Nell’udienza ai rifugiati giunti in Europa attraverso i corridoi umanitari
Francesco ricorda il naufragio di Cutro e il conflitto in Ucraina

Per superare i muri
dell’indifferenza

 Per superare i muri dell’indifferenza  QUO-065
18 marzo 2023

«Il Papa non rinuncia a cercare la pace, a sperare nella pace
e a pregare per essa» 


Accogliere ed integrare superando i «muri di indifferenza su cui spesso si infrange la speranza di tantissime persone, che attendono per anni in situazioni dolorose e insostenibili». Lo ha auspicato Papa Francesco ricevendo in udienza stamattina, nell’Aula Paolo vi , rifugiati giunti in Europa attraverso i corridoi umanitari, insieme alle famiglie e ai rappresentanti delle comunità che li accolgono e ne curano l’integrazione. Ecco il discorso del Pontefice.

Cari amici e amiche,
buongiorno e benvenuti!

Ringrazio quanti sono intervenuti per spiegare l’iniziativa e per dare le loro testimonianze. Sono contento di incontrare tante persone rifugiate e le loro famiglie che sono giunte in Italia, Francia, Belgio e Andorra attraverso i corridoi umanitari. La loro realizzazione è dovuta sia alla creatività generosa della Comunità di Sant’Egidio, della Federazione delle Chiese Evangeliche e della Tavola Valdese, sia alla rete accogliente della Chiesa italiana, in particolare della Caritas, sia all’impegno del Governo italiano e dei Governi che vi hanno ricevuto.

I corridoi umanitari sono stati avviati nel 2016 come risposta alla situazione sempre più drammatica nella rotta Mediterranea. Oggi dobbiamo dire che quell’iniziativa è tragicamente attuale, anzi, più che mai necessaria; lo attesta purtroppo anche il recente naufragio di Cutro. Quel naufragio non doveva avvenire, e bisogna fare tutto il possibile perché non si ripeta. I corridoi gettano dei ponti che tanti bambini, donne, uomini, anziani, provenienti da situazioni molto precarie e da gravi pericoli, hanno infine percorso in sicurezza, legalità e dignità fino ai Paesi di accoglienza. Essi attraversano i confini e, ancor più, i muri di indifferenza su cui spesso si infrange la speranza di tantissime persone, che attendono per anni in situazioni dolorose e insostenibili.

Ognuno di voi merita attenzione per la storia dura che ha vissuto. In particolare, vorrei ricordare quanti sono passati attraverso i campi di detenzione in Libia; più volte ho avuto modo di ascoltare la loro esperienza di dolore, umiliazioni e violenze. I corridoi umanitari sono una via praticabile per evitare le tragedie e i pericoli legati al traffico di esseri umani. Tuttavia, occorrono ancora molti sforzi per estendere questo modello e per aprire più percorsi legali per la migrazione. Dove manca la volontà politica, i modelli efficaci come il vostro offrono nuove strade percorribili. Del resto, una migrazione sicura, ordinata, regolare e sostenibile è nell’interesse di tutti i Paesi. Se non si aiuta a riconoscere questo, il rischio è che la paura spenga il futuro e giustifichi le barriere su cui si infrangono vite umane.

Il lavoro che voi fate, individuando e accogliendo persone vulnerabili, cerca di rispondere nella maniera più adeguata a un segno dei tempi. Indica una strada all’Europa, perché non resti bloccata, spaventata, senza visione del futuro. In effetti, «la chiusura in sé stessi o nella propria cultura non è mai la via per ridare speranza» (Discorso all’Università Roma Tre, 17 febbraio 2017). In realtà, la storia europea si è sviluppata nei secoli attraverso l’integrazione di popolazioni e culture differenti. Non abbiamo allora paura del futuro!

I corridoi umanitari non solo mirano a far giungere in Italia e in altri Paesi europei persone profughe, strappandole da situazioni di incertezza, pericolo e attese infinite; essi operano anche per l’integrazione, perché non c’è accoglienza senza integrazione. Allo stesso tempo, nel vostro lavoro avete imparato che l’integrazione non è priva di difficoltà. Non tutti coloro che arrivano sono preparati al lungo cammino che li attende. Per questo è importante mettere in atto ancora più attenzione e creatività per informare meglio coloro che hanno l’opportunità di venire in Europa sulla realtà che incontreranno. E non dimentichiamo che le persone vanno accompagnate dall’inizio alla fine. Il vostro ruolo finisce quando una persona è veramente integrata nella nostra società. Insegna la Sacra Scrittura: «Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi» (Lv 19, 34).

Saluto qui le centinaia di persone, famiglie, comunità, che si sono messe a disposizione generosamente per realizzare questo processo virtuoso. Avete aperto i vostri cuori e le vostre case. Avete sostenuto con le vostre risorse l’integrazione e avete coinvolto altre persone. Vi ringrazio di cuore: voi rappresentate un volto bello dell’Europa, che si apre al futuro e paga di persona.

A voi, promotori dei “corridoi”, ai religiosi e alle religiose, ai singoli e alle organizzazioni che vi hanno partecipato vorrei dire: siete dei mediatori di una storia di integrazione, non intermediari che guadagnano approfittando del bisogno e delle sofferenze. Non siete intermediari ma mediatori, e mostrate che, se si lavora seriamente a porre le basi, è possibile accogliere e integrare efficacemente.

Questa storia di accoglienza è un impegno concreto per la pace. Sono presenti tra voi parecchi profughi ucraini; a loro voglio dire che il Papa non rinuncia a cercare la pace, a sperare nella pace e a pregare per essa. Lo faccio per il vostro Paese martoriato e per gli altri che sono colpiti dalla guerra; qui infatti ci sono tante persone che sono fuggite da altre guerre. E questo servizio ai poveri, ai profughi e ai rifugiati è anche un’esperienza forte di unità tra i cristiani. In effetti, questa iniziativa dei corridoi umanitari è ecumenica. È un bel segno che unisce fratelli e sorelle che condividono la fede in Cristo.

Saluto quindi con affetto quanti tra voi sono passati attraverso i corridoi umanitari e che ora vivono una nuova vita. Avete mostrato una ferma volontà di vivere liberi dalla paura e dall’insicurezza. Avete trovato amici e sostenitori che sono oggi per voi una seconda famiglia. Avete studiato una nuova lingua e conosciuto una nuova società. Tutto questo è stato difficile, ma è fecondo. Lo dico anche come figlio di una famiglia di emigrati che ha fatto questo percorso. Il vostro buon esempio e la vostra laboriosità aiutano a smentire le paure e gli allarmi verso gli stranieri. Anzi, la vostra presenza può essere una benedizione per il Paese in cui vi trovate e del quale avete imparato a rispettare le leggi e la cultura. L’ospitalità che vi è stata offerta è diventata per voi motivo per restituire: infatti alcuni di voi si impegnano nel servizio agli altri che sono nel bisogno.

Così, fratelli e sorelle, in questa nostra assemblea, dove sono insieme e quasi si confondono quelli che accolgono e quelli che sono accolti, possiamo gustare la parola del Signore Gesù: «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25, 35). Questa parola indica a noi tutti la strada. Una strada da percorrere insieme, con perseveranza. Grazie di averla aperta e di averla tracciata! Andate avanti! Il Signore vi benedica e la Madonna, Madre del cammino, vi custodisca. Anch’io vi benedico di cuore, e vi chiedo per favore di pregare per me.


Dall'inferno della Libia


«Vengo dall’inferno della Libia»: con la voce rotta dalla commozione Meskerem,  eritrea rifugiata in Italia grazie ai Corridoi umanitari, si è presentata   a Papa Francesco, che ha potuto ascoltare il suo grido di dolore grazie alla immediata traduzione di una giovane interprete. Poi, accompagnata dal marito e dalla figlia, gli ha consegnato alcuni fogli sui quali è riassunta la sua storia di dolore: dalla fuga dalla propria patria insieme con la sorella, poi dispersa, alla drammatica esperienza nei lager libici durata circa dieci anni. Lì, nei campi di prigionia chiamati Ghem ghem bari (“prima del mare”) è stata vittima di sfruttamento e violenze, ma vi ha anche conosciuto e sposato il suo Suleiman e dato alla luce la bambina che oggi, in completo di jeans, sorrideva felice accanto a Francesco. 

Dopo di lei Anna, originaria di Aleppo, ha raccontato la sua fuga dalla guerra in Siria nel 2016. Col marito  si è rifugiata in Libano fino al 2020, quando l’esplosione nel porto di Beirut li ha lasciati un’altra volta senza casa. «Ci siamo messi a cercare. Abbiamo sentito parlare dei corridoi umanitari, ci sembrava un sogno: la possibilità di vivere in pace, tranquillità, lavorare e impegnarci nella società, la possibilità per Pamela», la loro figlia, «di vivere una vita “normale”». Oltre alle storie di chi è stato accolto, tra i cinquemila presenti nell’Aula Paolo vi hanno portato la loro testimonianza anche quanti hanno offerto ospitalità aprendo le porte di casa. Come  Mattia, venuto da Castelfidardo, nelle Marche. Su iniziativa del suocero, nel 2018, accolsero una famiglia siriana fuggita dalle bombe e dalla distruzione di Homs.

I corridoi umanitari «sono nati dalla memoria dolorosa delle morti in mare, sono nati dal pianto e dalla preghiera. La preghiera e il dolore ci hanno aiutato a non rassegnarci: a riflettere, a lottare per costruire una via alternativa ai barconi… costretto quasi a quella creatività nell’amore di cui lei Santo Padre tante volte ha parlato». Così Daniela Pompei, responsabile della Comunità di Sant’Egidio per i servizi ai migranti, aveva aperto l’udienza, parlando anche a nome del fondatore Andrea Riccardi e del presidente Marco Impagliazzo. Ricordando la nascita di questa iniziativa di accoglienza, l’ha definita «un’altra via possibile oltre a quella disperata dei viaggi in mare». In particolare furono due tragedie — avvenute rispettivamente il 3 ottobre 2013, con 386 vittime a poche miglia da Lampedusa, e il 18 aprile 2015, con oltre 900 morti nel Canale di Sicilia, il più grave naufragio avvenuto nel Mediterraneo dopo la seconda guerra mondiale — che diedero il “la” all’apertura di un “varco” nel Mare nostrum. Perciò il 15 dicembre 2015 la Sant’Egidio, con le Chiese protestanti italiane e in accordo con i ministeri dell’Interno e degli Esteri, firmò il protocollo per l’apertura dei primi corridoi umanitari: 1.000 visti per altrettanti profughi siriani dai campi del Libano. Fece seguito un protocollo, sempre di Sant’Egidio con la Conferenza episcopale italiana, per 500 profughi dell’Africa subsahariana dai campi dell’Etiopia. Intento primario era quello di evitare i viaggi con i barconi della morte  e contrastare il business degli scafisti e dei trafficanti di esseri umani. Dal febbraio 2016, poi, i corridoi umanitari hanno permesso, con un sistema totalmente autofinanziato dalla società civile, a oltre seimila persone di raggiungere l’Europa in sicurezza. I Paesi di origine dei rifugiati più rappresentati sono Siria, Eritrea, Afghanistan, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Iraq, Yemen, Congo, Camerun. E poi, nell’ultimo anno, quelli dall’Ucraina. L’Italia è stata la nazione che ne ha accolti di più con oltre l’87%, ben 5.248 persone. Il modello è stato replicato in Belgio, Francia, e, in numero più esiguo,  ad Andorra e San Marino. 

Ha preso poi la parola Daniele Garrone, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), che ha sottolineato la dimensione ecumenica dei corridoi umanitari, affermando che «tutti e tutte siamo raggiunti dalla stessa Parola di Dio, che ci dona speranza e ci chiama al servizio del prossimo». E il prossimo, in questi casi, sono persone che portano «dentro di sé e spesso sul proprio corpo» storie drammatiche e, ha aggiunto, «la condivisione del pianto deve muovere “a praticare la giustizia”: i corridoi umanitari sono uno dei modi per cercare di rispondere a questo appello». E lo stesso Papa Francesco ha voluto rilanciare questa dimensione ecumenica, invitando i presenti a pregare insieme, ciascuno nella propria lingua, il “Padre nostro”.