Luca ama la vita e lo sport allo stesso modo. A chi da ragazzo gli chiede cosa intende fare da grande, risponde con sicurezza: «Il recordman, come Pietro Mennea», suo primo punto di riferimento atletico. Per emularlo, Luca Mazzone si allena per strada e solleva i pesi nella piazzetta retrostante la macelleria di suo padre, nel centro storico di Terlizzi (Bari). Per tenersi in forma, pratica il calcio e soprattutto il nuoto, ma un tuffo avventuroso nelle acque della vicina Giovinazzo lo rende tetraplegico a 19 anni. Batte il capo contro uno scoglio in fase d’immersione, subisce lesioni midollari permanenti: non sta più in piedi da solo. E qual è il peggior nemico di chi convive con la disabilità? «La resa e il pietismo di chi ti sta intorno: ti mette al muro, ti spinge all’isolamento». Appena maggiorenne è già ultimo, scartato dalla mentalità corrente.
Luca, però, non immagina la propria vita così. Ha una volontà formidabile, una famiglia che lo sostiene. Resiste. Vuol rinascere. E rinasce. A Marsiglia, la riabilitazione in piscina. Ritrova se stesso nell’elemento naturale che più ama: l’acqua. Se il liquido amniotico materno ha rappresentato la sua prima culla, e il mare irto di scogli di Giovinazzo la sua possibile tomba, la piscina per attività riabilitative di Marsiglia è la conchiglia del suo nuovo bagno battesimale. Lì segue in tv le gare di nuoto alle Paralimpiadi di Atlanta ’96: lo motivano. Vorrebbe farcela anche lui! Se lo propone: tuffarsi nello sport agonistico per forzare il limite della fisicità e socialità inibita.
Luca è tetragono. Si sottopone ad allenamenti stressanti. Attraversa lo stretto di Messina a tempo di record: 53 minuti! Incredibile per chi ha l’uso non pieno dei muscoli del torace e delle gambe. I risultati agonistici confermano i suoi progressi. È campione italiano di nuoto nei 50, nei 100 e 200 metri stile libero, doppio argento alle Paralimpiadi di Sydney 2000, argento e due volte bronzo agli Europei del 2001, bronzo ai Mondiali d’Argentina 2002… un palmares di tutto rispetto, che cresce nel tempo e spera d’incrementare ai Giochi Paralimpici di Atene 2004 e Pechino 2008. Invano! Figura bene, ma non va sul podio. È in crisi. Decide di smettere con il nuoto e di reimpostare la vita. Si trasferisce a Ruvo di Puglia con la donna che ama e che sposa. Desidera la paternità e presto abbraccia il piccolo Josef. Rispolvera l’handbike riposto in garage e comincia a percorrere «su e giù la Murgia barese costellata di ulivi argentati, fra lande di asfodeli, ferule e capelvenere». Si esprime proprio così, Luca: fa anche il poeta! La bici che gli serviva come strumento per irrobustire le braccia nella pratica del nuoto, ora è il suo mezzo atletico per eccellenza.
Arrivano nuove affermazioni, più importanti di prima: nell’arco di tempo che va da Grenville (South Carolina/USA) 2014 a Baie-Comeau (Canada) 2022, si laurea più volte campione del mondo, e sale a più riprese sul podio; consegue due ori e un argento alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro 2016, due argenti e un oro alle Paralimpiadi di Tokyo nel 2021. A cinquant’anni suonati, non si dichiara domo.
Il segreto del suo successo? La fede sportiva sostenuta da quella religiosa. Di un “ragazzo” del Sud che custodisce sentimenti semplici e vive guardando al futuro. Concentrazione, tenacia, sacrificio, disciplina, le chiavi che aprono ai suoi conseguimenti. Virtù principale, la resilienza. Che significa capacità di superare ogni evento traumatico che ti colpisce: come possedere una leva che ti risolleva ad ogni urto potenzialmente devastante.
Leader nello sport, campione in umanità. Perché Luca è meraviglioso: generoso, accogliente, disponibile. Di ritorno da Rio, si spoglia della maglia indossata in gara, ancora madida di sudore, e la mette all’asta per aiutare concretamente il piccolo Felice, suo concittadino, che combatte un’altra battaglia con la vita, afflitto com’è dall’epidermolisi bollosa, malattia rara che gli sfalda la pelle, gliela lacera alla minima pressione. Ecco che Luca aliena la maglia della vittoria — quasi una nuova pelle o il sudario da cui è appena uscito risorto — per sostenere Felice. E per moltiplicare, da testimonial, gli effetti del suo gesto, dichiara sicuro che «la vera ricchezza di cui disponiamo è l’amore: per la nostra vita e a sostegno di quella altrui».
Il resto non conta nulla, direbbe con don Tonino Bello, che Luca conosce come vescovo e apprezza come sportivo: tant’è che, di ritorno da ogni impresa, gli piace essere festeggiato proprio nella piazza intitolata al venerabile, a due passi da casa sua. Ci sono arcobaleni che legano la terra al cielo, in questo mondo grigio e normalmente indifferente.
di Renato Brucoli