Dieci anni di pontificato

«Regalatemi la pace»

 «Regalatemi la pace»  QUO-061
14 marzo 2023

Il Pontefice si racconta in un podcast  realizzato dai media vaticani 


«La parola che mi viene è che sembra ieri...» Santa Marta, tardo pomeriggio. Non è una intervista, sono già tante quelle legate a questo evento. Sono pensieri che riannodano il filo di un periodo ecclesiale intenso, il suo pontificato. Dieci anni... Vissuti in «tensione», dice, in un tempo che è superiore allo spazio e che ha visto avvicendarsi eventi, incontri, volti, viaggi. Papa Francesco attende in piedi, alla porta, reggendosi al bastone. Sorride davanti al microfono con il logo dei media vaticani e chiede: «Un podcast? Cos’è?». «Bello, facciamolo», è la reazione dopo la spiegazione. Quindi la domanda: cosa sente di condividere con il mondo in occasione di questo traguardo per la sua vita e il suo ministero?

«Il tempo è pressuroso, non so se si dice pressuroso o pressante in italiano, va di fretta. E quando tu vuoi cogliere l’oggi, è già ieri. E se vuoi cogliere il domani, ancora non c’è. E tu stai in questa tensione di un oggi che è ieri e non è domani. Vivere così, è una novità. Questi dieci anni credo che sono stati così... oggi pensando ai miei dieci anni: si, sì ma è questo stato, avanti! Una tensione, vivere in tensione».

Migliaia le udienze, centinaia le visite in diocesi e parrocchie, quaranta i viaggi apostolici internazionali. Tre anni fa quello in Iraq, come primo Papa a toccare la terra ferita di quella cerniera mediorientale. «È stato bellissimo quello», afferma. Ma di tutte queste esperienze vissute in un decennio, in ogni angolo del globo, nel cuore c’è un ricordo più intenso degli altri.

«Il più bello è stato l’incontro in piazza con i vecchi. I vecchi sono saggezza e mi aiutano tanto. Anche io sono vecchio, no? Ma i vecchi sono come il buon vino che ha quella storia stagionata. Gli incontri con i vecchi a me rinnovano e mi fanno più giovane, non so perché... Sono dei momenti belli, belli, belli».

Di momenti brutti invece ce ne sono stati alcuni. E tutti relativi a quel mostro generatore di sofferenza umana, in passato come nel presente: la guerra... «Momenti ce ne sono stati alcuni, ma sullo stesso tema. Vorrei fare una sintesi di una catena di momenti brutti. Ho cominciato a Redipuglia con il cimitero della guerra, poi ad Anzio al cimitero americano quando sono andato a celebrare la Messa del 2 novembre, e poi l’ho visto nella commemorazione del sessantesimo dello sbarco in Normandia. Tutti i capi di governo festeggiavano e ho pensato che sono rimasti sulla spiaggia 20-30 mila ragazzi».

«Penso alle mamme — dice ancora il Papa — che ricevono una lettera: “Signora, ho l’onore di dirle che lei è la mamma di un eroe. Questa è la medaglia”. La lettera, la medaglia, ma il figlio non c’è più».

L’impatto con la guerra ha segnato il pontificato: dalla veglia del settembre 2013 per scongiurare il pericolo di un conflitto in Siria, rimasto poi inesploso, alla barbarie che si vive da oltre un anno in Ucraina. In mezzo, gli orrori toccati con mano in giro per il pianeta e ascoltati dalla voce delle vittime della violenza, non ultime quelle in Repubblica Democratica del Congo. Piccoli pezzi che si stanno ricomponendo in un unico grande conflitto globale. Domando se pensava di essere lui, Jorge Mario Bergoglio, il vescovo venuto da lontano, il Papa della Terza guerra mondiale.

«Non pensavo... Pensavo che quello della Siria fosse una cosa singolare, sola, ma poi c’è stato lo Yemen, la tragedia dei Rohingya in Myanmar quando sono andato lì e ho visto che c’era una guerra mondiale. Ma dietro le guerre mondiali, dietro le guerre, c’è l’industria delle armi, questo è diabolico. Mi diceva un tecnico che conosce bene: se durante un anno non si facessero armi, finirebbe la fame nel mondo. Questo è terribile».

Un Papa in tempo di guerra, quindi: «Mi fa soffrire vedere i morti, questi ragazzi sia russi che ucraini, non mi interessa. Non tornano. È dura».

E allora — gli domando — se il mondo oggi, per l’importante anniversario del suo pontificato, dovesse fargli un regalo, quale vorrebbe che fosse? «La pace, ci vuole la pace», risponde di getto.

L’ultimo pensiero è uno spunto alla riflessione e l’invito a condividere qualcosa di personale, i sogni, quelli a cui — come ha sempre detto — non bisogna mai rinunciare perché strettamente legati alla memoria e al futuro. Tre i sogni del Papa: per la Chiesa, per il mondo e per chi il mondo lo governa, il sogno per l’umanità.

«Tre parole: fratellanza, pianto e sorriso... Fratellanza umana, siamo tutti fratelli, ricomporre la fratellanza. Imparare a non avere paura di piangere e sorridere: quando una persona sa piangere e sorridere, è una persona che ha i piedi per terra e lo sguardo sull’orizzonte del futuro. Se ci si dimentica di piangere, qualcosa non funziona. E se si dimentica di sorridere, peggio ancora».

«Grazie», scandisce infine e muove la mano, abituato come sempre ad accompagnare le parole di gratitudine con una benedizione. La invia in effetti, questa benedizione, a tutti coloro che tramite le onde di Radio Vaticana ascoltano la sua voce in ogni latitudine e che in queste ore inviano messaggi di auguri: «Grazie a voi che siete così benevoli, sempre buoni con me. Continuate a pregare per me e grazie! Vi auguro il meglio».

Il Papa va avanti. I drammi restano all’orizzonte, come pure le sfide dentro e fuori la Chiesa. «Ma il buonumore», dice, «quello serve sempre». Il primo a strappare un sorriso è lui. Nel salutarci, allunga la mano e la piega a cucchiaio, ed esclama: «Cento lire». Più che una battuta è la citazione di un tipo di cinema che ha sempre amato e richiamato, il neorealismo. In questo caso un film Miracolo a Milano. «Ricordi quella scena con De Sica che faceva l’indovinatore?».

di Salvatore Cernuzio