Caro amico che corri sulle nostre stesse strade

 Caro amico che corri  sulle nostre stesse strade  ODS-008
04 marzo 2023

Caro amico che corri sulle stesse strade che ogni giorno, con la pioggia o con il sole, sono la nostra casa, siamo quelli che vedi seduti sui marciapiedi o sulla scalinata di una chiesa mentre chiediamo un aiuto. E anche quelli che superi velocemente mentre trasciniamo tutti i nostri averi riposti in una valigia o in qualche busta del supermercato.

Pensavamo che le nostre vite avessero poco a che fare con la tua. Sì, c’è la strada che ci accomuna, ma per te è una “palestra”, mentre per noi è tutto il nostro mondo. Invece non è così. L’amico Stefano Cuneo, nell’“editoriale di strada” che trovi in questa stessa pagina, spiega bene che, in fondo, anche noi siamo degli “sportivi”. E non solo perché ci capita di indossare una tuta da ginnastica, non sempre della taglia giusta: d’altra parte a caval donato...

Il motivo di questa lettera non è però quello di raccontarti i nostri guai. In fondo, la vita, specie di questi tempi, non è facile per nessuno. La ragione è che ti vogliamo dire: Grazie! Sì, Grazie!

Grazie perché vivi questa grande e importante manifestazione, che è la Maratona di Roma, non solo come una competizione sportiva, ma come una gara di amicizia e di solidarietà. Grazie perché sai dimostrare che il traguardo non è un podio da conquistare, ma una meta da raggiungere. Ed è più bello se la si raggiunge insieme.

Un particolare grazie va agli organizzatori che, dimostrando grande sensibilità nei confronti del disagio sociale, hanno coinvolto, per il tramite di Athletica Vaticana, anche «L’Osservatore di Strada», allestendo un traguardo “simbolico” in Piazza San Pietro, dove ci troverai a salutarti e a distribuire il nostro giornale.

Forse è la prima volta che si riserva tanto onore agli invisibili. Per questo vogliamo aggiungere al nostro grazie anche un dono. È la “coppa degli ultimi”, che ci piace pensare possa essere assegnata a chi arriverà ultimo. L’ha preparata un nostro amico nella casa d’accoglienza dove vive. Si chiama Erwin Alfredo Bendfeldt Rosada e chi segue questo giornale lo conosce per aver letto qualche suo componimento nelle pagine dei “canti dalle periferie”. Apprezzato pittore e scultore, è dovuto fuggire dal Guatemala quando c’era la dittatura. Gli hanno sparato alla testa. Credendolo morto, lo hanno gettato in una fossa comune dove lo ha trovato e salvato un prete arrivato lì per benedire i cadaveri.

Ora vive a Roma assistito dalla Caritas e da qualche buon amico. Anche lui è un “ultimo” come noi. O, forse, come ognuno di noi quando dimentichiamo di essere tutti sulla stessa barca e... sulla stessa strada.

L’Osservatore di Strada