Il futuro della politica nell’attuale scenario internazionale
Intervento dell’arcivescovo Gallagher in un seminario alla Pontificia Università Gregoriana

Democrazia e cristianesimo:
l’insegnamento dei Papi

 Democrazia e cristianesimo: l’insegnamento dei Papi  QUO-073
28 marzo 2023

Pubblichiamo stralci dall’intervento dell’arcivescovo Paul R. Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali, sul tema “La democrazia secondo la saggezza dei Papi nell’attuale scenario internazionale”. L’intervento ha avuto luogo lunedì 27 marzo 2023 nell’ambito del seminario “Democrazia per il bene comune: Quale democrazia vogliamo costruire?” tenutosi presso la Pontificia Università Gregoriana.

La democrazia è veramente possibile? La risposta è senz’altro sì. Ma è un sì che presuppone una corale assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori coinvolti, anche se l’adesione all’idea democratica sottende sempre l’interrogativo suggerito da Winston Churchill quando avrebbe detto che la democrazia è un pessimo regime politico, del quale però non si è trovato uno migliore (11 novembre 1947). […]

Una società accelerata


Che cosa è una vita buona? Questa è la domanda fondamentale cui cerca di rispondere anche la democrazia.

Oggi le società sono regolate, coordinate e dominate da un rigido e severo regime temporale, che non si articola in termini etici, ma in cui il soggetto, il cittadino, è descritto come condizionato in maniera minima da regole e sanzioni etiche, e quindi considerato libero, anche se è estremamente regolato, dominato ed oppresso da un regime temporale, che potremmo chiamare, come fa Hartmut Rosa, la logica dell’accelerazione.

Ma cosa sta concretamente accelerando nella società contemporanea?

Il tempo viene sempre più percepito come qualcosa che comprime o addirittura annichilisce lo spazio, che appare virtualmente contrarsi per effetto della velocità dei trasporti e delle comunicazioni. In questo processo lo spazio ha perso sotto molti punti di vista la sua importanza per l’orientamento del mondo tardo-moderno: ad esempio, in base al tempo necessario per percorrere la distanza tra Londra e New York, lo spazio, dall’età dei velieri a quella dei jet, si è ridotto a un sessantesimo, ossia da tre settimane a otto ore. […]

In tale accelerazione si crea un corto circuito, per cui i cambiamenti e le dinamiche della vita di un individuo o della società non vengono più vissuti come elementi all’interno di una catena di sviluppo dotata di senso e direzione, cioè come elementi di “progresso”, ma come un cambiamento senza direzione. Secondo questa interpretazione le cose cambiano, ma non si sviluppano, non vanno da nessuna parte.

Se applichiamo tale analisi alla democrazia, dobbiamo riflettere sul fatto che la forza politica può essere legittimata soltanto se è il risultato di un processo democratico pluristratificato, che necessita di un gran numero di filtri e di arene di dibattito. In democrazia, infatti, non solo tutti i gruppi sociali, ma da ultimo anche tutti gli individui dovrebbero avere l’opportunità di formulare argomentazioni politiche che andrebbero gradualmente filtrate e incanalate in un processo di deliberazione e rappresentazione, fino a trasformarsi in leggi che tengono unita la comunità.

Pertanto, ci rendiamo conto che la democrazia è un processo che prende tempo; formare una volontà democratica deliberante e assumere decisioni richiede l’identificazione ed organizzazione di tutti i gruppi coinvolti, la formulazione di programmi e tesi, la formazione di volontà collettive e infine la ricerca collettiva delle tesi migliori. Invece, nel processo di accelerazione sociale di cui siamo testimoni nel mondo attuale, le risorse di tempo a disposizione dei politici stanno diminuendo, non aumentando, e occorre prendere un numero maggiore di decisioni in un tempo minore e quindi i processi decisionali seguono ritmi più elevati.

Il risultato sembra chiaro: nella politica moderna, ancor più che nel passato, non è la forza dell’argomento migliore a decidere delle politiche future, ma il potere dei rancori, dei sentimenti istintivi, di metafore ed immagini suggestive. Sotto questa luce, non c’è da stupirsi se si ha l’impressione di trovarsi dinnanzi a una svolta estetica in politica: politici e gruppi vincono le elezioni perché sono “cool”, non perché hanno idee, programmi e tesi articolate.

Si nota, poi un’altra tendenza nei sistemi democratici odierni: nel XXI secolo sempre più, si rileva che le riforme politiche non hanno più lo scopo di migliorare le condizioni sociali e plasmare le politiche di governo in base a obiettivi culturali o sociali definiti democraticamente. La politica sembra avere invece come unico fine quello di mantenere o rendere le società competitive e sostenere le capacità di accelerazione. Le riforme sono quindi giustificate come “adattamenti necessari” a bisogni strutturali. Il cambiamento politico è giustificato dalla minaccia che altrimenti, se non abbassiamo le tasse o permettiamo l’ingegneria genetica, saremo i primi a rimanere indietro, ricacciati in uno stato di povertà e mancanza. La promessa dell’autonomia politica di dare forma alla società al di là dei bisogni economici non è altro che un pallido ricordo in questo contesto. È logico che il punto finale di questo sviluppo non possa essere che il sacrificio di tutte le energie politiche e individuali all’altare della competizione socio-economica.

Come trovare una via d’uscita per la democrazia? […]

Una delle risposte alla domanda sul futuro della democrazia risiede nel concetto di “Risposta” e “Relazione”, cioè nella possibilità di scoprire un’Alterità che risponde al bisogno individuale di vita buona che poi si riflette in una società buona. Ripensare perciò la democrazia nell’ottica della risonanza significa sviluppare rapporti dinamici che offrano possibilità di futuro al soggetto, in modo che la democrazia stessa possa essere percepita come reazione e risposta al desiderio di vita buona.

Il concetto di risonanza è proprio del fenomeno religioso, perché esso dà risposte alle domande di senso e significato che l’uomo si pone e che nascono dai suoi rapporti con le cose, con le persone e con la vita. In che modo la religione cristiana possa essere una risposta e quindi offrire senso e significato agli stessi sistemi democratici, potrebbe essere esemplificato in vari modi, che poi vedremo analizzando l’apporto del Magistero pontificio, ma ora ne sceglierei uno in particolare. La Chiesa è saltuariamente accusata di aver riempito la testa dei fedeli di sensi di colpa e vergogna, ma spesso ci si dimentica che essa insegna, prima di tutto, che siamo peccatori per natura e, ancor più importante, che Gesù Cristo è morto per i nostri peccati: per quanto siamo colpevoli, c’è comunque speranza. Lo stesso Weber, ricordava che la Chiesa, con il Sacramento della Confessione e dell’assoluzione, ha almeno fornito all’umanità un mezzo per risollevarsi dal senso di colpa. La società moderna, invece no: produce soggetti che si sentono colpevoli senza attenuazione e perdono. […]

La Sapienza dei Papi


A partire da Leone XIII troviamo esplicitamente un principio in seguito continuamente ripreso del Magistero pontificio in materia socio-politica, cioè che la Chiesa non si può identificare né legare ad alcun regime politico e che, pertanto, il suo compito è solo quello di giudicare quali regimi siano in teoria e in pratica accettabili ai fini del rispetto dei diritti della persona umana e alle giuste esigenze del bene comune.

Nel 1936 Maritain pubblica Umanesimo Integrale, in cui si difende il personalismo politico, cioè l’idea della responsabilità e della partecipazione di ogni cittadino alla conduzione della cosa pubblica, offrendo un considerevole apporto alla riflessione cristiana circa la vita politica e sociale. Dobbiamo però arrivare ai radiomessaggi di Pio XII , e in particolare a quello del Natale del 1944, dedicato direttamente alla democrazia, per trovare un’applicazione ufficiale del personalismo all’ideale democratico. Di fronte all’autonomia assoluta e all’illimitatezza dei poteri dello Stato, di fronte alla pretesa dello Stato di assurgere al ruolo di fine ultimo e di criterio sommo dell’ordine morale e giuridico, Pio XII levò con insistenza la sua voce, denunciando come la crisi dei totalitarismi era causata dall’aver separato la dottrina e la pratica della convivenza sociale dal riferimento a Dio (1) e dall’aver calpestato il carattere sacro della persona umana, centro d’imputazione dell’ordine sociale (2).

In quest’ottica un atteggiamento di particolare favore nei confronti del regime democratico diventava quasi una necessità ed infatti il Radiomessaggio natalizio del 1944 si muove in tal senso: «La forma democratica di governo apparisce a molti come un postulato naturale imposto dalla stessa ragione. Quando però si reclama “più democrazia e migliore democrazia”, una tale esigenza non può avere altro significato che di mettere il cittadino sempre più in condizione di avere la propria opinione personale, e di esprimerla e farla valere in una maniera confacente al bene comune» (3).

Con l’insegnamento di Pio xii la dottrina sociale della Chiesa ha ormai assimilato pienamente la democrazia. Le encicliche sociali successive si muoveranno nel presupposto di quest’acquisizione, che ulteriormente rafforzeranno. Per questo motivo, né la Mater et magistra, né la Pacem in terris di Giovanni XXIII sarebbero comprensibili se non all’interno di un quadro politico democratico. Sarà la Gaudium et spes, nel 1965, a pronunciarsi esplicitamente in merito alla democrazia chiarendo che: «È pienamente conforme alla natura umana che si trovino strutture giuridico-politiche che sempre meglio offrano a tutti e senza alcuna discriminazione, la possibilità effettiva di partecipare liberamente e attivamente sia alla elaborazione dei fondamenti giuridici della comunità politica, sia al governo della cosa pubblica, sia alla determinazione del campo d’azione e dei limiti dei differenti organismi, sia alla elezione dei governanti» (4).

Il 1° maggio del 1991, nel centenario della promulgazione della Rerum novarum, Giovanni Paolo ii volle pubblicare un’enciclica per richiamare l’attenzione dei governanti sul fatto che un’autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana.

Perché si realizzi realmente un sistema democratico, esso esige che si verifichino le condizioni necessarie per la promozione sia delle singole persone mediante l’educazione e la formazione ai veri ideali, sia della «soggettività» della società mediante la creazione di strutture di partecipazione e di corresponsabilità. Il magistero di Papa Wojtyła ricorda perentoriamente la centralità o, come forse sarebbe meglio dire, il carattere di soggetto e insieme di telos unico ed essenziale che la persona riveste per tutta la dinamica sociale, in quanto la persona umana, che di natura sua ha assolutamente bisogno d’una vita sociale, è e deve essere principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali (5).

Con il tema del necessario contenuto antropologico ed etico della democrazia, Giovanni Paolo II entra con decisione nel dibattito filosofico-politico contemporaneo (6), ma soprattutto introduce il secondo elemento portante della sua «teoria del senso della democrazia», elemento che riguarda il contenuto stesso della formula democratica. Il punto di partenza è, come appena affermato, quello della persona e la sua caratteristica fondamentale di autodeterminarsi in relazione con la verità; la traduzione di ciò in termini politici significa accedere ad un’idea di democrazia connotata da un contenuto etico, ossia caratterizzata dall’idea che la libertà non possa essere posta in termini di arbitrio ma di relazione con la verità: «La libertà è pienamente valorizzata soltanto dall’accettazione della verità: in un mondo senza verità la libertà perde la sua consistenza, e l’uomo è esposto alla violenza delle passioni ed a condizionamenti aperti od occulti» (7).

Nell’anno 2011, in occasione del bicentenario dell’Argentina, il cardinal Bergoglio pubblicava un testo dal titolo Noi come cittadini. Noi come popolo. Verso un bicentenario in giustizia e solidarietà, da cui possiamo estrarre alcuni elementi che prefigurano il Magistero di Papa Francesco nell’ambito della democrazia. Il primo elemento che si coglie nel saggio è che la riflessione non si è limitata solo all’ambito argentino, ma si rivolge anche a questioni cruciali della discussione contemporanea: degenerazione della politica, svuotamento della democrazia, crisi delle élite. Partendo da queste considerazioni il cardinal Bergoglio avanza una vibrante istanza etica, un richiamo alla responsabilità di tutti, in particolare di chi guida i governi, affinché ci si impegni per il superamento di uno stato di cose non più accettabile e non più sostenibile. Infine, il terzo elemento è il valore fondante dell’amore cristiano che spinge verso la proposta e l’impegno per una progettazione culturale e sociale, nonché a muovere in direzione di una fattiva operosità.

Papa Francesco prospetta, in questo modo, una rinnovata concezione di democrazia a partire proprio dai problemi che la democrazia attraversa, proponendo che essa si costruisca in modo sostanziale, partecipativo e sociale: «Non possiamo rassegnarci — egli scrive — a un’idea di democrazia a bassa intensità, a livelli di povertà come quelli che ancora abbiamo, alla mancanza di definizione di un progetto strategico di sviluppo e di partecipazione internazionale, a una fisionomia della nostra cultura politica che gioca al “tutto o niente” in qualsiasi campo, in cui tutte le questioni opinabili, discutibili, negoziabili o persino modificabili sono trattate come se l’esistenza stessa del paese dipendesse da esse» (8). In questo senso, la democrazia non è solo pratica politica o sistema di governo, ma strumento che abbraccia vita e bisogni del popolo.

In tale prospettiva, Papa Francesco richiama l’insegnamento di Benedetto xvi esposto nella Deus caritas est, dove si specifica che il compito fondamentale di un’autentica democrazia è quello di assicurare la giustizia e un ordine sociale giusto, e ciò per garantire a ciascuno la partecipazione ai beni comuni, nel rispetto dei principi di solidarietà e di sussidiarietà. Pertanto, il buon governo, l’educazione e il lavoro sono strumenti indispensabili per pervenire alla giustizia sociale, la giustizia del bene comune, in quanto la giustizia è scopo e misura della politica e della democrazia (9). […]

È questo lo stile politico «realmente democratico», per Papa Francesco, quello stile che, già nel 2014, prendendo la parola davanti al Parlamento Europeo a Strasburgo connotava come cammino della e nella reciproca fiducia (10). 

L’architettura della democrazia


Prima di trarre alcune conclusioni, vorrei rifarmi a due riflessioni sulla democrazia relative al periodo del secondo dopoguerra, quando le domande sulla democrazia crescevano nel terreno del confronto con i totalitarismi, e il mondo stava cercando di definire le linee guida per la gestione delle nuove società che stavano rinascendo dalle ceneri dell’odio e del dolore. L’espressione di “architettura” della democrazia la prendo in prestito dall’intervento di Giorgio La Pira all’Assemblea Costituente italiana dell’11 marzo 1947, mentre per le domande su come pensare alla democrazia mi sono lasciato ispirare da un articolo, dell’ottobre del 1950, di Eric Weil, forse l’ultimo dei filosofi classici tedeschi, sul tema dei limiti della democrazia (11).

A che cosa deve servirci una architettura ben pensata e ben progettata della democrazia?

La risposta è evidente, il sistema democratico serve ad assicurarci pace, benessere, libertà e una società ordinata. […] La democrazia non si presenta come una forma di governo o come un sistema costituzionale, ma come una dottrina che fissa a ogni governo il proprio scopo, cioè: il governo del popolo e per il popolo, ovvero l’esercizio del potere nell’interesse dell’intera comunità. Così, non dobbiamo sorprenderci di sentir chiamare democrazie molte forme di governo: la Repubblica Francese, di tipo semipresidenziale, o quella degli Stati Uniti d’America, di tipo presidenziale, dove il presidente è dotato di un potere incisivo, ancorché bilanciato da altri poteri, o anche la monarchia costituzionale inglese che, per consuetudine conferirebbe centralità al parlamento, ma concretamente lo svolgersi della vita politica vede un forte ridimensionamento del parlamento in favore del Primo Ministro. […]

Ma sappiamo ciò che bisogna fare per realizzare la democrazia e per conservarla una volta istituita?

La democrazia non esclude affatto le opposizioni politiche, economiche, sociali, religiose, ideologiche: al contrario essa ne vive, e il suo vantaggio incomparabile su tutte le altre costituzioni consiste precisamente in questo. Perché la democrazia permette, domanda, impone il compromesso fra avversari in vista della comune difesa degli interessi nazionali. Resta il fatto che la democrazia postula alcuni dati che non sono contenuti, o almeno non sono espressi, dalla sua stessa definizione.

Proviamo a coglierli.

Una prima acquisizione è questa: non può esserci democrazia in una nazione che non sia unita da valori comuni e che non riconosca alcuni scopi come desiderabili. Un popolo incapace di dar vita a un governo che agisca in vista di interessi nazionali è destinato alla dittatura (non democratica) o comunque alla perdita della propria indipendenza. Gli stessi processi democratici più autentici, stando alla nostra definizione, possono condurre alla soppressione della stessa democrazia. Una maggioranza può unirsi intorno a un programma di sterminio di tutti coloro che si oppongono o si sono opposti alla vittoria del pensiero e della passione maggioritaria. In questo caso siamo ancora in democrazia?

La democrazia si concepisce come un sistema di libera discussione in evoluzione. Nessuna decisione è presa una volta per tutte, non vi è principio che non possa esser criticato, modificato, abrogato. Ogni cittadino può sempre partecipare, liberamente, alla discussione. Ora, dobbiamo anche considerare il fatto che la democrazia s’impone un limite, un limite che a volte è stato definito “assoluto”: quello della libertà che vuol mantenersi come libertà. Se nulla impedisce alla democrazia di escludere temporaneamente alcuni gruppi, anche considerevoli — la minoranza politica — dall’esercizio del potere, ciò non significa che questi gruppi debbano esser privati della possibilità di prendere la direzione della comunità, trasformandosi in maggioranza.

Del resto, la democrazia non è priva di limiti o problemi; la democrazia non resiste, per una sorta di grazia di stato, a ogni prova, a ogni tensione, a ogni ingiustizia. Qualsiasi nazione può ritornare in una situazione in cui la democrazia diventa impossibile, perché una maggioranza incosciente e non ragionevole esaspera una minoranza spingendola alla rivolta. La democrazia è generalmente una marcia verso la ragione, un’educazione dell’uomo affinché quest’uomo sia veramente e pienamente tale. La democrazia non è mai: è sempre da realizzare.

Qual è, quindi, il senso dell’Architettura della democrazia? Permettetemi di citare la definizione che si trova nella Deus caritas est, attraverso la quale viene declinato il concetto filosofico di politica e di democrazia: «La giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica. La politica è più che una semplice tecnica per la definizione dei pubblici ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia, e questa è di natura etica. Così lo Stato si trova di fatto inevitabilmente di fronte all’interrogativo: come realizzare la giustizia qui ed ora? Ma questa domanda presuppone l’altra più radicale: che cosa è la giustizia? Questo è un problema che riguarda la ragione pratica; ma per poter operare rettamente, la ragione deve sempre di nuovo essere purificata, perché il suo accecamento etico, derivante dal prevalere dell’interesse e del potere che l’abbagliano, è un pericolo mai totalmente eliminabile» (12).

Spesso la democrazia, potremmo dire, non funziona perché esiste una sproporzione fra l’assetto giuridico-democratico e l’assetto sociale ed umano. Vediamo perciò quali sono gli elementi strutturali di una democrazia per cui si possa recuperare quella proporzione che già Dante definiva, parlando del diritto: «Realis et personalis hominis ad hominem proportio» (13).

Ogni sistema democratico ha tre elementi strutturali, indissociabili l’uno dall’altro, i quali si possono raffigurare per analogia ad un edificio: la base, il corpo che sono i muri maestri e la volta, che corona la base e il muro. La sproporzione spesso intacca il primo, il secondo e il terzo elemento, che sono: la base teoretica, la concezione sociale, l’assetto giuridico, creando i problemi che prima abbiamo descritto. La base teoretica porta inevitabilmente una concezione teoretica dell’uomo, della natura dell’uomo e di conseguenza della natura e struttura del corpo sociale e del sistema che lo regola. La base, perciò, non può essere eliminata, perché il pensiero teoretico è direttivo del pensiero pratico, in quanto l’idea dirige l’azione; io posso fingere di disancorare l’azione dall’idea, ma nella realtà non è così.

Come possiamo descrivere i tre elementi indissociabili che formano l’architettura della democrazia? La base teoretica, dice quale è la natura umana e come essa si rapporta con la società e con lo Stato; la struttura sociale, dice che cosa sono, che natura e che struttura hanno gli enti in cui si articola il corpo sociale e, finalmente, l’assetto giuridico, che assicura l’esercizio della giustizia. Quando questi tre punti, questi tre elementi sono invalidati da un errore, metafisico, piuttosto che metagiuridico, tutto l’assetto democratico ne risente, come dice la parabola del Vangelo: se costruisco sulla sabbia, la casa, per quanto solida, crolla; se costruisco sulla pietra, la casa, per quanto non solida, riesce a superare le intemperie e le tempeste. […]

Vorrei, infine, richiamare quelle pagine del capitolo v della Centesimus annus — dal titolo “Stato e cultura” — nelle quali Giovanni Paolo II si interroga a proposito del valore e dei limiti delle moderne democrazie, del loro ethos e dei loro istituti. Anzitutto, Giovanni Paolo ii accenna al fatto che la Chiesa apprezza il sistema della democrazia in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico ove ciò risulti opportuno (14). L’enciclica, tuttavia, è consapevole, come lo siamo tutti noi, oggi forse più di ieri, che le democrazie sono regimi fragili, imperfetti, continuamente bisognosi di miglioramento; nel senso che esigono un forte impegno morale per essere mantenuti alla giusta altezza. Con perspicacia e con singolare aderenza all’esperienza pratica, la Centesimus annus mette il dito nella piaga di tre caratteristiche patologie delle nostre moderne democrazie.

La prima è il deperimento o la corrosione prodotta dalla rottura del nesso vitale che deve unire consenso e verità: «Una democrazia senza valori si converte facilmente al totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia» (15).

La seconda sono le degenerazioni oligarchiche e, diremmo, lobbistiche della democrazia: «Le domande che si levano dalla società a volte non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono» (16).

La terza piaga, è costituita dalle derive assistenzialistiche e burocratiche dello Stato sociale: intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese. Sembra, infatti, che conosce meglio il bisogno e riesce meglio a soddisfarlo chi è ad esso più vicino e si fa prossimo al bisogno (17). È inutile ricordare che delle tre menzionate patologie è certamente più inquietante e corrosiva la prima, cioè il rapporto tra consenso e verità. Per restituire questo rapporto alla sua giusta interpretazione occorre percorrere altrettante tre vie.

Anzitutto la via del convincimento che la regola del consenso è subordinata, a sua volta, a un criterio veritativo di fondo, quindi all’aggancio a verità e a ideali profondi, condivisi.

In seconda analisi, sarà necessaria la via della pratica assimilazione di tale convincimento da parte delle coscienze e della comunità, tenuto conto che la legittimazione prossima della decisione politico-legislativa, nei regimi democratici, è assicurata dal consenso e non da istanze superiori o esterne all’opinione pubblica.

Infine, per ripristinare il giusto rapporto tra consenso e verità, è molto importante l’assidua alimentazione pratica di una trama di virtù civili diffuse.

Nel percorso fatto insieme, ho cercato di mostrare come, nell’attuale scenario internazionale, non possiamo concepire la democrazia se non sul presupposto della persona umana, dell’uguaglianza di tutti gli uomini e della loro fraternità. Questi tre valori non sono ancora la democrazia, ma ne sono la premessa necessaria. Che ogni uomo è una persona significa che è il luogo inviolabile della libertà e della coscienza, che è autonoma, che è capace di dirigere sé stessa, che non può essere asservita né irreggimentata, che deve essere rispettata per sé stessa. Ma significa anche che è un essere in relazione, che è fatta per la comunicazione, per il dialogo, per la ricerca comune della verità, per la collaborazione e cooperazione.

Quando noi pensiamo alla posizione e al rapporto delle persone all’interno del regime politico democratico, che rivendica il suffragio universale, non possiamo prescindere da quest'idea di uguaglianza, che ha le sue radici nel cristianesimo.

Infine c'è da considerare il vincolo di fratellanza che il cristianesimo proclama per tutti gli uomini. Questa fratellanza, infatti, supera qualsiasi barriera nazionale o di gruppo e si estende a tutta l'umanità. E tuttavia questa fraternità si rivolge innanzitutto al prossimo, cioè a colui che vive accanto a noi e che percepiamo anche visibilmente come nostro fratello.

di Paul R. Gallagher
 

Radiomessaggio natalizio del 1942, n. 6 e del 1944, n. 9.

Radiomessaggio natalizio del 1942, n, 7 e del 1944, n, 7.

Radiomessaggio del 1944, n. 7.

4 Gaudium et spes. N. 65

Ivi, n. 25.

6 M. Cangiotti, Sull’universalità della democrazia, Morcelliana, Brescia 2008.

Centesimus annus, n. 46.

8 Jorge Mario Bergoglio, Noi come cittadini. Noi come popolo. Verso un bicentenario in giustizia e solidarietà, Jaka Book, Milano 2013, pp. 31-32.

Deus caritas est, n. 28.

10 Papa Francesco, Discorso al Parlamento Europeo, Strasburgo, 25 novembre 2014.

11 E. Weil, Limites de la démocratie, Évidences 13 (1950), p. 35—39.

12 Deus caritas est, n. 28.

13 Alighieri D., Monarchia, ii , v , 1

14 Centesimus annus, 46.

15 Centesimus annus, n. 46.

16 Centesimus annus, 47.

17 Centesimus annus, 48.