Il dolore, la disperazione, la preghiera. Il dramma di Ciudad Juárez, con la morte di una quarantina di migranti per un rogo all’interno di un centro di raccolta a pochi passi dalla frontiera con il Texas, è racchiuso nella commozione di altri migranti: quelli che hanno manifestato ieri a Città del Messico, davanti al ministero dell’Interno, esponendo striscioni con i nomi delle vittime accompagnati dalle candele accese e invocando giustizia per quanto accaduto, e quelli che continuano a tentare la traversata a piedi del confine con gli Stati Uniti.
Dopo l’incendio, hanno fatto sapere le autorità di El Paso, «più di 1.000 migranti» da Ciudad Juárez hanno cercato di varcare la linea di demarcazione ma sono stati bloccati dalle guardie di frontiera statunitensi, mentre il consolato di Washington nella località messicana ha smentito alcune voci su una presunta apertura del confine per motivi umanitari a seguito della tragedia.
Al di qua del Rio Grande, o Río Bravo secondo la denominazione messicana, rimangono i volti e le storie di chi, da Guatemala, Honduras, El Salvador, Venezuela, Haiti, non ha perso la speranza di un futuro diverso, distante di fatto solo pochi passi.