Sulla porta di casa Buba Jallow e la sua storia: “Come sono diventato il runner del Papa”

Correre per la pace correre per la vita

 Correre per la  pace correre per la  vita  ODS-008
04 marzo 2023

Dal Gambia alla Libia, passando per Senegal, Burkina Faso e Niger. Alle sue spalle, i Paesi martoriati e la famiglia. Di fronte a lui, incognite e speranza. Nel mezzo, il mare. Un Mediterraneo blu, dipinto di rosso. Il salto da compiere è quello dal passato al futuro. E non è mai facile. Soprattutto quando non si hanno neanche vent’anni.

Buba Jallow è nato nel luglio 1997 a Sifoe, piccola città del Gambia vicina al confine meridionale col Senegal. Proveniente da una famiglia umile, di religione musulmana, a sedici anni viene arruolato nel servizio militare gambiano. Viene mandato anche nei campi profughi del Sudan con la Missione delle Nazioni Unite: «Fu un trauma vedere le condizioni di miseria estrema nelle quali vivevano i profughi — confessa Buba al nostro giornale — e poi vedere le donne costrette a prostituirsi pur di dare da mangiare ai propri figli».

Allora, Buba decide di partire. Destinazione: Libia. Rotta: nord-est. Quella che passa per il Senegal (al tempo in crisi a causa del conflitto nella regione di Casamance tra Governo e Movimento delle forze democratiche), poi per il Burkina Faso (in cui i golpe di Stato avvengono a ritmo elevatissimo), infine per il Niger (nazione più povera al mondo secondo le statistiche più recenti, lacerata dal Conflitto sul Delta del Niger). Eppure, proprio quando è arrivato in Libia, Buba resta vittima di bande criminali che lo rapiscono e lo vendono. Più e più volte. Ma sopravvive.

Infine, nel febbraio del 2017, la svolta. Buba non ha ancora vent’anni quando, dalla Libia, riesce a imbarcarsi e tenta la traversata su un barcone, che viene soccorso in mare dalla Marina Militare Italiana. Buba sbarca così in Sicilia e da lì viene portato subito al Centro Accoglienza Richiedenti Asilo di Castelnuovo di Porto a Roma, gestito dalla Cooperativa Auxilium. È lo stesso luogo nel quale Papa Francesco aveva celebrato la Messa in Coena Domini il 24 marzo 2016. «Per me la bandiera italiana è segno di speranza — racconta —, è stata la prima cosa che ho visto sventolare quando la nave della Marina Militare ci ha salvato. E poi il tricolore era sulle felpe degli operatori di Auxilium, con cui sono subito diventato amico. Avevo una grande voglia di integrarmi. Ho imparato l’italiano nei corsi del cara , mi sono iscritto a scuola, ho partecipato a lavori socialmente utili tagliando l’erba nei giardini delle scuole e del comune».

Quando il Governo decide di chiudere il cara di Castelnuovo di Porto, nel 2019, Buba ha ottenuto la protezione umanitaria da più di un anno. Il rapporto con Auxilium era continuato e fu proprio il fondatore, Angelo Chiorazzo, a «dirmi che Athletica Vaticana, la squadra di podisti del Papa, mi voleva come socio onorario insieme ad altri ragazzi migranti che conoscevo, Ansou e Charles. Fu un’emozione fortissima: Papa Francesco poteva scegliere un ragazzo cristiano. E invece voleva che io corressi con loro. La mia corsa non era finita. Sono musulmano e credo nella fratellanza tra i popoli. Per me, come per milioni di musulmani, Papa Francesco è un uomo di pace e un punto di riferimento per costruire un mondo di tolleranza e di comprensione».

Ecco come «lo sport aiuta a integrarsi, perché — prosegue Buba — anche se arrivi ultimo ci sei, puoi esprimerti, ti viene data una possibilità, mentre molte volte nella società sembra che alcune persone non possano neanche iscriversi alla corsa della vita. Non sono un campione, ma quando senti che sei il benvenuto, quando percepisci fiducia e amicizia, senti di dare il meglio e di doverti impegnare. Sono sempre stato convinto di poter restituire il bene che mi era stato fatto».

«Un’altra esperienza per me indimenticabile è stata quella di inaugurare, per due anni, la maratona Via Pacis con la maglia di Athletica Vaticana e gli amici di Auxilium portando lo striscione “Con Papa Francesco per un Mondo Migliore”. Dopo il suo ultimo viaggio in Africa, la mia gratitudine è cresciuta e spero un giorno di potergli stringere la mano».

Oggi Buba vive in Olanda. Lontano dall’Italia dove «sì, ho fatto molti lavori perché volevo vivere e realizzarmi onestamente. Nei ristoranti, come steward nel settore turistico, nella vigilanza. Ma le lunghissime complicazioni burocratiche per rinnovare il permesso di soggiorno hanno creato difficoltà nel rendere stabile e definitiva la mia situazione. La pandemia, poi, ha alimentato per centinaia di migliaia di persone come me una situazione di precarietà gravissima».

Così, proprio perché «non ho mai pensato di finire nell’illegalità, anche nei momenti peggiori, anche quando non sapevo cosa avrei mangiato il giorno dopo, ho raggiunto la mia fidanzata in Olanda dove ho un lavoro stabile. Due mesi fa sono diventato padre».

Nonostante la lontananza, Buba confessa di sentirsi ancora un runner di Athletica Vaticana. Perché «conservo bellissimi ricordi nel cuore: alle gare si partecipava soprattutto per divertirsi e per portare un messaggio di pace. Ma ogni volta leggevamo, insieme, la preghiera del maratoneta. Anche se eravamo di differenti religioni».

di Guglielmo Gallone