In migliaia a Steccato di Cutro con l’arcivescovo Panzetta e l’imam Achik

Via Crucis per i migranti morti in mare
e per un’Europa
senza «filo spinato»

 Via Crucis  per i migranti  morti in mare e per un’Europa senza «filo spinato»  QUO-054
06 marzo 2023

Una felpa grigia taglia 24-36 mesi è in mezzo alla spiaggia di Steccato di Cutro, coperta di sabbia, pietruzze e «cannizzi», come i cutresi chiamano le canne di legno. Qualcuno ha creato a fianco un piccolo altarino, con candele, fiori e una croce. Anna, una donna di Cutro con in braccio il suo cagnolino, era in ginocchio ad accarezzare la manica. Intanto piangeva così forte che le si è sciolto il trucco: «Quelle anime di Dio… Chissà il freddo in quell’acqua gelida. Sono venuti da noi a cercare la vita e hanno trovato la morte». Le parole della donna si perdevano in mezzo a canti e preghiere delle 14 stazioni della Via Crucis che l’arcidiocesi di Crotone-Santa Severina ha organizzato ieri pomeriggio sulla spiaggia di Steccato di Cutro, per commemorare i naufraghi che proprio in quella «tomba d’acqua» che è divenuto il mar Ionio hanno perso la vita la notte del 26 febbraio.

Su quella riva dove sono riemersi dall’acqua i corpi di 71 uomini, donne, bambini — principalmente afghani e pakistani —, denudati dalla violenza delle onde, la gente di Crotone e del circondario ha camminato in processione dietro un enorme crocifisso sbilenco in legno. Non un legno qualsiasi ma il legno del barcone frantumato, con gli stessi bulloni e gli stessi chiodi che l’urto ha fatto saltare in aria. L’ha realizzata, «nelle ore successive il dramma», l’artista locale Maurizio Giglio e sarà custodita nella parrocchia di Le Castella. «Vedendo travi e legni ho pensato alla croce di Gesù: anche questo legno grezzo e freddo porta il corpo di tanti innocenti morti per colpe che non hanno commesso», ha spiegato il parroco, don Francesco Loprete. La croce è, dunque, un simbolo per la memoria perché «il mare si sta portando via tutto e il rischio — ha ammonito il sacerdote — è che anche noi possiamo cancellare dalla nostra mente questo dramma».

A portare a turno ieri la croce sulle spalle durante la processione sono stati i fedeli delle parrocchie di Botricello, Rocca Bernarda, Belcastro, Le Castella, Isola Capo Rizzuto, San Leonardo e tutti i comuni vicini. I sindaci hanno fatto da cruciferi nella penultima stazione.

Dietro a loro, sotto l’ombra delle due braccia lignee, camminavano fianco a fianco l’arcivescovo Angelo Raffaele Panzetta e l’imam della moschea di Cutro, Mustafa Achik, l’uno accanto all’altro a pregare insieme per le anime delle vittime, la maggior parte delle quali di fede islamica. Il vescovo con la stola rossa e le mani giunte; l’imam, affiancato dalla figlia quattordicenne Malak, tenendo in mano il tappetino usato dai musulmani per le loro cinque preghiere giornaliere. Un’immagine potente, come quella del primo marzo quando i due si sono messi in ginocchio alla camera ardente sulle 66 salme allineate nel Palamilone. Panzetta appena arrivato ha spiegato infatti che la Via Crucis si svolgeva «in unione ai nostri fratelli musulmani, per pregare insieme l’unico Dio».

Tutto intorno c’era un popolo commosso e sinceramente partecipe. Migliaia di persone, cinquemila hanno contato gli organizzatori dell’ufficio Migrantes: «Non ci aspettavamo questa grande partecipazione». «Era doveroso essere qui, siamo tutti coinvolti in questa tragedia che ha bussato alle nostre case», ha commentato una donna a braccetto col marito. C’era lei, c’erano i pompieri, i gruppi sportivi, i commercianti del luogo, i bambini, gli anziani, intere famiglie, due ragazzi in sedia a rotelle. C’erano l’arcivescovo di Cosenza, Giovanni Checchinato, e il vescovo di Lamezia Terme, Serafino Parisi.

Hanno pianto, intonato canti con la chitarra, recitato preghiere leggendo il libretto inviato tramite il canale Telegram “Diocesi Kr”. Durante il percorso che fa memoria del cammino di Cristo verso il Golgota, il pensiero è andato ai bambini innocenti morti per le ingiustizie, per chi soffre per le tragedie del mondo o per «politiche esclusive ed egoiste», per le mamme che perdono i figli. Il cielo, inizialmente terso, si è scurito quando la folla è arrivata sulla spiaggia, quasi a voler assecondare l’atmosfera di commozione alla vista dei resti del naufragio: scarpe spaiate, indumenti, salvagenti, giocattoli, scorte di cibo. La risacca ha portato tutto a riva. E qualcuno, forse i parenti o anche gli stessi superstiti, hanno pensato di raccogliere tutto sotto croci improvvisate in legno e fil di ferro. Su una di queste croci, una signora anziana si è inginocchiata per poggiare un rosario rosso. Con gli altri si è radunata intorno al relitto per ascoltare le parole dell’arcivescovo. Parole forti, dette a braccio e con tono misurato, indirizzate ai singoli fedeli ma anche a chi detiene ruoli di responsabilità. «Se accogliamo veramente Gesù, dobbiamo lasciarci cambiare il cuore e non permettere alla paura di farci diventare persone dal cuore gelido», ha scandito monsignor Panzetta. «Se siamo cristiani non possiamo non essere accoglienti, dobbiamo essere accoglienti, dobbiamo avere il cuore aperto come Gesù e quindi non vogliamo un’Europa col filo spinato, un’Europa nella quale è difficile trovare accoglienza. I poveri sono la carne di Gesù, quelli che hanno perso la vita in questo mare sono la carne di Gesù. E pertanto, proprio guardando questo mare, dobbiamo batterci il petto tutti, nessuno escluso. Perché abbiamo la responsabilità di generare intorno a noi un clima di accoglienza, fraternità, amicizia. Vogliamo una convivialità delle differenze».

Un Eterno riposo recitato in coro ha concluso la Via Crucis. Al microfono l’imam ha ringraziato tutti per il sostegno mostrato alla comunità islamica: «Dio è uno e vuole il bene di tutti», ha detto. Insieme a un sacerdote Mustafa Achik ha preso una corona di fiori bianchi e l’ha gettata in mare. La memoria è tornata a Lampedusa, dieci anni fa, quando Papa Francesco fece lo stesso gesto simbolico per onorare la memoria dei morti seppelliti non dalla terra ma dall’acqua del Mediterraneo, «cimitero a cielo aperto». Ancor di più, ora, dopo questa ennesima tragedia.

dall’inviato
Salvatore Cernuzio