Il magistero

 Il magistero  QUO-069
23 marzo 2023

Venerdì 17

Voce profetica
in un mondo
dominato
da interessi
e potere

Il 19 marzo 1873 san Leonardo Murialdo fondava la Pia Società Torinese di San Giuseppe per la cura e la formazione soprattutto dei giovani operai. Lì, nel “fuoco” della massoneria, nel Piemonte, tanti santi! Dobbiamo studiare perché in quel momento. Proprio nel centro dei “mangiapreti”, tanti santi.

A Torino, in questo contesto duro, segnato da povertà morale, culturale ed economica, è nata una realtà che in un secolo e mezzo si è arricchita di persone, opere e tanto amore.

Una realtà composta oggi da circa cinquecento religiosi e dalle suore Murialdine, dall’Istituto secolare e da parecchi laici.

Lo scorso anno, in apertura di questa celebrazione giubilare, ho scritto al Superiore Generale e auguravo di continuare a crescere. Non si può controllare lo Spirito, Lui ci porta avanti. Ci vogliono discernimento e fedeltà.

Oggi vorrei sottolineare tre aspetti: primato dell’amore di Dio, attenzione al mondo che cambia e dolcezza paterna della carità.

Primato
dell’amore
di Dio

L’esperienza dell’amore di Dio ha segnato profondamente la vita di san Leonardo. Lo sentiva concreto, irresistibile. E invitava i fratelli a lasciarsi prima di tutto amare da Dio.

Questo è il segreto. Non solo amare, no, lasciarsi amare. Quella passività della vita consacrata, che cresce nel silenzio, nella preghiera, nella carità e nel servizio.

Vale anche per noi: lasciamoci amare da Dio per essere testimoni credibili; lasciamo che il suo amore a guidi i nostri pensieri e azioni. Non le regole, le disposizioni.

Quando un Generale della Compagnia di Gesù, padre Ledochowski, ha voluto mettere insieme tutta la spiritualità della Compagnia in un libro, per “regolare” tutto, inviò il primo esemplare all’abate benedettino, e lui gli rispose: “Caro Padre Generale, con questo documento ha ucciso la Compagnia di Gesù!”.

Quando si vuole regolare tutto, si “ingabbia” lo Spirito Santo. Lasciare libertà, creatività. Camminare con la guida dello Spirito. Murialdo era un mistico. Questo, però, lo ha reso anche molto attento e sensibile ai bisogni del suo tempo.

Ha saputo accorgersi di disagi nuovi, spesso nascosti, e prendersene cura.

Ha insegnato ai giovani lavoratori a progettare il loro futuro, a far sentire la loro voce e ad aiutarsi a vicenda.

In un mondo dominato da interessi economici e di potere, ha dato voce ai più emarginati.

Ha saputo cogliere il valore del laicato. Nella seconda metà dell’ottocento, un secolo prima del Vaticano ii , diceva: «Il laico, di qualsiasi ceto sociale, può essere apostolo non meno del prete e, per alcuni ambienti, più del prete». Per l’epoca questo suona protestantesimo.

Era coraggioso, intelligente, aperto! Invito a coltivare la sua stessa passione e il suo coraggio: insieme, laici, religiosi e religiose, su strade condivise di preghiera, discernimento e lavoro, per essere artigiani di giustizia e comunione.

Ultimo valore del vostro carisma: la dolcezza paterna della carità. Possiate ricercarla e viverla tra voi, con spirito di fraternità, ed esercitarla nei confronti di tutti.

San Leonardo diceva: «La carità è guardare e dire il bello di ognuno, perdonare, avere serenità di volto, affabilità, dolcezza». Per fare questo bisogna saper portare la croce. Ci vuole preghiera, sacrificio.

(Ai Giuseppini del Murialdo)

Sabato 18

C’è bisogno
di buona
politica

Incoraggio il percorso di formazione sociopolitica che dà continuità al “Progetto Policoro” della Chiesa italiana. Quest’anno avete come tema la pace.

La guerra è il fallimento della politica. Si alimenta del veleno che considera l’altro come nemico. Fa toccare con mano l’assurdità della corsa agli armamenti e del loro uso per la risoluzione dei conflitti.

Ci vuole una “migliore politica”, che presuppone educarsi alla pace. Fare un’altra guerra, interiore, su sé stessi per lavorare per la pace.

Avvicinare
la vita
della gente

Oggi la politica non gode di ottima fama, specie fra i giovani, perché vedono scandali, corruzione, inefficienza, distanza dalla vita della gente.

C’è bisogno di buona politica. La differenza la fanno le persone.

Nelle amministrazioni locali un conto è un sindaco o un assessore disponibile, e un altro è chi è inaccessibile.

Un conto è la politica che ascolta la realtà, i poveri, e un altro è quella che sta chiusa nei palazzi, la politica “distillata”.

Mi viene in mente l’episodio biblico del re Acab e della vigna di Nabot. Il re vuole appropriarsi della vigna, per allargare il giardino; ma Nabot non vuole venderla.

Il re è arrabbiato. Allora sua moglie, la regina Gezabele — un diavoletto! — risolve il problema facendo eliminare Nabot. E il re prende la vigna.

Acab rappresenta la peggiore politica, quella di far fuori gli altri, che persegue interessi particolari e usa ogni mezzo.

Acab non è padre, è padrone, e il suo governo è il dominio.

Sant’Ambrogio scrisse un libretto su questa storia. Rivolgendosi ai potenti, scrive: «Perché scacciate rivendicate per voi soli il possesso dei beni naturali? La terra è stata creata in comunione per tutti, per ricchi e per poveri. La natura non sa cosa siano i ricchi. Quando nasciamo non abbiamo vestiti, non veniamo al mondo carichi d’oro e d’argento. Questa terra ci mette al mondo nudi, bisognosi di cibo, di vesti e di bevande... crea tutti uguali e tutti ugualmente racchiude nel sepolcro».

La politica che esercita il potere come dominio e non come servizio, calpesta i poveri, sfrutta la terra e affronta i conflitti con la guerra, non sa dialogare.

Esempio biblico positivo [è] Giuseppe, figlio di Giacobbe, venduto come schiavo dai fratelli invidiosi e portato in Egitto.

Lì, dopo alcune peripezie, viene liberato, entra al servizio del Faraone e diventa una specie di Viceré.

Non si comporta da padrone, ma da padre. Si prende cura del Paese; quando arriva la carestia organizza le riserve di grano, e il Faraone dice al popolo: «Fate quello che vi dirà»; la stessa frase di Maria alle nozze di Cana.

Giuseppe, che ha sofferto l’ingiustizia, non cerca il proprio interesse ma quello del popolo, si fa artigiano di pace, tesse rapporti capaci di innovare la società.

Scriveva don Lorenzo Milani: «Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia».

Questi esempi biblici, uno negativo, l’altro positivo, aiutano a capire quale spiritualità può alimentare la politica. Ne colgo due aspetti: la tenerezza e la fecondità.

Tenerezza
e fecondità

La tenerezza «è l’amore che si fa vicino e concreto. È la strada che hanno percorso gli uomini e le donne più coraggiosi e forti. In mezzo all’attività politica, i più piccoli, deboli, poveri hanno “diritto” di prenderci l’anima e il cuore» (Fratelli tutti, 194).

La fecondità è fatta di condivisione, dialoghi, fiducia, comprensione, ascolto, tempo speso, risposte pronte, non rimandate.

Significa guardare all’avvenire e investire sulle generazioni future; avviare processi piuttosto che occupare spazi.

Vorrei proporre le domande che ogni buon politico dovrebbe farsi: quanto amore ho messo nel lavoro? In cosa ho fatto progredire il popolo? Che impronta ho lasciato? Quali legami ho costruito? Quali forze positive ho liberato? Quanta pace sociale ho seminato? Cosa ho prodotto?

La vostra preoccupazione non sia il consenso elettorale né il successo personale, ma coinvolgere le persone, generare imprenditorialità, far fiorire sogni e sentire di appartenere a una comunità.

La partecipazione è il balsamo sulle ferite della democrazia. Invitate i vostri coetanei con il fine e lo stile del servizio.

Il politico è un servitore; quando non [lo] è, è un cattivo politico.

(Ai giovani del Progetto Policoro
promosso dalla Conferenza episcopale italiana)

Domenica 19

La guarigione del cieco nato

Il Vangelo mostra Gesù che ridona la vista a un uomo cieco dalla nascita (Gv 9, 1-41). Ma questo prodigio è accolto in malo modo da varie persone.

Anzitutto i discepoli, che finiscono nel chiacchiericcio: si chiedono se la colpa sia dei genitori o sua. Cercano un colpevole; noi tante volte cadiamo in questo, anziché porci domande impegnative.

Poi, avvenuta la guarigione, le reazioni aumentano.

I vicini sono scettici. Per loro è meglio lasciare tutto come prima. Temono le autorità religiose, non si pronunciano. Cuori chiusi di fronte al segno di Gesù.

Tante situazioni assomigliano oggi a questa. Davanti a un messaggio di testimonianza cerchiamo un’altra spiegazione, non vogliamo cambiare, cerchiamo una via d’uscita.

L’unico che reagisce bene è il cieco: testimonia quanto accaduto. Dice la verità.

Prima era costretto a chiedere l’elemosina per vivere e subiva i pregiudizi. Adesso, libero nel corpo e nello spirito, rende testimonianza a Gesù.

Non ha paura di quello che diranno gli altri: il sapore amaro dell’emarginazione lo ha conosciuto per tutta la vita, ha già sentito l’indifferenza, il disprezzo di chi lo considerava uno scarto, utile al massimo per qualche elemosina.

Ora, guarito, quegli atteggiamenti sprezzanti non li teme più, perché Gesù gli ha dato piena dignità.

E questo succede sempre quando Gesù guarisce, ridona la dignità di una persona nobile, che si sa guarita e rinasce.

Chiediamoci: che posizione prendiamo noi? cosa facciamo?

Come il cieco, sappiamo vedere il bene ed esser grati per i doni che riceviamo? Testimoniamo Gesù oppure spargiamo critiche e sospetti? Siamo liberi di fronte ai pregiudizi o ci associamo a quelli che diffondono negatività e pettegolezzi?

Siamo felici di dire che Gesù salva o ci lasciamo ingabbiare dal timore di quello che pensa la gente? I tiepidi di cuore non accettano la verità, non hanno coraggio.

Come accogliamo le difficoltà degli altri? le persone che hanno limitazioni? Sia fisiche, sia sociali, come i mendicanti che troviamo per strada?

Li accogliamo come una maledizione o come occasione per farci vicini a loro?

Per le vittime
del sisma
in Ecuador

Ieri in Ecuador un terremoto ha causato morti, feriti e ingenti danni. Sono vicino al popolo ecuadoriano e assicuro la mia preghiera per i defunti e per tutti i sofferenti.

(Angelus in piazza San Pietro)

Lunedì 20

Seminatori
di sorrisi

La pandemia vi ha impedito di svolgere le consuete attività, viaggiando di piazza in piazza con le vostre attrazioni.

Ora avete potuto riprendere. Continua ad accompagnarvi Cristo, il quale percorreva città e villaggi portando a tutti l’annuncio gioioso del Regno di Dio.

Voi cooperate all’annuncio del Vangelo per la gioia che portate con le vostre attrazioni.

Siete seminatori di gioia! A volte in momenti in cui il cuore è triste per problemi.

La vostra vocazione è seminare gioia, in ognuna delle persone che fate ridere. Seminatori di sorrisi.

Con le giostre offrite a bambini e adulti momenti di spensieratezza, distraendo dalle preoccupazioni della vita quotidiana.

La felicità di un bambino sulla giostra è un’immagine di gioia pulita che appartiene alla memoria di ogni famiglia.

Il senso di festa che diffondete scaturisce dalla creatività e dalla fantasia, non ricalca i modelli artificiali e conformisti che circolano nei media; si alimenta non dalla ricerca di sensazioni nuove, ma dalla genuinità che si può respirare in un luna park.

In un clima grigio e pesante, ricordate che la strada per essere contenti è la semplicità; e anche una forma di divertimento all’aria aperta e in compagnia: l’opposto di quello che si vede oggi, ognuno da solo con il telefonino o il computer.

Invitate a uscire, a incontrarsi sulla piazza, a divertirsi insieme... ricordate che non siamo fatti solo per il lavoro ma anche per la festa. Dio è contento quando festeggiamo insieme da fratelli.

La vostra vocazione è ridere e far sorridere. A volte il cuore è triste, ma dare agli altri dei sorrisi che li facciano ridere.

Seminare sorrisi, pace, un orizzonte positivo. Vi sostengano il vostro patrono san Giovanni Bosco e il servo di Dio don Dino Torregiani, apostolo delle carovane.

(All’Unione nazionale attrazionisti viaggianti)

Mercoledì 22

Una Chiesa
che si
evangelizza per
evangelizzare

Oggi ci mettiamo in ascolto della “magna carta” dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo: l’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di san Paolo vi . È del 1975, ma è come fosse scritta ieri.

L’evangelizzazione è più che una semplice trasmissione dottrinale e morale. È prima di tutto testimonianza.

Una testimonianza indispensabile perché il mondo ha bisogno di evangelizzatori che gli parlino di un Dio che essi conoscano e che sia loro familiare.

Non è un’ideologia o una “dottrina”. È trasmettere Dio che si fa vita in me.

La testimonianza di Cristo è al contempo il primo mezzo dell’evangelizzazione e condizione essenziale per la sua efficacia.

La testimonianza comprende la fede professata, l’adesione convinta e manifesta a Dio Padre e Figlio e Spirito Santo.

Una fede che ci trasforma e trasforma le nostre relazioni, i criteri e i valori che determinano le nostre scelte.

Testimoni
coerenti

La testimonianza non può prescindere dalla coerenza tra ciò che si crede e ciò che si annuncia e ciò che si vive.

Una persona è credibile se ha armonia tra quello che crede e quello che vive.

Tanti cristiani vivono come se non lo fossero. Questa è ipocrisia, contro-testimonianza.

Ognuno è chiamato a rispondere a tre domande formulate da Paolo vi : “Credi a quello che annunci? Vivi quello che credi? Annunci quello che vivi?”.

Non ci possiamo accontentare di risposte facili, preconfezionate. Siamo chiamati a accettare il rischio anche destabilizzante della ricerca, confidando nello Spirito Santo.

Alimentata dalla preghiera e dall’amore per l’Eucaristia, l’evangelizzazione a sua volta fa crescere in santità.

Al contempo, senza la santità la parola dell’evangelizzatore «difficilmente si aprirà la strada nel cuore dell’uomo», ma «rischia di essere vana e infeconda».

Destinatari dell’evangelizzazione non sono solo coloro che professano altre fedi o che non ne professano, ma anche noi stessi.

Dobbiamo convertirci ogni giorno, accogliere la parola di Dio e cambiare vita.

Anche la Chiesa deve cominciare con l’evangelizzare sé stessa. Se non [lo fa] rimane un pezzo da museo.

Quello che la aggiorna continuamente è l’evangelizzazione di sé stessa.

Ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza. La Chiesa, che è un Popolo di Dio immerso nel mondo, e spesso tentato dagli idoli, ha sempre bisogno di sentir proclamare le opere di Dio... di prendere il Vangelo, pregare e sentire la forza dello Spirito.

Una Chiesa che si evangelizza per evangelizzare è una Chiesa che, guidata dallo Spirito Santo, è chiamata a percorrere un cammino esigente, di conversione, di rinnovamento.

Ciò comporta anche la capacità di cambiare i modi di comprendere e vivere la sua presenza evangelizzatrice nella storia, evitando di rifugiarsi nelle zone protette dalla logica del “si è sempre fatto così”.

Sono rifugi che ammalano la Chiesa.

Questa Chiesa è interamente rivolta a Dio, quindi partecipe del suo progetto di salvezza per l’umanità, e, nello stesso tempo, interamente rivolta verso l’umanità.

Rileggere
l’«Evangelii
nuntiandi»

Dev’essere una Chiesa che incontra dialogicamente il mondo contemporaneo, che tesse relazioni fraterne, che genera spazi di incontro, mettendo in atto buone pratiche di ospitalità, accoglienza, riconoscimento e integrazione dell’altro e dell’alterità, e che si prende cura del creato.

Senza lo Spirito Santo noi potremmo soltanto fare pubblicità della Chiesa, non evangelizzare. È lo Spirito in noi, che ci spinge verso l’evangelizzazione e questa è la vera libertà dei figli di Dio.

Rinnovo l’invito a rileggere l’Evangelii nuntiandi: io la leggo spesso, perché quello è il capolavoro di san Paolo vi , è l’eredità che ha lasciato a noi per evangelizzare.

(Udienza generale in piazza San Pietro)