cui parliamo di Dio, il senso della testimonianza biblica, la natura e il fine della Chiesa, i sacramenti, i ministeri ...- in prospettiva trans-disciplinare ed ecumenica».

Il 15 aprile si terrà a Roma il seminario annuale del Cti, dal titolo “Verso una teologia pubblica. Storie, conflitti, visioni”. Un tema che guarda alle origini. «Il Cti è nato perché c’era una parola pubblica, una parola del bene comune, che spettava alle donne teologhe, proprio a loro e solo a loro», dice Bianchi, che fa parte del Consiglio di presidenza.

Quanto al futuro l’augurio di monsignor Savino è diretto: «Mi aspetto che non cedano alla banalità. Le persone si portano dentro domande e desiderano che i teologi siano in grado di intercettarle e di discuterle. Questo è il compito di una teologia non clericale e questo, spero, che le teologhe italiane siano sempre in grado di proporre alle comunità ecclesiali».

di Vittoria Prisciandaro
Giornalista Periodici San Paolo «Credere» e «Jesus»