Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati

 Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati  ODS-008
04 marzo 2023

Una scuola di vita, dove imparare la lealtà, l’onestà, il rispetto delle regole e dell’altro, anche se è un avversario. Così gli autori di questi “canti dalle periferia” ci presentano lo sport, ripensando alla loro adolescenza, ma anche guardando le deformazioni provocate da una società che ha fatto del denaro e del successo a tutti i costi i suoi idoli.

Don Pasqualino
e quel campetto
di borgata

Mi ricordo quando ero adolescente: si andava a giocare a pallone nell’oratorio con don Pasqualino che, se non ci vedeva arrivare, con la sua bicicletta ci veniva a cercare per tutta la borgata.

Con la scusa dei pescetti alla liquirizia, riusciva sempre a trascinarci lì.

Partite interminabili. Si cominciava alle 15, dopo la scuola, e si smetteva al tramonto.

Lui faceva sempre l’arbitro, perché era grasso e non correva (facevi prima a saltarlo che a girargli intorno). Ci incitava a correre e a combattere su tutti i palloni. Era come se già sapesse che nella vita tutti noi ragazzini (uno più povero dell’altro) avremmo dovuto fare la stessa cosa per raggiungere un po’ di serenità: avremmo dovuto combattere, prendere a calci e a pugni le ostilità che la vita ci avrebbe presentato fino alla fine della partita.

Oggi sono cresciuto (troppo) e se sono quel che sono, nel bene e nel male, forse è perché mi è rimasto un pezzettino di quel suo insegnamento.

Qualcuno dei miei amici è riuscito ad avere una vita serena, lottando, sudando e tirando calci fino all’ultimo istante, come nelle partite. Molti altri no!

Ecco, (credo) questo è lo sport che aiuta ad affrontare la vita. Forse questa mia interpretazione è un po’ poetica, ma a me piace vederla e pensarla così.

Il cucchiaio di Totti?
Meglio quello
nella minestra

Quando ero studente, la materia in cui riportavo il profitto peggiore (oltreché, ben inteso, la matematica: ancora oggi devo contare sulla punta delle dita per calcolare due più due) era Educazione Fisica, alias “ginnastica”.

In effetti, ho sempre nutrito la più crassa ignoranza ed indifferenza nei confronti dello sport e di attività affini.

Quando le conversazioni tra compagni di classe vertevano, dal lunedì al mercoledì, sulle partite di calcio disputate la domenica precedente, e, dal giovedì al sabato, su quelle della domenica successiva, io invariabilmente commentavo con le parole di una battuta sentita in un film di Totò, che mi era piaciuta molto: «me ne impipo!».

Così non mi son lasciato irretire neanche dalle facili lusinghe di due nuove specialità “olimpioniche” che, di questi tempi, si vanno affermando: il Salto del Pasto e l’Inseguimento su Tavola. Perché lo sport è certo una competizione, che l’aspirante atleta non è però costretto a subire, ma sceglie di affrontare.

Un po’ come avveniva a scuola, dove la “ginnastica” era obbligatoria.

Così, come allora, investo il massimo delle mie energie allo scopo di dribblarle.

Certo, l’uomo è una bestia contraddittoria, per cui successe che, quando morì mio padre — il quale, a differenza del figliolo, era tifoso sfegatato (il che dimostra altresì quanto la genetica sia scienza ben poco esatta) — cominciai ad esser contento quando la sua squadra del cuore vinceva. Era come rendere un piccolo omaggio alla sua memoria, raccogliere il testimone dei suoi valori.

Per cui, vedere Totti fare il cucchiaio cominciò a piacermi. Anche se mi piace ancor di più usare il cucchiaio per la sua funzione primaria, immergerlo in un bel piatto di “robaccia bona” da mangiare (eh, il gusto per l’ossimoro! “E che piatto è?”).

«Notti magiche inseguendo un goal» cantavano Gianna Nannini ed Edoardo Bennato nel ’90. Ma, mentre si compiacevano d’inseguire un goal, io non ho la minima voglia di lanciarmi addirittura all’inseguimento di una pasta.

A che pro, poi? A far la guerra tra poveri? Di guerre ce ne son già più che a sufficienza.

Però è ovvio che, ora che so che esiste una squadra dell’«Osservatore di Strada», tiferò — da quella bestia contraddittoria che sono — per quella (tanto, oggi come oggi, anche a Totti l’unico cucchiaio che è rimasto è quello nella minestra).

Alé, o-oh.

Quello che
non mi piace

Ho fatto atletica leggera per molti anni. Mi allenavo nel mezzofondo. Le mie giornate erano piene: allenamenti, divertimento, preparazione invernale, corse campestri e gare in pista.

Quel mondo mi è rimasto nel cuore. Se vedo una pista di atletica leggera, mi emoziono ancora.

Ma alcune cose dello sport non mi piacciono. Non mi piace il calcio quando a prevalere è la “vetrina” o lo si usa come paravento per affari non sempre limpidi.

Non mi piace lo sfruttamento dei bambini per fare palloni e scarpe sportive.

E non mi piace neppure lo stato di degrado delle palestre nelle scuole con tanti ragazzi che non hanno spazi per fare sport. E non mi piace che tanti laureati in scienze motorie non possano insegnare educazione fisica.

Nonostante le mie molte privazioni, gli anni passati a praticare la regina degli sport mi aiutano ancora ad avere uno spirito vincente, uguale a quello che avevo quando correvo in pista.

Il mettermi in gioco e pretendere molto da me stesso era alla base dei miei allenamenti e lo è anche oggi.

Limiti

Lo sport è sempre stato importante, fin dalla notte dei tempi. Perché? Probabilmente perché è una necessità insita nella persona. Nasciamo in un corpo che non sappiamo controllare e la mente deve imparare a farlo. Così cerchiamo in tutti i modi di migliorare. Iniziamo a camminare, poi a correre. Inoltre, ci relazioniamo con il mondo e con gli altri.

Quanti tipi di sport esistono? Normalmente ci si riferisce a quelli fisici. Però esistono anche quelli mentali: come gli scacchi. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta solo di un gioco, ma anche il calcio è un gioco, però viene visto come uno sport, perché presuppone uno sforzo fisico per superare i propri limiti.

Limiti, cosa sono i limiti? Sono quella parte di noi che non consideriamo adeguata, che a volte ci spaventa e cerchiamo in tutti i modi di eliminare.

Guardiamo a un corridore! Percorre ogni giorno chilometri andando contro il tempo per cercare di essere sempre più veloce. Apre il diaframma per avere più aria, spinge i muscoli quasi allo spasmo per farli diventare più forti.

Il corpo è qualcosa di incredibile. Ci sostiene e cresce. Ma il resto? Il nostro cuore? Quale parte ha in tutto questo? Lo escludiamo vivendo questa fisicità e questa mentalità?

Avete mai parlato con un cieco o con uno storpio?

Anche loro vogliono superare i propri limiti per adeguarsi alla massa di questo mondo, non accorgendosi di essere capaci di fare cose che gli altri non riescono a fare.

Una volta sono entrato in un posto completamente buio. Era un percorso per far “vedere” cosa “vedono” i ciechi. C’erano vari semi e altre cose da toccare. Tutto per far comprendere i sensi che si utilizzano poco. È stato molto complicato capire sia la strada da seguire sia i profumi. Tutto al buio!

Tutto questo discorso non significa accettare i propri limiti, bensì capire che siamo tutti diversi con delle caratteristiche uniche che, unite a quelle degli altri, creano la tendenza all’infinito…

Il mondo non si guarda con gli occhi, con il fisico, ma con l’anima.

Stare alle regole
e giocare pulito

Lo sport per me ha significato molto. Mi ha dato la voglia di crescere sano e forte e la libertà di muovermi e di sfogare l’esuberanza giovanile. Ma soprattutto mi ha dato dei valori ai quali in parte mi sono sempre ispirato.

Sono nato in un periodo in cui fare sport, anche in modo dilettantistico, non era facile, ma ho avuto la fortuna in ii media di avere un professore di educazione fisica che faceva l’allenatore di basket. Mi ha portato a giocare con la sua squadra. Così, la mattina andavo a scuola e il pomeriggio andavo a giocare a pallacanestro. Allenarmi mi piaceva molto. Non era la semplice soddisfazione di far parte di una squadra. Era tanto di più: sentire l’unità di intenti, l’unione che si creava tra noi per aiutare il compagno in difficoltà, o per incitarci a vicenda a dare sempre di più. È stata un’esperienza di vita che mi è rimasta dentro per sempre.

Lo sport per me significa libertà, fantasia, forza e resistenza e anche saper stare alle regole, giocare pulito e senza imbrogli.

Oggi mi piace molto di più assistere a partite fra ragazzini che giocano per divertirsi che a eventi costosi e a volte veramente indecenti di professionisti, che vivono in un mondo tutto loro, fuori dalla realtà quotidiana.

Creare nelle carceri
spazi per la cultura,
il lavoro e lo sport

Lo sport unisce i popoli. Lo sport è valorizzazione della propria intelligenza e del proprio corpo. Lo sport è, da sempre, partecipazione, per dimostrare, nella conoscenza delle regole, la propria personalità individuale o di gruppo.

Abituati a considerare tutto, anche lo sport, sotto l’aspetto commerciale, oggi si sono persi i suoi valori autentici e le sue radici. Attualmente si ritiene che una buona sponsorizzazione valga quanto una vittoria. Ma non è così! Lo dimostrano i sacrifici — fatti di stili di vita, di relazione, di alimentazione — di chi pratica lo sport con l’impegno e la serierà richiesti.

Le antiche Olimpiadi e quelle moderne rappresentano un’importante occasione di incontro fra i popoli e agli atleti che vogliono partecipare è richiesto un impegno quotidiano per riuscire a superare le selezioni.

Ma anche il più modesto impegno sportivo in un oratorio rappresenta un’occasione straordinaria ed utile per imparare a fare squadra, a conoscere e rispettare le regole, ad essere precisi e puntuali negli allenamenti, a imparare la “polisportività” quale momento di arricchimento personale, a giocare sempre dando il massimo e rispettando l’avversario.

La scena più bella dei recenti campionati del mondo di calcio è stata l’abbraccio tra i calciatori della finale a risultato conseguito. Certo, il risultato è un valore da rispettare, che premia passione e determinazione, ma non può mai essere un momento di divisione.

Chiunque voglia praticare lo sport, ovunque, deve essere portatore di quei valori sani ed irrinunciabili che appartengono a coloro che vogliono confrontarsi non con la forza dei muscoli, ma con l’energia della propria testa e personalità.

Nasce così un tutt’uno fra corpo e mente, fra valori e regole, che consente allo sport di riunire, di mettere insieme. Lo sport anche come espressione della propria personalità, del bisogno di comunicare.

Pensando ai luoghi della privazione, constatiamo quanto sia necessario lo spazio per il movimento personale e quanta ricchezza ci sia nel potersi confrontare in competizioni sportive. È profondamente errato sopprimere (come è avvenuto) impianti sportivi per costruire edifici di reclusione. E con quanto ritardo si sta diffondendo la concezione di spazi di reclusione, che non siano privi di luoghi per il lavoro, la cultura, il sapere, lo sport, il teatro.

Su tutto questo l’Italia deve avere il coraggio di compiere poderosi passi in avanti, mettendo da parte gli interessi economici, per dare alle persone la possibilità di esprimere il proprio potenziale umano. Anche attraverso lo sport.

Per tutti
o per pochi?

Diciamo subito che lo sport, come la musica, è una di quelle poche cose che nella vita uniscono le persone. Lo sport non fa distinzioni di genere, di razza, di religione. Unisce tutti. Anche ricchi e poveri? Sì, ma non sempre.

In alcuni casi, lo sport, col suo giro milionario, sembra davvero dare uno schiaffo violento alla miseria e alla povertà. Va comunque riconosciuto che moltissimi sportivi, che guadagnano cifre astronomiche, fanno molta beneficenza, condividendo, come è giusto che sia, la loro ricchezza con chi è povero, soffre o è emarginato.

Bisogna anche sottolineare che in alcuni casi praticare uno sport può essere molto costoso e non tutti riescono a farlo, specialmente a livello agonistico e professionale. Le famiglie meno abbienti fanno molta fatica a sostenere le spese necessarie a far praticare una disciplina sportiva a livello agonistico ai propri figli, anche se lo Stato, attraverso le sue strutture sportive, cerca di aiutare chi non può permetterselo.

Un povero, una persona che vive ai margini delle nostre città, come vede lo sport e gli enormi guadagni di alcuni sportivi? Beh, sicuramente con lo sguardo di chi dice: «Mi basterebbe solo una piccola parte, ma davvero una piccolissima parte, di quello che guadagna quel campione per risollevare la mia condizione». Lo dice però senza odio, rancore o invidia, proprio perché lo sport, come la musica, unisce tutti e non divide mai nessuno.

Per onestà di cronaca, va detto che, a fronte di persone che grazie allo sport hanno compensi fuori dal comune senso della ragione, vi sono sportivi, anche di alto livello, che mettono soldi di tasca propria per praticare la loro disciplina. Ma queste considerazioni le lasciamo a chi di dovere.

Tornando alla domanda se lo sport crea disparità tra ricco e povero, la risposta è ovviamente: «No». Ma la riflessione che volgiamo portare all’attenzione di chi legge è questa: per un povero sentire parlare di cifre milionarie fa rabbrividire. Per questo diciamo che sarebbe sempre bello, giusto e onorevole che, da sportivo, chi vive di sport e nello sport non smetta mai di aiutare chi purtroppo sta ai margini e soffre ogni giorno per riuscire a tirare avanti.

Non c’è più l’oratorio
di don Lorenzo

Era il 13 luglio 1953, giorno del mio tredicesimo compleanno, quando mio padre mi accompagnò al campo sportivo della “Rondinella”, al quartiere Flaminio, per iscrivermi ai “pulcini” della s.s Lazio.

Iniziò così, in quel magnifico complesso sportivo, il mio primo, serio approccio con la disciplina sportiva più bella del mondo: il calcio!

Fino a quel grande giorno (per me!), tutta la mia esperienza calcistica era maturata nei vari campetti sportivi degli oratori di alcune parrocchie romane e, in particolare, in quella di Sant’Ippolito a piazza Bologna, dove ogni giorno, domenica compresa, più o meno tutti i ragazzini del quartiere si riunivano e, sotto la guida vigile di don Lorenzo, grande ex giocatore e capacissimo educatore, passavamo le ore, impegnati in interminabili e indimenticabili partite di calcio, tralasciando, a volte, i nostri doveri scolastici.

Quello che ricordo con grande commozione sono gli insegnamenti, agonistici e non, di don Lorenzo. In continuazione ci ripeteva che, per vincere nella vita, bisogna fare squadra ed essere sempre uniti e tolleranti del nostro prossimo e, soprattutto, amare e rispettare la nostra famiglia ed il nostro Paese (all’epoca assai martoriato).

L’oratorio della parrocchia era, per tutti noi ragazzi, la nostra seconda casa e, nonostante mille difficoltà, è stata anche la migliore scuola di vita che io abbia conosciuto.

La guerra era finita da poco, la vita delle famiglie era difficile, i nostri amati genitori erano sempre occupati a cercare, con grandi sacrifici, di assicurarci un futuro e poco tempo restava per seguire ed educare i figli.

Gli oratori delle parrocchie nei vari rioni della città, negli anni tra il 1950 e il 1960, davano a tutti i ragazzi la possibilità di vivere insieme, al sicuro, sotto lo sguardo di sacerdoti con grande capacità educativa che, in particolar modo nei campetti di calcio, riuscivano a farci comprendere la forza di una squadra, la fatica, la voglia di vincere sempre anche nella vita, con correttezza e onestà cristiana.

Negli anni ’60, il campetto di calcio della parrocchia di sant’Ippolito fu demolito per lasciare il posto ad una grande e bruttissima costruzione. È stata sicuramente una perdita per tutti i ragazzi del quartiere.

Oggi purtroppo gli oratori con un campetto di calcio sono praticamente scomparsi a Roma, e, credo, in buona parte dell’Italia. Con essi è finita un’epoca: l’epoca in cui, anche senza motorino, automobili, telefonini e quant’altro, la nostra gioventù cresceva felice, senza stupidi ed inutili lussi, “sfornando” grandi campioni del calcio che tutto il mondo ci ha invidiato e grandi campioni nella vita. Era la gioventù che, dopo la guerra, ha ricostruito il nostro Paese, giocando anche a pallone, negli amati e rimpianti oratori delle nostre Chiese che tanto ci mancano.

Domenico

Fabrizio Salvati

Attilio Saletta

Mimmo

Antonio

s.c.

Angelo Zurolo

Alessandro