Il magistero

 Il magistero  QUO-057
09 marzo 2023

Domenica 5 marzo

Luce
della santità
di Dio

In questa seconda Domenica di Quaresima viene proclamato il vangelo della Trasfigurazione: Gesù porta con sé, sul monte, Pietro, Giacomo e Giovanni, e si rivela a loro in tutta la sua bellezza di Figlio di Dio (Mt 17, 1-9).

In che cosa consiste questa bellezza? Cosa vedono i discepoli? Un effetto spettacolare? No.

Vedono la luce della santità di Dio risplendere nel volto e nelle vesti di Gesù, immagine perfetta del Padre.

Si rivela la maestà di Dio... Ma Dio è Amore, e dunque i discepoli hanno visto con i loro occhi lo splendore dell’Amore divino incarnato in Cristo.

Hanno avuto un anticipo del paradiso!

Che sorpresa per i discepoli! Avevano avuto sotto gli occhi per tanto tempo il volto dell’Amore, e non si erano mai accorti di quanto fosse bello!

Solo adesso se ne rendono conto e con immensa gioia.

Gesù, in realtà, con questa esperienza li sta formando, li sta preparando a un passo più importante.

Di lì a poco, infatti, dovranno riconoscere in Lui la stessa bellezza, quando salirà sulla croce e il suo volto sarà sfigurato.

Pietro fatica a capire: vorrebbe fermare il tempo, mettere la scena in “pausa”, stare lì e prolungare questa esperienza meravigliosa; ma Gesù non lo permette.

La sua luce non si può ridurre a un “momento magico”!

Così diventerebbe una cosa finta, artificiale, che si dissolve nella nebbia dei sentimenti passeggeri.

Al contrario, Cristo è la luce che orienta il cammino, come la colonna di fuoco per il popolo nel deserto (Es 13, 21).

La bellezza di Gesù non aliena i discepoli dalla realtà della vita, ma dà loro la forza di seguire Lui fino a Gerusalemme, alla croce.

La bellezza di Cristo ti porta sempre avanti, non ti fa nascondere.

Questo Vangelo traccia anche per noi una strada: ci insegna quanto è importante stare con Gesù, anche quando non è facile capire tutto quello che dice e fa per noi.

Bellezza
dell’amore
che si dona

È stando con Lui che impariamo a riconoscere sul suo volto la bellezza luminosa dell’amore che si dona, anche quando porta i segni della croce.

Alla sua scuola impariamo a cogliere la stessa bellezza nei volti delle persone che ogni giorno camminano accanto a noi: familiari, amici, colleghi, chi si prende cura di noi.

Quanti volti luminosi, quanti sorrisi, quante rughe, quante lacrime e cicatrici parlano d’amore attorno a noi!

Impariamo a riconoscerli e a riempircene il cuore.

E poi partiamo, per portare anche agli altri la luce che abbiamo ricevuto, con le opere concrete dell’amore, tuffandoci con più generosità nelle occupazioni quotidiane, amando, servendo e perdonando con più slancio e disponibilità.

La contemplazione delle meraviglie di Dio, del volto, della faccia del Signore, deve spingere al servizio degli altri.

Sappiamo riconoscere la luce dell’amore di Dio nella nostra vita?

La riconosciamo con gioia e gratitudine nei volti delle persone che ci vogliono bene?

Attenti
ai fuochi
di paglia

Cerchiamo attorno a noi i segni di questa luce, che ci riempie il cuore e lo apre all’amore e al servizio?

Oppure preferiamo i fuochi di paglia degli idoli, che ci alienano e ci chiudono in noi stessi?

La grande luce del Signore e la luce finta, artificiale degli idoli. Cosa preferisco?

Maria, che ha custodito nel cuore la luce del Figlio anche nel buio del Calvario, ci accompagni sempre sulla via dell’amore.

(Angelus in piazza San Pietro)

Lunedì 6

Percorso
sinodale
e cammino
sacerdotale

La vostra visita a Roma, nel cuore della Chiesa, avviene mentre celebrate il 175° anniversario della fondazione.

L’occasione è propizia per rendere grazie a Dio per il gran numero di sacerdoti formati dalla vostra Istituzione.

Sono anche lieto di sapere che il Seminario continua a rispondere alle esigenze attuali della Chiesa, educando diaconi e ministri laici per aiutare i membri del Popolo santo di Dio a essere discepoli missionari.

Questa chiamata assume un’importanza sempre maggiore alla luce del percorso sinodale che la Chiesa ha intrapreso.

Mentre procedete sulla strada che conduce all’ordinazione e al servizio pastorale, vorrei condividere alcune riflessioni su tre caratteristiche del processo sinodale essenziali anche per la vostra formazione.

Ascolto

La prima è l’ascolto, soprattutto del Signore.

Sappiamo che da soli non possiamo fare nulla.

Questa consapevolezza ci chiama a fare spazio ogni giorno della vita al Signore, a meditare la sua Parola, a trovare luce per il cammino attraverso un accompagnamento spirituale, e soprattutto a trascorrere tempo con Lui in preghiera, ascoltandolo in silenzio davanti al Tabernacolo.

Non dimenticate mai l’importanza di mettervi davanti al Signore per ascoltare ciò che vuole dirvi.

Ascoltare la voce di Dio nel profondo del cuore e discernere la sua volontà è indispensabile per la crescita interiore, soprattutto quando ci troviamo di fronte a compiti urgenti e difficili.

La vita del seminario vi offre già la possibilità di coltivare un’abitudine alla preghiera che vi servirà nel futuro ministero.

Nello stesso tempo, l’ascolto del Signore comporta anche la risposta di fede a tutto ciò che Egli ha rivelato e che la Chiesa trasmette, affinché possiate insegnare e annunciare agli altri la verità e la bellezza del Vangelo in modo autentico e gioioso.

Procedere
insieme

La seconda caratteristica è il camminare insieme.

Il tempo in seminario è un’opportunità per approfondire lo spirito di comunione fraterna, non solo tra voi, ma anche con il vescovo, col presbiterio della Chiesa locale, con i consacrati e i fedeli laici, così come con la Chiesa universale.

Dobbiamo riconoscerci parte di un unico grande Popolo che ha ricevuto le promesse di Dio come un dono, non come un privilegio.

Allo stesso modo, la vocazione è un dono da mettere al servizio dell’edificazione del corpo di Cristo.

Infatti, il buon pastore cammina insieme al gregge: a volte davanti, per indicare la strada; a volte in mezzo, per incoraggiare, e a volte dietro, per accompagnare quelli che fanno più fatica.

Ricordate che è importante camminare con il gregge, mai separati da esso.

Testimonianza

Terza caratteristica: la testimonianza. L’ascolto di Dio e il camminare insieme agli altri portano frutto nel diventare segni vivi di Gesù presente nel mondo.

Possano gli anni trascorsi in seminario prepararvi a donarvi completamente a Dio e al suo Popolo santo, nell’amore celibatario e con cuore indiviso.

La Chiesa ha bisogno del vostro entusiasmo, della vostra generosità e del vostro zelo per mostrare a tutti che Dio è sempre con noi, in ogni circostanza della vita.

Prego affinché, nelle varie forme di apostolato educativo e caritativo in cui siete impegnati, siate segno di una Chiesa in uscita, testimoniando e condividendo l’amore misericordioso di Gesù con tutti i membri della famiglia umana, specialmente i poveri e i bisognosi.

L’ascolto, il camminare insieme e la testimonianza segnano il percorso sinodale della Chiesa e anche il vostro cammino verso l’ordinazione sacerdotale.

Confido che, mentre procedete su questa strada, i vostri studi e la formazione vi permetteranno di crescere nell’amore fedele a Dio e nel servizio umile ai fratelli.

(Alla comunità
del seminario statunitense di Cleveland)

Mercoledì 8

Evangelizzare
è un servizio

Nella scorsa catechesi abbiamo visto che il primo “concilio” nella storia della Chiesa fu convocato a Gerusalemme per una questione legata all’annuncio della Buona Notizia ai non ebrei — si pensava che soltanto agli ebrei si doveva portare il Vangelo.

Nel xx secolo, il Concilio Ecumenico Vaticano ii ha presentato la Chiesa come Popolo di Dio pellegrino nel tempo e per sua natura missionario. Cosa significa?

C’è come un ponte tra il primo e l’ultimo Concilio, nel segno dell’evangelizzazione, il cui architetto è lo Spirito Santo.

Oggi ci mettiamo in ascolto del Vaticano ii , per scoprire che evangelizzare è sempre un servizio ecclesiale, mai solitario, mai isolato, mai individualistico.

L’evangelizzazione si fa sempre in ecclesia, cioè in comunità e senza proselitismo, perché quello non è evangelizzazione.

L’evangelizzatore trasmette sempre ciò che lui stesso o lei stessa ha ricevuto.

Il vangelo che san Paolo annunciava e che le comunità ricevevano è lo stesso che aveva a sua volta ricevuto.

Si riceve la fede e si trasmette la fede. Questo dinamismo ecclesiale è vincolante e garantisce l’autenticità dell’annuncio.

Lo stesso apostolo scrive ai Galati: «Se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema» (1, 8).

E questo viene bene a tante visioni che sono alla moda.

La dimensione ecclesiale dell’evangelizzazione costituisce perciò un criterio di verifica dello zelo apostolico.

Una verifica necessaria, perché la tentazione di procedere “in solitaria” è sempre in agguato, specialmente quando il cammino si fa impervio e sentiamo il peso dell’impegno.

Altrettanto pericolosa è la tentazione di seguire più facili vie pseudo-ecclesiali, di adottare la logica mondana dei numeri e dei sondaggi, di contare sulla forza delle nostre idee, dei programmi, delle strutture, delle “relazioni che contano”.

Questo non va, deve aiutare un po’ ma fondamentale è la forza che lo Spirito dà per annunciare la verità di Gesù, il Vangelo. Le altre cose sono secondarie.

Ora ci poniamo più direttamente alla scuola del Concilio Vaticano ii, rileggendo alcuni numeri del Decreto Ad gentes ( ag ) sull’attività missionaria della Chiesa.

Questi testi del Vaticano ii mantengono pienamente il loro valore anche nel nostro contesto complesso e plurale.

[Esso] invita a considerare l’amore di Dio Padre, come una sorgente, che «per la sua immensa e misericordiosa benevolenza liberatrice ci crea e, inoltre, per grazia ci chiama a partecipare alla sua vita e alla sua gloria. Questa è la nostra vocazione. Egli per pura generosità ha effuso e continua a effondere la sua divina bontà, in modo che, come di tutti è il creatore, così possa essere anche “tutto in tutti” (1 Cor 15, 28), procurando insieme la sua gloria e la nostra felicità» (n. 2).

Per tutti
non per
un gruppetto

Questo brano è fondamentale, perché dice che l’amore del Padre ha per destinatario ogni essere umano. L’amore di Dio non è per un gruppetto solo, no… per tutti.

Quella parola mettetela bene nella testa e nel cuore: tutti, nessuno escluso, dice il Signore.

Questo amore per ogni essere umano raggiunge ogni uomo e donna attraverso la missione di Gesù mediatore della salvezza e nostro redentore ( ag , 3) e la missione dello Spirito Santo ( ag , 4).

Il quale opera in ciascuno, sia nei battezzati sia nei non battezzati.

Il Concilio inoltre ricorda che è compito della Chiesa proseguire la missione di Cristo.

Il quale è stato «inviato a portare la buona novella ai poveri; per questo è necessario che la Chiesa, sempre sotto l’influsso dello Spirito Santo, lo Spirito di Cristo, segua la stessa strada seguita da questi, la strada cioè della povertà, dell’obbedienza, del servizio e del sacrificio di se stesso fino alla morte, da cui poi, risorgendo, Egli uscì vincitore» ( ag , 5).

Se rimane fedele a questa “strada”, la missione della Chiesa è «la manifestazione, cioè l’epifania e la realizzazione, del piano divino nel mondo e nella storia» ( ag , 9).

Lo zelo non è
entusiasmo
ma grazia

Questo aiuta a comprendere anche il senso ecclesiale dello zelo apostolico di ciascun discepolo-missionario.

Non è entusiasmo, è una grazia di Dio, che dobbiamo custodire.

Dobbiamo capire il senso, perché nel Popolo di Dio pellegrino ed evangelizzatore non ci sono soggetti attivi e soggetti passivi.

Non ci sono quelli che predicano, che annunciano il Vangelo, e quelli che stanno zitti. No.

«Ciascun battezzato — dice Evangelii Gaudium — qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione» (120).

Tu sei cristiano? “Sì, ho ricevuto il Battesimo”. E evangelizzi? “Ma cosa significa questo?”. Se tu non evangelizzi, se non dai quella testimonianza del Battesimo che hai ricevuto, della fede che il Signore ti ha dato, non sei un buon cristiano.

In virtù del Battesimo ricevuto e della conseguente incorporazione nella Chiesa, ogni battezzato partecipa alla missione della Chiesa e, in essa, alla missione di Cristo Re, Sacerdote e Profeta.

Questo compito «è uno e immutabile in ogni luogo e in ogni situazione, anche se in base al variare delle circostanze non si esplica allo stesso modo» ( ag , 6).

Questo ci invita a non sclerotizzarci o fossilizzarci; ci riscatta da questa inquietudine che non è di Dio.

Un dono
da dare
agli altri

Lo zelo missionario del credente si esprime anche come ricerca creativa di nuovi modi di annunciare e testimoniare, di nuovi modi per incontrare l’umanità ferita di cui Cristo si è fatto carico.

Di nuovi modi per rendere servizio al Vangelo e all’umanità.

L’evangelizzazione è un servizio.

Se uno non ha quell’atteggiamento, quel cuore di servitore, e si crede padrone, non è un evangelizzatore, è un poveraccio.

Risalire all’amore fontale del Padre e alle missioni del Figlio e dello Spirito non ci chiude in spazi di statica tranquillità.

Al contrario, porta a riconoscere la gratuità del dono della pienezza di vita alla quale siamo chiamati, dono per il quale lodiamo e ringraziamo Dio.

Questo dono non è soltanto per noi, ma è per darlo agli altri.

E ci porta anche a vivere sempre più pienamente quanto ricevuto condividendolo, con senso di responsabilità e percorrendo insieme le strade, tante volte tortuose e difficili della storia, in attesa vigilante e operosa del suo compimento.

Chiediamo al Signore di prendere in mano questa vocazione cristiana e rendere grazie per questo tesoro che ci ha dato. E cercare di comunicarlo agli altri.

(Udienza generale in piazza San Pietro)