L’ecumenismo è stato costantemente al centro del magistero di Papa Francesco ed è un aspetto sul quale riflettere al traguardo dei dieci anni di pontificato. La fratellanza umana, a cui tanto sollecita il Papa, passa certamente anche dalla famiglia delle Chiese cristiane che, in particolare quando si tratta di offrire solidarietà a persone fragili e in situazioni critiche, lo fa con sollecitudine e collaborazione: emblematico è il caso dei corridoi umanitari per i migranti. Nel viaggio apostolico in Sud Sudan, ad esempio, è stato evidente quanto l’impegno per la pace e la riconciliazione sia promosso sotto l’egida di uno spiccato ecumenismo. E, se si pensa al Sinodo sulla sinodalità, e al fatto che il Papa abbia accettato con entusiasmo la proposta di far precedere la sessione dell’assemblea generale, il prossimo autunno, proprio da una preghiera ecumenica animata dalla Comunità di Taizé, emerge chiaramente come questa connotazione non sia un elemento di corredo quanto costitutivo di un affidamento reciproco, tra fratelli in Cristo, per una Chiesa sempre più unita. Soprattutto in un’epoca segnata drammaticamente dal conflitto in Ucraina. Aspetti di cui parla ai media vaticani il cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani.
Il decennale del pontificato di Francesco dal punto di vista ecumenico: se volessimo seguire il filo rosso dell’ecumenismo in questo pontificato, come è stato strutturato, a che punto siamo arrivati, con Francesco?
Con Papa Francesco abbiamo l’ecumenismo dell’amicizia, l’ecumenismo dell’amore; molto importante è la cura dei rapporti con altre Chiese: per questo motivo ha anche creato molti eventi. Ricordo che si è recato a Lund in occasione dei 500 anni della Riforma insieme con la Federazione luterana mondiale. Si è recato appositamente a Gerusalemme, nel cinquantesimo anniversario del primo incontro tra Papa Paolo vi e il patriarca ecumenico Atenagora (25 maggio 2014), per celebrare la ricorrenza con il patriarca ecumenico Bartolomeo i; c’è stato il primo incontro nella storia tra un Papa e il patriarca russo ortodosso Kirill a L’Avana. In occasione dell’anniversario del Consiglio ecumenico delle Chiese, Papa Francesco si è recato appositamente a Ginevra... Tutto questo fa capire quanto per lui sia importante curare i rapporti, approfondire amicizie e — come ribadisce continuamente — le tre cose che ci suggerisce di fare: camminare insieme, pregare insieme, collaborare insieme. Questi sono impulsi fondamentali. In quasi tutti i viaggi apostolici è prevista anche una dimensione ecumenica, una preghiera ecumenica, un incontro ecumenico. Molte persone che vengono in visita a Roma vogliono incontrare il Papa: tutto questo è utile per l’approfondimento, sulla via dell’unità.
Nell’ecumenismo è forte l’impronta della propria origine, il contesto biografico. Cosa ritiene che Papa Francesco abbia introdotto in questo ambito della sua eredità spirituale e culturale?
Quello che mi ha colpito è che il Santo Padre ha una conoscenza e una vicinanza particolare nei riguardi di quei movimenti che per noi sono ancora un po’ estranei, come gli evangelici, i pentecostali — il pentecostalismo è oggi, da un punto di vista puramente numerico, la seconda realtà dopo la Chiesa cattolica. Ecco, in questo ambito Papa Francesco ha avuto incontri personali, lontano dagli occhi del pubblico, con rappresentanti della Chiesa pentecostale che, ovviamente, hanno aperto la porta al dialogo. Un tratto specifico dell’ecumenismo secondo Papa Francesco è quello che egli definisce l’ecumenismo del sangue, cioè la percezione del fatto che sì, oggi il cristianesimo è la religione maggiormente perseguitata al mondo, ma i cristiani non sono perseguitati perché sono luterani, ortodossi, metodisti o cattolici, ma per il fatto stesso di essere cristiani. Papa Francesco una volta aveva posto questa domanda difficile: se i persecutori dei cristiani riescono a farci sentire uniti in maniera così forte, perché nella vita quotidiana poi siamo noi stessi a separarci? Credo che questa sia la sfida più forte e più evidente per l’ecumenismo. Peraltro, non dobbiamo dimenticare che in questo campo Francesco ha rilevato la tradizione di Giovanni Paolo ii che, nella sua enciclica ecumenica Ut unum sint ha dedicato un capitolo intero all’ecumenismo dei martiri — quello che Papa Francesco chiama l’ecumenismo del sangue — ma è lo stesso concetto.
Cosa augura al Santo Padre per i prossimi anni? Un pensiero che desidera condividere con il pubblico, nell’ambito di questo anniversario di pontificato...
Che abbia la forza di continuare ad avere questi incontri e di approfondirli, perché senza l’ecumenismo dell’amore, l’ecumenismo teologico — l’ecumenismo della verità — non è gestibile. Per questo la preparazione del terreno con la coltivazione dei rapporti è di importanza determinante.
di Mario Galgano