Aperti i lavori del XXXIII corso sul Foro interno

Un padre e un fratello
per accogliere i penitenti

 Un padre e un fratello  QUO-067
21 marzo 2023

La Penitenzieria apostolica si configura «ecclesiasticamente come un tribunale», perché in essa si è chiamati a “giudicare” i singoli casi di coscienza. Tuttavia, essa ha specifiche caratteristiche che «ne determinano la differenza» rispetto ad altri organismi analoghi della Chiesa: l’assoluta riservatezza, l’assenza di contenzioso e la celerità. Così il reggente del Dicastero, monsignor Krzysztof Nykiel, ne ha illustrato le competenze e le attività durante il suo intervento in apertura dei lavori del xxxiii corso sul Foro interno, inaugurati ieri pomeriggio, 20 marzo, nel Palazzo romano della Cancelleria.

Nel ricordare che la Penitenzieria è il più antico Dicastero della Curia romana — le fonti storiche attestano infatti l’esistenza di un cardinale delegato dal Pontefice ad ascoltare in sua vece le confessioni già alla fine del xii secolo — monsignor Nykiel ha sottolineato che essa svolge, «in maniera sempre diretta, un’attività propriamente spirituale, la più consona con la missione fondamentale della Chiesa, che consiste nella salus animarum».

Riguardo al foro interno, ha spiegato, esso è «il complesso dei rapporti tra il fedele e Dio, nei quali interviene la mediazione della Chiesa non per regolare direttamente le conseguenze sociali di tali rapporti» ma per provvedere «al bene soprannaturale del fedele in ordine alla sua amicizia con Dio, e cioè allo stato di grazia, e quindi finalisticamente in ordine alla vita eterna». È evidente che il «retto ordine tra l’anima e Dio, ripristinato con la mediazione della Chiesa, ha anche conseguenze sulla vita sociale del fedele».

Il sacramento della penitenza, «luogo privilegiato e strumento per eccellenza del foro interno, offre un esempio molto chiaro di questi concetti». Esso, ha evidenziato il reggente, anzitutto «riconcilia l’anima con Dio, ripristina appunto il retto ordine tra l’anima e Dio; ma con ciò stesso riconcilia il fedele anche con la Chiesa, eliminando quel vulnus che il peccato infligge alla comunione ecclesiale». Oltre al foro interno sacramentale, esiste anche un foro interno non sacramentale che «è dato dalla manifestazione della propria coscienza che il fedele può fare alla Chiesa, al di fuori della confessione ma, non di meno, nel segreto». L’esempio classico è quello della «direzione spirituale posta in essere con atti distinti e separati dalla confessione sacramentale»; oppure della «manifestazione di coscienza fatta dai religiosi ai loro superiori, o della richiesta di consulenza o di segnalazione su fatti gravi ai superiori ecclesiastici, con il reciproco impegno alla segretezza».

Nel successivo intervento, don Luca Ferrari, missionario della misericordia, ha affrontato il tema «Categorie e condizioni particolari di penitenti. Quale approccio nel confessionale?» Il sacerdote ha spiegato che chiunque si accosti al confessionale è un figlio ferito, allontanato o separato dalla comunione piena con Dio e con i fratelli. Non trova la via della pace, impotente di fronte al mistero dell’iniquità che condanna e mortifica, e sa di non poter essere accolto se non da un atto di infinita misericordia e tenerezza. Per questo, ha fatto notare, il ministero del sacerdote, «oggi come sempre, è il luogo dove si genera e rigenera la comunione». In questo senso, «sublime e insostituibile è il contributo che possiamo offrire alla fraternità e all’unità della Chiesa e del mondo» dando a a tutti la possibilità di giungere alla «pace del cuore».

I penitenti, ha sottolineato il sacerdote, non cercano uno psicologo o uno specialista del sacro ma un «padre e un fratello che li accoglie in nome di tutti con dolce fortezza e li riammette alla gioia di appartenere, senza ombre e riserve, alla loro stessa dignità».