Il magistero

 Il magistero  QUO-063
16 marzo 2023

Sabato 11

La forza
e la creatività
delle donne

Ci incontriamo in occasione della presentazione del volume Più leadership femminile per un mondo migliore. Il prendersi cura come motore per la nostra casa comune.

Tratta un tema a me caro... uno dei primi messaggi che ho voluto dare dall’inizio del pontificato, ricordando san Giuseppe, tenero custode del Salvatore.

È frutto di una collaborazione inedita tra Università cattoliche e una Fondazione vaticana laicale... una modalità nuova, in cui la ricchezza dei contenuti deriva dall’apporto di esperienze, competenze, modi di sentire e approcci complementari.

Vorrei sottolineare tre aspetti del prendersi cura quale apporto delle donne per una maggiore inclusività e un maggior rispetto dell’altro e per affrontare in modo nuovo sfide nuove.

Inclusività

Le discriminazioni colpiscono le donne, come altre categorie deboli della società.

La diversità non deve mai sfociare nella disuguaglianza, ma in una grata e reciproca accoglienza.

La vera sapienza si impara e si vive camminando insieme, così diventa generatrice di pace.

Questa ricerca è un invito a non discriminare ma a integrare, specialmente i più fragili a livello economico, culturale, razziale e di genere. Nessuno escluso.

Il progetto di Dio Creatore è «essenzialmente inclusivo» e mette al centro proprio «gli abitanti delle periferie esistenziali».

Un progetto che, come fa una madre, guarda ai figli come alle dita diverse della sua mano.

Rispetto

Ogni persona va rispettata nella dignità e nei diritti fondamentali: istruzione, lavoro, libertà di espressione. Questo vale in particolare per le donne, più facilmente soggette a violenze e soprusi.

Da tanto tempo la donna è il primo materiale di scarto. È terribile questo.

Non possiamo tacere di fronte a questa piaga. La donna è usata.

Ti pagano meno. Guai andare con la pancia, perché se incinta non ti danno lavoro; se al lavoro ti vedono, ti mandano a casa. È una delle modalità che nelle città si usa: scartare le donne con la maternità.

Non lasciamo senza voce le donne vittime di abuso, sfruttamento, emarginazione e pressioni indebite.

Facciamoci voce del loro dolore e denunciamo le ingiustizie a cui sono soggette, spesso in contesti che le privano di ogni possibilità di difesa e riscatto.

Ma diamo anche spazio alle loro azioni, naturalmente e potentemente sensibili e orientate alla tutela della vita in ogni stato, in ogni età e in ogni condizione.

Sfide nuove

La specificità insostituibile del contributo femminile al bene comune è innegabile. Lo vediamo nella Sacra scrittura, dove sono le donne a determinare svolte importanti nella storia della salvezza.

Sara, Rebecca, Giuditta, Susanna, Rut, per culminare con Maria e le donne che hanno seguito Gesù sotto la croce, dove degli uomini era rimasto solo Giovanni, gli altri sono andati via. Le coraggiose erano lì: le donne.

Nella storia della Chiesa pensiamo a figure come Caterina da Siena, Giuseppina Bakhita, Edith Stein, Teresa di Calcutta e anche le donne “della porta accanto”, che sappiamo con tanta eroicità portare avanti matrimoni difficili, figli con problemi.

Le donne sono impressionanti per determinazione, coraggio, fedeltà, capacità di soffrire e di trasmettere gioia, onestà, umiltà, tenacia.

La nostra storia è letteralmente costellata di donne così, sia famose, sia ignote — ma non a Dio! — che mandano avanti le famiglie, le società e la Chiesa.

Anche in Vaticano le donne che “lavorano sodo”, pure in ruoli di responsabilità, sono ormai molte. Dal momento che la vice-governatrice è una donna, le cose funzionano meglio.

E altri posti, il Consiglio dell’Economia, per esempio, sono sei cardinali e sei laici, tutti uomini... è stato rinnovato due anni fa e dei laici uno è uomo e cinque donne, e ha incominciato a funzionare, perché hanno una capacità diversa di agire e pazienza.

Vorrei accennare alle intelligenze artificiali e al delicato problema del nascere di imprevedibili dinamiche di potere. È uno scenario ancora sconosciuto. E le donne in questo campo hanno tanto da dire.

Esse sanno sintetizzare tre linguaggi: quello della mente, quello del cuore e quello delle mani. Ma sinfonicamente.

La donna, quando è matura, pensa quello che sente e fa; sente quello che fa e pensa; fa quello che sente e pensa: è armonia.

È una sintesi solo dell’essere umano e che la donna incarna in maniera meravigliosa come nessuna macchina potrebbe, perché non sente battere dentro di sé il cuore di un figlio che porta in grembo, non crolla, stanca e felice, di fianco al lettino dei suoi bambini, non piange di dolore e di gioia partecipando ai dolori e alle gioie delle persone che ama.

(All’incontro promosso dalla “Strategic alliance
of catholic research universities” - Sacru e
dalla Fondazione Centesimus annus pro Pontifice)

La pace di Dio
crea ponti
e distrugge
paure

Misión América celebra il trentesimo anniversario [e] si avvicina alla “età perfetta”, quella di Cristo al momento della Passione. Avete voluto rinnovare il vostro impegno, che si concretizza nel lavoro a favore delle missioni in America e Africa.

Far sì che i tre anni che vi mancano per giungere all’età perfetta siano un cammino profondo in cui continuare a progredire nell’identificazione con Cristo.

La Chiesa deve uscire, stare in strada. A me dice molto quel testo dell’Apocalisse in cui Gesù dice “sono alla porta e busso”.

Oggi Gesù continua a bussare, ma dal di dentro affinché gli apriamo la porta e lo lasciamo uscire.

Nel vostro lavoro avete già percorso un importante cammino. Proponete quattro parole: visibilità, rispetto, volontariato e collaborazione.

Gesù mostra «le mani e il costato». Questa immagine riassume il “modo” in cui fu inviato dal Padre e ora invia noi, dando visibilità alla realtà del dolore, del peccato, della morte, non per condannare.

Allo stesso modo, nell’organizzare campagne di sensibilizzazione per far conoscere l’America Latina, l’orizzonte può essere far vedere su di essa la mano tesa di Cristo, che nelle sue piaghe offre rifugio.

La vera uguaglianza, la vera giustizia, non è imporre un percorso unico e utilitaristico per tutti, ma essere capaci di accompagnare ognuno, nella sua libertà, nel suo bisogno, affinché tutti possano rispondere alla chiamata di Dio.

Gesù effonde sui discepoli lo Spirito Santo, dando loro la forza, l’autorità per compiere la missione affidata.

I discepoli da quel momento è come se entrassero in un altro livello, più attivo, più intraprendente, con la forza dello Spirito.

In modo analogo cercate di dare impulso, partendo dalla Chiesa in Spagna, a questa vocazione del volontariato.

Infine, una parola per comprendere l’immenso dono di Gesù: «Pace a voi!».

Per quanto sia impossibile cogliere tutto il significato che questo concetto racchiude, voi lo traducete con collaborazione.

Vuol dire che la “pace” che Dio stabilisce con noi e tra noi trasforma l’esistenza, diventa quotidianità nel ricercare il bene, nel diffondere amore e concordia.

E genera realtà nuove, creando ponti, distruggendo paure e rancori, gli stessi che tenevano rinchiusi i discepoli.

Questa immagine di Gesù che invia la sua Chiesa in missione sia uno stimolo, per dare visibilità alle piaghe ancora tangibili nel suo Corpo mistico; per esigere il rispetto di ogni uomo; per lavorare e sostenere coloro che sono stati inviati.

(All’organizzazione “Misión América”)

Domenica 12

Sete d’amore

Questa domenica il Vangelo presenta uno degli incontri più affascinanti di Gesù, quello con la samaritana (Gv 4, 5-42).

Gesù assetato e stanco, si fa trovare al pozzo nell’ora più calda e come un mendicante chiede ristoro.

È un’immagine dell’abbassamento di Dio: in Gesù, si è fatto uno di noi; soffre la nostra stessa arsura.

Ciascuno può dire: il Maestro «mi chiede da bere. Ha sete come me... Mi sei vicino davvero, Signore! Sei legato alla mia povertà, mi hai preso dal basso, dal più basso di me stesso, ove nessuno mi raggiunge» (P. Mazzolari).

Perché avevi, e hai, sete di me. La sete di Gesù, infatti, non è solo fisica, esprime le arsure più profonde della nostra vita: è soprattutto sete del nostro amore.

È più di un mendicante, è un assetato del nostro amore.

Ed emergerà nella passione, sulla croce; lì, prima di morire, Gesù dirà: «Ho sete».

Quella sete dell’amore che lo ha portato ad abbassarsi, a essere uno di noi.

Ma il Signore, che chiede da bere, è Colui che dà da bere.

Gesù, come con la samaritana, ci viene incontro nel nostro quotidiano, condivide la nostra sete, ci promette l’acqua viva che fa zampillare la vita eterna.

Queste parole non sono solo la richiesta di Gesù alla samaritana, ma un appello che ogni giorno si leva verso di noi e ci chiede di prenderci cura della sete altrui.

Dammi da bere ci dicono quanti — in famiglia, sul posto di lavoro — hanno sete di vicinanza, attenzione, ascolto.

Lo dice chi ha sete della Parola di Dio e ha bisogno di trovare nella Chiesa un’oasi dove abbeverarsi.

Dammi da bere è l’appello della società, dove la fretta, la corsa al consumo e l’indifferenza generano aridità e vuoto interiore.

A tanti manca
l’acqua
per vivere

È il grido di tanti fratelli a cui manca l’acqua per vivere, mentre si continua a inquinare e deturpare la casa comune.

Davanti a queste sfide, il Vangelo offre l’acqua viva che può farci diventare fonte di ristoro per gli altri.

E allora, come la samaritana, che lasciò l’anfora al pozzo e andò a chiamare la gente del villaggio, anche noi non penseremo più solo a placare la nostra sete, materiale, intellettuale o culturale, ma con la gioia di aver incontrato il Signore potremo dissetare altri.

Dare senso alla vita altrui, non come padroni, ma come servitori di questa Parola di Dio; potremo capire la loro sete e condividere l’amore che Lui ha donato a noi.

Mi viene questa domanda: siamo capaci di capire la sete degli altri? La sete della gente, la sete di tanti della mia famiglia, del mio quartiere?

Possiamo chiederci: io ho sete di Dio, mi rendo conto che ho bisogno del suo amore come dell’acqua per vivere?

E poi, mi preoccupo della sete degli altri, la sete spirituale, la sete materiale?

(Angelus in piazza San Pietro)

Mercoledì 15

Nella Chiesa
tutti hanno
la stessa
dignità

Proseguiamo le catechesi sulla passione di evangelizzare... e, alla scuola del Concilio Vaticano ii, cerchiamo di capire meglio che cosa significa essere “apostoli” oggi.

La parola riporta alla mente il gruppo dei Dodici scelti da Gesù. A volte chiamiamo “apostolo” qualche santo, o più generalmente i Vescovi: sono apostoli, perché vanno in nome di Gesù.

Ma siamo consapevoli che l’essere apostoli riguarda ogni cristiano? ognuno di noi? Siamo chiamati a essere apostoli — cioè inviati — in una Chiesa che nel Credo professiamo come apostolica.

Cosa significa? Significa essere inviato per una missione.

Un aspetto fondamentale dell’essere apostolo è la vocazione, cioè la chiamata. È stato così fin dall’inizio, quando Gesù «chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui».

Li costituì come gruppo, attribuendo loro il titolo di “apostoli”, perché stessero con Lui e per inviarli in missione.

San Paolo nelle sue lettere si presenta così: «Paolo, chiamato a essere apostolo», cioè inviato; e ancora: «servo di Gesù Cristo, apostolo inviato per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio».

E insiste sul fatto di essere «apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti».

Chiamati
all’annuncio

L’esperienza dei Dodici e la testimonianza di Paolo interpellano anche noi.

Ci invitano a verificare i nostri atteggiamenti, le nostre scelte, le decisioni, sulla base di questi punti fermi: tutto dipende da una chiamata gratuita di Dio.

Dio ci sceglie anche per servizi che a volte sembrano sovrastare le nostre capacità o non corrispondere alle aspettative; alla chiamata ricevuta come dono gratuito bisogna rispondere gratuitamente.

È una chiamata che riguarda sia coloro che hanno ricevuto il sacramento dell’Ordine, sia le persone consacrate, sia ciascun fedele laico, uomo o donna: una chiamata a tutti.

Tu, il tesoro che hai ricevuto con la vocazione cristiana, sei costretto a darlo: è la dinamicità della vocazione, della vita.

Una chiamata che abilita a svolgere in modo attivo e creativo il compito apostolico, in seno a una Chiesa in cui «c’è diversità di ministero ma unità di missione».

In questo quadro, come il Concilio intende la collaborazione del laicato con la gerarchia? Si tratta di un mero adattamento strategico alle nuove situazioni che vengono? Niente affatto: c’è qualcosa di più, che supera le contingenze del momento e che mantiene un suo valore anche per noi.

La Chiesa è così, è apostolica.

Nel quadro dell’unità della missione, la diversità di carismi e di ministeri non deve dar luogo, all’interno del corpo ecclesiale, a categorie privilegiate.

Non c’è una promozione, e quando tu concepisci la vita cristiana come una promozione, che quello che è di sopra comanda gli altri perché è riuscito ad arrampicarsi, non è cristianesimo. È paganesimo.

La vocazione cristiana non è una promozione per andare in su! È un’altra cosa.

Chi ha più dignità, nella Chiesa: il vescovo, il sacerdote? No… tutti siamo cristiani al servizio degli altri.

Chi è più importante, nella Chiesa: la suora o la persona comune, battezzata, il bambino, il vescovo?

Tutti sono uguali, siamo uguali e quando una delle parti si crede più importante e un po’ alza il naso, sbaglia.

Quella non è la vocazione di Gesù. La vocazione che Gesù dà, a tutti — ma anche a coloro che sembrano in posti più alti — è il servizio, servire gli altri, umiliarti.

Se trovi una persona che nella Chiesa ha una vocazione più alta e tu la vedi vanitosa, tu dirai: “Poveretto”; prega per lui perché non ha capito cosa è la vocazione.

La vocazione di Dio è adorazione al Padre, amore alla comunità e servizio.

Questo è essere apostoli, questa è la testimonianza degli apostoli.

La questione dell’uguaglianza in dignità chiede di ripensare tanti aspetti delle nostre relazioni.

Ad esempio, siamo consapevoli che con le nostre parole possiamo ledere la dignità delle persone, rovinando le relazioni dentro la Chiesa?

Mentre cerchiamo di dialogare con il mondo, sappiamo anche dialogare tra noi credenti?

O nella parrocchia uno va contro l’altro, uno sparla dell’altro per arrampicarsi?

Sappiamo ascoltare per comprendere le ragioni dell’altro, oppure ci imponiamo, magari anche con parole felpate?

Ascoltare, umiliarsi, essere al servizio degli altri: questo è servire, è essere cristiano, è essere apostolo.

Fuggiamo dalla vanità dei posti.

Verificare il modo in cui viviamo la vocazione battesimale, il nostro modo di essere apostoli in una Chiesa apostolica, che è al servizio degli altri.

Grazie
agli argentini

Desidero ringraziare tutte le persone appartenenti alle parti politiche e i referenti sociali del mio Paese, che si sono riuniti per firmare una lettera di augurio in occasione del decimo anno di pontificato. Mi viene in mente di dirvi che bello che vi siate riuniti per parlare, discutere e portare avanti il Paese.

Rispettare
i luoghi
religiosi
in Ucraina

Penso alle suore ortodosse della Lavra di Kiev: chiedo alle parti in guerra di rispettare i luoghi religiosi. Le suore consacrate, le persone consacrate alla preghiera — siano di qualsiasi confessione — sono a sostegno del popolo di Dio.

(Udienza generale in piazza San Pietro)