Le religiose indiane e i dieci anni di Pontificato

Chiamate a un nuovo modo di essere Chiesa

 Chiamate a un nuovo modo di essere Chiesa  QUO-066
20 marzo 2023

Pubblichiamo, in una nostra traduzione, un articolo uscito sul “Global Sisters Report” in occasione del decimo anniversario di Pontificato di Papa Francesco, a firma della superiora generale della congregazione del Carmelo apostolico e presidente della Conference of Religious India.

Celebrare il 10° anniversario dell’elezione di Papa Francesco è davvero un motivo di gioia per me, e considero un vero privilegio condividere alcune riflessioni sull’impatto che il Santo Padre ha avuto in questi dieci anni sul mondo in generale e sulle religiose indiane in particolare.

Le prime immagini di piazza San Pietro il 13 marzo 2013, dopo l’elezione di Papa Francesco, di fatto hanno dato il tono di ciò che sarebbe seguito. Quando è uscito sul balcone della basilica di San Pietro, aveva un aspetto raggiante e sfoggiava un sorriso accattivante. Il fatto che indossasse l’abito bianco, abbandonando la tradizionale mozzetta rossa, è stato il primo segnale di ciò che sarebbe accaduto. La sua richiesta, rivolta con profonda umiltà alla grande folla che lo stava acclamando, di benedirlo e di chinare la testa in silenziosa preghiera, ha attirato l’attenzione di tutti. Papa Francesco stava senz’altro dando il segnale di un nuovo tipo di leadership, un nuovo modo di essere Chiesa. Il nome da lui scelto già annunciava una guida davvero innovativa e che ci sarebbero state molte “prime”: il primo gesuita a diventare Papa; il primo Papa dalle Americhe; il primo a darsi il nome Francesco (d’Assisi), il primo a viaggiare sul pullman con altri cardinali dopo l’elezione; il primo a vivere nella foresteria vaticana, la Casa Santa Marta. E questo è stato solo l’inizio. D’allora ci sono state molte altre “prime”, non ultima le riforme nella Chiesa, di cui c’era un disperato bisogno. Ma le riforme devono iniziare dal riconoscere che c’è qualcosa che non va e deve essere corretto. L’espressione di questa umile accettazione è giunta nella prima intervista rilasciata alla rivista gesuita «America Magazine».

«Chi è Jorge Mario Bergoglio?» gli ha domandato padre Antonio Spadaro.

La risposta è stata secca: «Io sono un peccatore. Questa è la definizione più giusta. E non è un modo di dire, un genere letterario. Sono un peccatore».

Pochi mesi prima, nel suo discorso di accettazione dopo l’elezione aveva detto la stessa cosa: «Sono un peccatore, ma confido nella misericordia e nella pazienza infinita di Nostro Signore Gesù Cristo». Non c’è da stupirsi, dunque, se a due anni dall’inizio del suo pontificato ha indetto l’Anno giubilare della Misericordia dal 2015 al 2016.

In quella prima intervista, Papa Francesco ha sottolineato la sua visione per la Chiesa dicendo: «la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite... E bisogna cominciare dal basso».

Le numerose idee e le parole straordinarie dette nelle sue omelie quotidiane a Casa Santa Marta, quelle pronunciate durante gli incontri con capi di Stato o persone consacrate, o scritte nelle sue encicliche, mi hanno molto coinvolta e le considero il marchio di fabbrica del pontificato di Francesco.

L’India ha uno dei numeri più elevati di religiose e religiosi: sono circa 130.000, di cui 110.000 e più sono donne. La considero una forza molto potente per portare avanti la missione della Chiesa immaginata da Papa Francesco. I religiosi, specialmente le religiose, così numerose, stanno diffondendo l’amore di Dio in lungo e in largo in India (e anche in molti altri Paesi), accompagnando gli oppressi, dando riparo ai bambini di strada, fornendo strutture sanitarie, prevenendo la tratta di persone, insegnando nelle università e partecipando a conferenze internazionali sulla vita religiosa e la tutela ambientale, tanto per citarne alcune. Questo significa che in India nella condotta di vita dei religiosi e delle religiose va tutto a meraviglia? Indubbiamente i religiosi lavorano con profonda dedizione, presentando la Chiesa come “ospedale da campo” in un ambiente indiano plurireligioso e multiculturale. Ma dobbiamo affrontare anche molte sfide, proprio come il Papa, che, nonostante le difficoltà, sta andando avanti con il suo programma di riforme. Siamo parte di questa Chiesa e abbiamo bisogno di una riforma anche nelle nostre vite. Dobbiamo prima di tutto iniziare dall’accettare che siamo tutti peccatori bisognosi della misericordia di Dio. La cosa bella è che abbiamo una guida nella Chiesa, anche lui un religioso, che ci sprona ad andare avanti.

Una delle tante “prime” di Papa Francesco è il grande passo compiuto nel dialogo interreligioso, in particolare con i musulmani. È proprio durante uno dei suoi viaggi per promuovere questo dialogo che ho potuto incontrarlo a novembre 2022 in Bahrein. Per me è stata un’esperienza così profonda, trasformatrice — per non parlare poi delle risate di cuore che ci sono state — tra noi, che sono un altro dei suoi tratti distintivi quando incontra le persone. Sebbene siano tanti i religiosi in India a essere impegnati in questo ministero, in un Paese immenso in cui coesistono numerose fedi, noi religiosi dobbiamo fare molto di più.

L’altra grande sfida che dobbiamo affrontare in India, come spiegato nella Laudato si’, è la cura della nostra casa comune. L’India è un’economia in rapida crescita, e nella sua corsa per raggiungere gli altri è tentata di sacrificare le preoccupazioni ambientali. Occorre che più religiosi in India dedichino le loro energie a questo campo. La Chiesa in India, inoltre, soffre di quello che, come dice spesso Papa Francesco, affligge la Chiesa in generale: il clericalismo. In molte occasioni, Papa Francesco ha parlato dell’importanza del ruolo delle donne nella Chiesa e ha riconosciuto i contributi che esse danno. Nel suo videomessaggio del 1° febbraio 2022, nel quale ha dedicato il mese alle donne consacrate, ha detto: «Che cosa sarebbe la Chiesa senza le religiose e le laiche consacrate? Non si può capire la Chiesa senza di loro».

Senza voler essere critica nei confronti di nessuno, come presidente della Conferenza delle religiose in India, desidero rispettosamente proporre alla nostra riflessione le parole del videomessaggio: «invito [le religiose] a lottare quando vengono trattate ingiustamente, anche all’interno della Chiesa, quando il loro servizio, che è tanto grande, viene ridotto a servitù. E a volte da uomini di Chiesa».

Cosa più importante per noi religiose, durante la conferenza stampa nel volo di ritorno dopo la visita in Bahrein, ha detto: «una società che non è capace di mettere la donna al suo posto non va avanti». Ha poi aggiunto: «Ho visto che in Vaticano, ogni volta che una donna entra a fare un lavoro, le cose migliorano». Ha incoraggiato uomini e donne a lavorare insieme per il bene comune dell’umanità.

Devo ammettere che mi sento ancor più ispirata e determinata a vivere e a guidare con coraggio e compassione, a cercare, con il mio team, di aiutare le donne ad accettare la loro forza interiore e a credere nella presenza sempre amorevole di Dio in noi.

A nome di tutte le religiose cattoliche in India, desidero augurare al nostro amato Santo Padre Papa Francesco un felice 10° anniversario, e pregare perché Dio effonda abbondanti benedizioni su di lui e sulla sua missione. Possa continuare a guidarci a lungo secondo la volontà di Dio, e soprattutto essere benedetto da buona salute!

Ti amiamo, Papa Francesco!

di Maria Nirmalini


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