Bailamme

Il dono che siamo

 Il dono che siamo  QUO-064
17 marzo 2023

«Tutto è grazia» leggiamo nel finale del Diario di un curato di campagna di Bernanos. Tutto è dono. I grandi artisti convengono e convergono su questo punto: c’è un’eccedenza nella vita che supera le proprie capacità e appare inspiegabile, un “di più” che la ragione non riesce a prevedere, programmare o calcolare. Bernanos compone il suo romanzo nel 1936, in quello stesso anno moriva in Inghilterra un autore come Chesterton che della gratitudine rispetto al dono che è la vita aveva fatto la sua bandiera poetica, fin nelle piccole liriche semplici come filastrocche: «Ecco, si chiude un altro giorno / nel quale ho avuto / occhi, orecchie, mani / e il gran mondo attorno a me; / e domani ne inizia un altro. / Perché me ne sono concessi due?».

Grande ammiratore di Chesterton, il poeta argentino Borges ripeteva spesso che «ogni poesia è misteriosa; nessuno sa interamente ciò che gli è stato concesso di scrivere». Il riconoscimento del dono ricevuto non è solo un fatto novecentesco, ma affonda le sue radici sin dall’inizio della storia dell’arte umana; come è noto il primo verso del primo poema occidentale contiene la preghiera alla divinità ispiratrice: «Cantami o Diva l’ira funesta del Pelide Achille». Qui Omero o chi per lui non si presenta come il poeta, il “cantore” ma il “cantato”, l’azione è passiva, non è un dare ma un ricevere, meglio: è un restituire quello che si è ricevuto. Questa in fondo è il senso profondo dell’arte: rimettere in circolo un dono che ci ha investito come un vento che ha (i)spirato.

Questo è anche il senso di una vita intesa come opera spirituale, su questa dimensione del dono convergono non solo gli artisti ma anche gli spiriti religiosi. «Quello che sei è il dono di Dio a te, quello che diventi è il tuo dono a Dio» affermava il teologo gesuita Hans Urs von Balthasar. Il dono qui diventa premessa e promessa. Entra in gioco sullo sfondo il tema della responsabilità, vista proprio dal punto di vista etimologico della parola: abilità, capacità a rispondere. Il dono è quindi davvero “tutto”, inizio e anche fine perché la fine non c’è se non come nuovo inizio: il nostro ricevere fa scaturire il gesto di donare per restituire, proprio come un bambino sorride alla mamma che gli sorride. Lo dice in modo più preciso sempre il grande teologo svizzero: «Il bambino è consapevole, sin dal primo aprire gli occhi della mente. Il suo “io” si risveglia nell’esperienza di un “tu”: nel sorriso di sua madre, da cui impara che è contenuto, confermato ed amato, in una relazione incomprensibilmente avvolgente, già protettiva e attuale».

di Andrea Monda