Parole e gesti di Papa Francesco

Le “Olimpiadi” di Papa Francesco

 Le  “Olimpiadi”   di Papa Francesco    ODS-008
04 marzo 2023

Facciamo un gioco? Sì, dai: dato che questo numero del nostro «Osservatore di Strada» è dedicato al tema dello sport, giochiamo insieme. E immaginiamo come sarebbero le “Olimpiadi” di Papa Francesco, ossia dei Giochi olimpici ispirati dagli insegnamenti del Pontefice sul mondo dello sport. Sappiamo, infatti, che per il Papa l’attività sportiva non è soltanto un momento agonistico che inizia e finisce sul campo da gioco, ma è anche una vera e propria “palestra di vita”, uno strumento di incontro, di formazione, di missione, di promozione della pace e dell’unità tra i popoli. Non a caso, il termine “sport” è stato inserito nella Costituzione apostolica Praedicate Evangelium, entrata in vigore il 5 giugno 2022. Il riferimento è contenuto nell’articolo 154 che incoraggia «i cultori delle arti, della letteratura e delle scienze, della tecnica e dello sport» a sapersi e sentirsi «riconosciuti dalla Chiesa come persone a servizio della ricerca sincera del vero, del buono e del bello». Si tratta di un vero e proprio avvenimento storico che ha trovato eco anche in Italia: alla Camera è, infatti, al vaglio una proposta di modifica dell’articolo 33 della Costituzione per introdurvi il diritto di accesso allo sport.

Un acrostico speciale

L’attività sportiva, afferma dunque Francesco, si basa su pilastri fondamentali: «Gli atleti che praticano sport ad alto livello improntano la loro intera esistenza intorno a determinati principi — scrive nella prefazione del libro «Non è solo fatica, è amore» di Dario Edoardo Viganò e Valerio Cassetta (San Paolo 2022) —: il rispetto del prossimo e delle regole, la lealtà, l’impegno, il sacrificio, l’inclusione, lo spirito di gruppo, l’altruismo e la voglia di elevarsi». In quest’ottica è da leggere anche l’originale acrostico contenuto nel volume «Sport una lettera alla volta» (2018, Malcor D’), frutto di una campagna lanciata dall’associazione “Sport 3.0 Foundation”. In tale acrostico, Francesco dona alla parola “sport” nuovi significati, sviluppando un concetto per ogni lettera, ovvero:

1. Sviluppo umano integrale

2.Per tutti

3.Onestà

4.Rispetto

5.Trascendenza e ispirazione.

Catalizzatore di comunità

«In una cultura dominata dall’individualismo e dallo scarto delle giovani generazioni e di quella degli anziani — afferma il Pontefice —, lo sport è un ambito privilegiato intorno al quale le persone si incontrano senza distinzioni di razza, sesso, religione o ideologia e dove possiamo sperimentare la gioia di competere per raggiungere una meta insieme, partecipando a una squadra in cui il successo o la sconfitta si condivide e si supera. Tutto ciò fa dello sport un catalizzatore di esperienze di comunità, di famiglia umana».

Veicolo di formazione
e di sviluppo integrale

«Veicolo di formazione», in grado di facilitare «lo sviluppo integrale della persona», lo sport deve essere anche, nel pensiero del Pontefice, un punto di riferimento per «virtù come la generosità, l’umiltà, il sacrificio, la costanza e l’allegria», nonché «lo spirito di gruppo, il rispetto, un sano agonismo e la solidarietà con gli altri». Sulla «gioia trasmessa dallo sport» il Papa insiste spesso, poiché essa permette di «scoprire le potenzialità della persona, che ci chiamano a svelare la bellezza del Creato e dell’essere umano stesso in quanto fatto a immagine e somiglianza di Dio». Ed è in questo senso, quindi, che lo sport è trascendenza, sia perché «può aprire la strada verso Cristo in quei luoghi o ambienti dove per vari motivi non è possibile annunciarlo in maniera diretta», sia perché «dare il meglio di sé nello sport è anche una chiamata ad aspirare alla santità».

L’importanza della fatica e
l’esempio di Maria Mutola

Centrale è anche il concetto di “fatica” sportiva che, scrive Francesco, «fa parte del gioco, è una componente fondamentale», perché l’atleta che, «nella fatica, vede oltre, è come il santo che non accusa il peso e guarda lì dove gli altri non vedono. Il campione che trova la giusta spinta è contento di affrontare la fatica. Perché al di là dello scopo, conta il cammino, il percorso, il viaggio». Al riguardo, è bello ricordare quanto detto dal Pontefice nel 2019, durante il suo viaggio apostolico in Mozambico: parlando ai giovani riuniti a Maputo per un incontro interreligioso, Francesco ha richiamato alla memoria «la bella testimonianza» di Maria Mutola, celebre mezzofondista mozambicana, oro olimpico negli 800 metri a Sydney 2000. Un podio, il suo, ottenuto dopo tre precedenti fallimenti e proprio per questo divenuto esempio di costanza e di come «lo sport ci insegna a perseverare nei nostri sogni».

La bellezza della gratuità

Allo stesso modo, in un’intervista rilasciata a dicembre 2022, il Papa sottolinea che «lo sport è nobile, porta nobiltà», soprattutto quando conserva il suo lato un po’ “bambino”, ossia quello del gioco, della gratuità: «Tutti noi abbiamo bisogno di questa gratuità dello sport — sottolinea il Papa —. Per questo sono contento quando vedo che la gente si entusiasma per il mondo dello sport e quando lo sport non perde quella dimensione di “amatorialità”», perché «lo sport o è amatoriale o non è sport». In quest’ottica, il Pontefice ha spesso ribadito che lo sport deve essere «a servizio della persona e della società, non di interessi o logiche di potere».

Citius, altius,
fortius e... communiter

Fatta questa premessa, dunque, ora bisognerebbe trovare il motto giusto per le “Olimpiadi di Francesco”. Intendiamoci: al Papa lo storico motto olimpico Citius, altius, fortius (Più veloce, più in alto, più forte) piace moltissimo. In un’intervista rilasciata al quotidiano «La Gazzetta dello Sport» nel gennaio 2021, il Pontefice ha infatti detto: «È un motto bellissimo. Lo attribuiscono al barone Pierre De Coubertin, ma è stato ideato da un predicatore domenicano, Henri Didon. È un’esortazione per gli atleti, perché tendano a lavorare su sé stessi, superando in maniera onesta i loro limiti per costruire qualcosa di grande, senza lasciarsi bloccare da essi. È divenuta una filosofia di vita: l’invito a non accettare che nessuno firmi la vita per noi». In particolare, Francesco ha espresso apprezzamento per il fatto che a questo storico motto, «il Comitato Olimpico Internazionale abbia aggiunto la parola communiter, cioè insieme, perché i Giochi Olimpici facciano crescere un mondo più fraterno».

Meglio una sconfitta pulita
che una vittoria sporca

Nella medesima intervista, tuttavia, il Pontefice, riprendendo una frase pronunciata il 10 maggio 2014 durante l’incontro con il mondo della scuola italiana, sembra suggerire un altro possibile motto: «Meglio una sconfitta pulita che una vittoria sporca». Il che significa che «un campione nasce e si rinforza con l’allenamento»; pertanto, «il doping nello sport non è soltanto un imbroglio, è una scorciatoia che annulla la dignità. Il talento è un dono ricevuto, ma questo non basta: tu ci devi lavorare sopra. Allenarsi, allora, sarà prendersi cura del talento, cercare di farlo maturare al massimo delle sue possibilità. Qui lo sport viaggia di pari passo con la vita: la bellezza, qualunque sia la sua declinazione, è sempre il frutto di una fiammella da tenere accesa giorno dopo giorno».

Il calcio e i ricordi
da bambino

Trovato il motto, ora proviamo a immaginare quali discipline potrebbero sfidarsi sull’ipotetico campo da gioco delle “Olimpiadi del Papa”. La prima sarebbe sicuramente il calcio: che il Pontefice sia un grande tifoso di questo gioco è noto e lui stesso, da ragazzo, lo ha praticato. «Ricordo molto bene e con piacere quando, da bambino, con la mia famiglia andavamo allo stadio, El Gasómetro — ha raccontato in diverse occasioni —. Ho memoria, in modo particolare, del campionato del 1946, quello che il mio San Lorenzo vinse. Ricordo quelle giornate passate a vedere i calciatori giocare e la felicità di noi bambini quando tornavamo a casa: la gioia, la felicità sul volto, l’adrenalina nel sangue. Poi ho un altro ricordo, quello del pallone di stracci, la pelota de trapo: il cuoio costava e noi eravamo poveri, la gomma non era ancora così abituale, ma a noi bastava una palla di stracci per divertirci e fare, quasi, dei miracoli giocando nella piazzetta vicino a casa». «Da piccolo mi piaceva il calcio, ma non ero tra i più bravi, anzi ero quello che in Argentina chiamano un pata dura — ha detto ancora in diverse interviste —, letteralmente “gamba dura”. Per questo mi facevano sempre giocare in porta. Ma fare il portiere è stato per me una grande scuola di vita. Il portiere deve essere pronto a rispondere a pericoli che possono arrivare da ogni parte».

La pallavolo e l’accezione
positiva del “muro”

La seconda disciplina delle ipotetiche “Olimpiadi” di Francesco sarebbe la pallavolo, con tutti i valori che questo sport racchiude, come descritto dal Pontefice nell’udienza concessa alla Federazione italiana di pallavolo, il 30 gennaio scorso. In particolare, Francesco si sofferma su quattro punti: la battuta che dà il via al gioco e che ci ricorda che anche nella vita «occorre prendere l’iniziativa, assumersi la responsabilità, coinvolgersi». Ugualmente importante è la ricezione, perché «come bisogna essere pronti a ricevere la palla per indirizzarla in una determinata area, così è importante essere disponibili ad accogliere suggerimenti e ad ascoltare, con umiltà e pazienza». Il terzo punto riguarda l’alzata, ossia il passaggio verso il compagno di squadra che ci ricorda che « c’è sempre qualcuno da servire», perché «si è parte di un gruppo e ognuno è chiamato a dare il proprio contributo perché si possa vincere insieme». In questo senso, continua il Papa, «in un mondo dove si sgomita per apparire e per emergere a tutti i costi, dove l’io viene prima del noi, dove si scarta chi è debole e improduttivo, lo sport può essere segno convincente di unità, di integrazione, e può lanciare un messaggio forte di pace e di amicizia». Infine, Francesco cita il muro, ossia l’azione che i pallavolisti compiono per opporsi all’attacco dell’avversario: in questo caso, il muro non simboleggia divisione, chiusura o incapacità di dialogo, come accade spesso nel mondo, bensì assume un’accezione positiva. Sì, perché per fare muro bisogna saltare e «saltare in alto significa distaccarsi da terra, dalla materialità e dunque da tutte quelle logiche di business che intaccano lo spirito sportivo».

La pallacanestro eleva verso il cielo

Spazio, poi, al basket, altro gioco che il Pontefice conosce molto bene, perché suo padre era un atleta della squadra di pallacanestro del San Lorenzo. Ma al di là della dimensione affettiva, c’è un aspetto del basket che il Papa apprezza in particolare: lo ha sottolineato lui stesso il 31 maggio 2021, ricevendo in udienza la delegazione della Federazione italiana pallacanestro. «Il vostro è uno sport che eleva verso il cielo perché è uno sport che guarda in alto, verso il canestro e, perciò, è una vera e propria sfida per tutti coloro che sono abituati a vivere con lo sguardo sempre rivolto a terra», ha detto. Di qui, l’auspicio che i giocatori possano «aiutare i giovani a guardare in alto, a non arrendersi mai, a scoprire che la vita è un cammino fatto di sconfitte e di vittorie, ma che l’importante è non perdere la voglia di “giocarsi la partita”. E aiutarli a capire che quando nella vita “non hai fatto canestro”, non hai perso per sempre. Puoi sempre scendere in campo nuovamente, puoi ancora fare squadra con gli altri e puoi tentare un altro tiro».

La lealtà e il rispetto
del rugby

Un quarto gioco olimpico sarebbe certamente il rugby, che Francesco stima molto, perché «pure essendo uno sport da duri, non è mai violento. La lealtà e il rispetto che ci sono in questo sport spesso vengono presi come modello di comportamento. Penso al “terzo tempo” dopo la partita: tutti i giocatori delle due squadre si riuniscono anche solo per un saluto, una stretta di mano. È così che dovrebbe essere: dare l’anima quando si gioca ma, terminata la gara, avere il coraggio di stringere la mano all’avversario. Non è stata una guerra tra nemici, solo un’occasione di competizione tra avversari nel gioco». Sport di equilibrio tra il gruppo e l’individuo, come dimostrano le famose “mischie”, il rugby è anche — ha spiegato il Papa il 22 novembre 2013, incontrando i dirigenti e gli atleti argentini e italiani di tale disciplina — una corsa verso la meta: «Questa parola così bella, così importante, ci fa pensare alla vita, perché tutta la nostra vita tende a una meta; e questa ricerca della meta è faticosa, richiede lotta, impegno, ma l’importante è non correre da soli! Per arrivare bisogna correre insieme, e la palla viene passata di mano in mano, e si avanza insieme, finché si arriva alla meta».

Il nuoto e il “fare squadra”
con gli atleti disabili

Alle “Olimpiadi del Papa” non mancherebbero poi le gare di nuoto: come ogni attività sportiva — ha affermato Francesco il 28 giugno 2018, parlando alla Federazione italiana nuoto — anche questa disciplina, «se praticata con lealtà, diventa occasione di formazione ai valori umani e sociali, per irrobustire insieme col corpo anche il carattere e la volontà, e per imparare a conoscersi e ad accettarsi tra compagni». Il Pontefice insiste sul nuoto come «esperienza di squadra, in cui contano molto la collaborazione e l’aiuto reciproco»; cita la pallanuoto e il nuoto sincronizzato, definendolo «l’esaltazione del fare squadra: è tutto armonia, e l’eccellenza si raggiunge quando gli atleti si muovono in modo tale da formare un unico movimento». Sulla bellezza del “fare squadra” e del vivere lo sport come un mondo inclusivo, fa piacere ricordare anche quanto detto dal Papa sugli atleti disabili: all’udienza generale del 2 febbraio 2022, ad esempio, guardando alle Olimpiadi e Paralimpiadi invernali di Pechino che si sarebbero svolte di lì a poco, il Papa ha sottolineato: «La medaglia più importante la vinceremo insieme se l’esempio delle atlete e degli atleti con disabilità aiuterà tutti a superare pregiudizi e timori e a far diventare le nostre comunità più accoglienti e inclusive. Questa è la vera medaglia d’oro!». Parole che riprendono quanto detto da Francesco nel 2021, durante un’intervista: «Il movimento paralimpico è preziosissimo: non solo per includere tutti, ma anche perché è l’occasione per raccontare e dare diritto di cittadinanza nei media a storie di uomini e donne che hanno fatto della disabilità l’arma di riscatto. Quando vedo o leggo di qualche loro impresa, penso che il limite non sia dentro di loro, ma soltanto negli occhi di chi li guarda».

Il coraggio dei ciclisti
e l’altruismo di Gino Bartali

E ancora: agli immaginari “Giochi olimpici” di Francesco scenderebbero in campo sicuramente i campioni del ciclismo, anch’esso sport amato dal Pontefice, perché «mette in risalto alcune virtù come la sopportazione della fatica nelle lunghe e difficili salite, il coraggio nel tentare una fuga o nell’affrontare una volata, l’integrità nel rispettare le regole, l’altruismo e il senso di squadra». «Tanti ciclisti sono stati di esempio, nello sport e nella vita, per la loro integrità e coerenza, dando il meglio di sé in bicicletta — ha sottolineato il Papa il 9 marzo 2019, rivolgendosi alla Federazione ciclistica italiana —. Nella loro carriera hanno saputo coniugare fortezza d’animo e determinazione nel raggiungere la vittoria, ma anche solidarietà e gioia di vivere, a testimonianza di aver scoperto quelle potenzialità dell’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, e la bellezza di vivere in comunione con gli altri e con il Creato». Tra i ciclisti, in particolare, il Pontefice ricorda Gino Bartali che, reclutato dal cardinale Elia Dalla Costa, con la scusa di allenarsi, trasportava, nascosti nel telaio della bicicletta, decine di documenti falsi per aiutare gli ebrei a fuggire e a salvarsi dai nazisti. «Pedalava per centinaia di chilometri ogni giorno sapendo che, qualora lo avessero fermato, sarebbe stata la sua fine — ha detto Francesco —. Ecco la storia di uno sportivo che ha lasciato il mondo un po’ meglio di come lo ha trovato».

Dio, il vero “commissario
tecnico” della nostra vita

Quindi ora abbiamo il motto e le discipline in gara. Però alle nostre immaginarie Olimpiadi manca ancora qualcosa e non di poco conto: manca il “commissario tecnico”. Per Papa Francesco non ci sono dubbi, il vero allenatore di ogni atleta che si rispetti, nello sport ma anche nella vita, è uno solo: «Ad ognuno Dio ha dato un campo, un pezzo di terra nel quale giocarsi la vita. Senza allenamento, però, anche il più talentuoso rimane una schiappa. Allenarsi, allora, è chiedere ogni giorno a Dio: “Che cosa vuoi che faccia della mia vita?”. Domandare a Gesù, confrontarsi con Lui come con un allenatore. E se si fa uno scivolone, nessuna paura: a bordo campo c’è Lui che è pronto a rimetterci in piedi. Basta non aver paura di rialzarsi». D’altronde, «senza un allenatore, non nasce un campione. Ci vuole qualcuno che scommetta su di lui, che investa del tempo e, soprattutto, che sia un po’ visionario per riuscire ad intravedere in lui possibilità che, forse, nemmeno lui si immaginerebbe. E farle brillare».

E questo, in fondo, è proprio ciò che il Signore fa con ciascuno di noi. Allora, siamo pronti a scendere in campo?

di Isabella Piro