Hic sunt leones
Cuore dell’espressione religiosa del continente, le 7 note hanno aiutato l’inculturazione

Musica africana
un mondo da scoprire

 Musica africana un mondo da scoprire  QUO-064
17 marzo 2023

Al contrario di quello che comunemente si pensa, l’Africa non è un continente culturalmente omogeneo e questo vale anche per la musica. I Paesi che si affacciano sul Mediterraneo sono infatti abitati da popolazioni legate al mondo arabo del vicino Medio Oriente, mentre nella macroregione Subsahariana sono presenti culture musicali che non solo hanno radici storiche autoctone, ma formano una rete di tradizioni distinte e al contempo reciprocamente collegate. Se da una parte dunque vi sono stati fattori, come vedremo più avanti, che hanno contribuito a creare diversità musicali, vale a dire distinte espressioni che traggono origine dai modi diversi d’applicare procedimenti e usi comuni; dall’altra vi sono tuttora coincidenze stilistiche, di pratica o d’uso, oltre a somiglianze contestuali e strumentali. È importante tenere presente che stiamo parlando di quella che viene definita la “galassia afro”, in cui sono presenti oltre 3.000 gruppi etnici dei quali 800 possono essere considerati maggioritari. Inoltre, in questo vasto continente, vi sono 2.000 lingue, vale a dire il 30 per cento (7.139) di quelle parlate nel mondo.

Va comunque osservato che le condizioni ambientali nelle quali le popolazioni africane hanno vissuto da tempi immemorabili non sono state affatto uniformi, né le loro storie hanno seguito lo stesso corso. Ad esempio, gli abitanti delle grandi savane e delle terre da pascolo hanno sviluppato culture che si differenziano da quelle delle popolazioni il cui habitat è costituito da foreste tropicali. Senza voler indugiare in queste diversità, è comunque evidente che le differenti aggregazioni hanno avuto un peso non indifferente. Vi sono state nel passato società senza istituzioni politiche centralizzate ed altre che avevano un sistema statale organizzato. Alcune di queste ebbero un fiorente sviluppo e si imposero come regni ed imperi di notevole importanza in diverse epoche storiche. A parte gli egizi e il Regno axumita, sovvengono le vicende del grande Regno del Ghana (od Ougadou), abitato dal popolo soninke, che raggiunse il massimo dell’espansione nell’ xi secolo e comprendeva buona parte della Mauritania sudorientale e del settore occidentale del Mali.

Per non parlare dell’impero Songhai, un popolo che viveva lungo le sponde del medio Niger. Alla fine del xv secolo esso divenne il più grande stato dell’Africa precoloniale. Tutto questo per dire che la fenomenologia musicale è stata influenzata da contesti diversi tra loro. Le culture ancestrali radicate in molti gruppi etnici disseminati nelle vaste zone rurali del continente hanno un proprio insieme di regole e credenze. Non solo, ogni aggregazione sociale all’interno delle etnie dispone di un proprio repertorio musicale di riferimento e dei sottogeneri conformi a determinate attività o ruoli. Il momento musicale è generalmente un evento sociale e chi scrive ne è stato testimone in più circostanze, visitando o vivendo in diversi Paesi africani. Pubbliche esecuzioni musicali hanno luogo in occasione di manifestazioni sociali come riti d’iniziazione, cerimonie, festival o incontri ricreativi. Ed è proprio nella cornice comunitaria che le tre forme di espressione musicale africana — canto, suono di strumenti musicali e danza — trovano armonia e risonanza.

Da rilevare che solitamente la musica tradizionale si trasmette oralmente, dunque non esistono spartiti e per questo motivo la variazione dei motivi è legata all’improvvisazione. La centralità dell’esperienza musicale comunitaria non preclude naturalmente l’uso individuale della musica e del canto da parte di giovani e anziani. Tra i Fon del Benin, un bambino che perde il suo primo dente deve cantare una speciale canzone per commemorare l’episodio, mentre tra i Brifor del Ghana i giovani pastori sono incoraggiati a suonare dei pifferi ricavati dai gambi del miglio e li suonano per comunicare con altri loro coetanei. E proprio a riguardo degli strumenti musicali, divenuti celebri in tutto il mondo, essi sono tradizionalmente prodotti con materiali naturali come zucche, corna, pelli, conchiglie; particolarmente nelle grandi città, ma non solo, vengono utilizzati materiali artificiali, perlopiù in alluminio o in metallo come lattine, stringhe, tappi di bottiglia e bidoni. La lista degli strumenti è lunga e i loro nomi variano a secondo delle zone. Nell’Africa Orientale e nell’Africa Centrale è diffuso il kayamba, un idiofono a percussione indiretta composto da canne sottili fissate su più tavole, all’interno delle quali vengono inseriti piccoli semi o sassolini. Questo strumento viene spesso utilizzato in danze, canti e cerimonie tradizionali.

Invece l’adungu è un cordofono della famiglia dell’arpa tradizionale in Uganda ed è di varie dimensioni. Quelli più piccoli, dal suono più acuto, sono in genere usati dai solisti; quelli più grandi per l’accompagnamento. Con ogni probabilità fu ideato dall’etnia Alur, presente nel West Nile, ma attualmente è diffuso in altri Paesi africani. Costruita in legno, comprende una cassa di risonanza ovoidale, talvolta arricchita con un sonaglio interno e un manico curvo a cui sono fissate le corde. Sul versante opposto del continente è diffuso il balafon, un idiofono a percussione diretta che viene ricavato dal legno di palissandro, unito con cordami e resine a zucche svuotate, che fungono da cassa di risonanza. Il balafon è uno strumento con una storia antichissima, ancora molto popolare nel Mali, nel Senegal, nella Guinea e in Gambia. Una cosa è certa: nella musica africana il ruolo degli strumenti non consiste nel semplice accompagnamento. Gli strumenti africani costituiscono, piuttosto, una gran parte della musica, come la voce, accompagnata dalla danza. Sta di fatto che oggi la scena musicale africana è a dir poco dinamica e in continuo mutamento, motivo per cui le forme tradizionali ed etniche, a seconda dei diversi contesti geografici e culturali, assumono connotazioni particolari, mescolandosi in alcuni casi con sonorità straniere. Emblematico è quanto sta avvenendo nel Corno d’Africa, regione geopolitica situata lungo la linea di faglia tra mondi diversi e storicamente comunicanti. Ecco che allora oltre al repertorio tradizionale si evidenziano contaminazioni musicali provenienti dalla Penisola Araba e dall’Oceano Indiano, oltre a quelle dall’areopago occidentale.

Un aspetto che non deve essere affatto sottovalutato riguarda l’integrazione della musica religiosa tradizionale africana nei servizi liturgici delle varie Chiese cristiane, tra cui quella cattolica. Interessante è lo studio del professor Morakeng Edward Kenneth Kenny Lebaka, della University of Zululand, il quale, partendo dalla sua esperienza in Sud Africa, ha rilevato che «la frequenza in chiesa è aumentata notevolmente dopo che la musica religiosa tradizionale africana è stata introdotta nei servizi liturgici evangelici luterani nel 2011». Il vescovo nigeriano monsignor Chidi Denis Isizoh, alla luce della sua esperienza pastorale ha osservato che «il punto di partenza dei missionari europei nel preparare le persone all’evangelizzazione è stato tradurre le canzoni cristiane in vernacolo e incoraggiare il canto collettivo. E questo perché si resero conto che la musica era ed è ancora un importante veicolo per raggiungere la profondità spirituale degli africani che è comunitaria ed allo stesso tempo religiosa. Si noterà, ugualmente, che è la musica ad aver ricevuto la prima e più evidente attenzione nel processo di inculturazione in Africa. Non è perché sia più semplice inculturare la musica, ma perché essa va dritta al centro dell’espressione religiosa africana». In altre parole, nella musica, gli africani esprimono ciò che credono.

di Giulio Albanese