DONNE CHIESA MONDO

* Lettera
“... di diventare così forti da poter perseguire, com’è nelle vostre aspirazioni, la non violenza.
Voi che per prime avete urlato Donne, vita, libertà”

Donne curde vi auguro...

Jin Jiyan Azadi
04 marzo 2023

Vi scrivo per ringraziarvi, ho visto in questi anni le foto delle vostre compagne, sorridenti e armate, in lotta contro la violenza del fondamentalismo in una delle sue forme più atroci, quella del cosiddetto Stato islamico. Immagini potenti, di forza, gioventù e bellezza, che ricordano i momenti migliori di tante lotte di liberazione, i momenti in cui la durezza, le contraddizioni restano sottotraccia, quelli più carichi di speranza. Ma c’è in quelle foto qualcosa in più, proprio perché sono foto di donne, di donne insieme, e basta contrapporle ad altre immagini, di donne costrette al velo integrale, emarginate dalla vita pubblica, escluse dall’istruzione, per capire come nella lotta che quelle foto testimoniano si tratta per ciascuna di una questione vitale, menti e corpi e coscienze che non possono a nessun costo rinunciare alla pienezza dello stare al mondo. Tutta quella bellezza tiene a bada senza cancellarlo quello che c’è dietro: il dolore, la fatica, la perdita, la morte.

Non mi ha stupita scoprire che il grido “Donna, vita, libertà”, arrivato fino a noi dall’Iran, è stato urlato, prima che in qualunque altra lingua, in curdo, “Jin, Jiyan, Azadi”. Subito dopo si è sentita la voce crescere in farsi: “Zhen, Zhian, Azadi”. Quelle di voi che vivono in Iran e le altre iraniane l’avete gridato insieme in lingua diversa nella sconvolgente battaglia nonviolenta che state portando avanti. Mi ha colpito ma non stupito sapere che quel grido era già, fin dagli Ottanta e Novanta del Novecento, lo slogan della resistenza femminista curda. Ha una sua ampiezza e precisione, quello slogan, e non sorprende ritrovarlo disseminato, anche ben oltre il campo politico che l’ha prodotto, in tutti i luoghi del medio oriente in cui le donne si ribellano a una condizione intollerabile.

Vi scrivo per ammirazione. Se penso alla condizione della minoranza di cui fate parte, stanziata fra la Turchia, la Siria, l’Iran e l’Iraq, senza una nazione, perseguitata nell’espressione della lingua e della cultura, mi sembra un miracolo che non abbiate dato vita a un irredentismo nazionalista chiuso e identitario. Tutt’altra cosa è il pensiero su cui si basa l’esperimento del Rojava, l'Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est, non ufficialmente riconosciuta da parte del governo siriano, il cui obiettivo è una società basata sulla convivenza di culture e religioni diverse, l’ecologia, il femminismo, l’economia sociale e l’autodifesa popolare. Al cuore di quell’esperienza ci siete voi. Mi colpisce la forza con cui mettete al centro di una società accettabile la libertà delle donne, la loro capacità di direzione politica, mi colpisce come vi scrolliate di dosso il sogno ottocentesco di nazione in direzione di un altro orizzonte, che mi sembra più attuale, più giusto, quello della collaborazione democratica fra persone di cultura diversa, alle quali sia garantita l’espressione e lo studio della propria lingua e della propria cultura; mi interessa poi la vostra idea di una politica di base, che si sviluppa in Comuni, assemblee che decidono insieme sulle scelte, dalle più minute alle più grandi. Il vostro modo di affrontare il tema dell’istruzione, del sostegno reciproco, dell’ecologia. Mi sembra che la vita pubblica come voi la immaginate metta in scacco le polarità a cui siamo abituati, Occidente/Oriente, Sud/Nord, e inserisca un elemento tutto diverso, che viene certo dalla tradizione socialista, ma sa manifestarsi nuovo.

Io non lo so se nel concreto le aspirazioni che dichiarate riuscite sempre a realizzarle, faccio fatica a resistere al tifo istintivo che mi porta a difendervi sempre, a qualunque costo, quando sento dire male di voi e di quello che nel Rojava e altrove state costruendo. Però non riesco a fidarmi di racconti di sola gloria. Vi sono grata, immensamente, ma accanto alla gratitudine spero che vi raggiunga un augurio, di diventare così forti da poter perseguire com’è nelle vostre aspirazioni la nonviolenza; e così sicure da poter raccontare tutto, soprattutto quello che non funziona, che va rimesso a punto, nel praticare un’idea nuova dello stare al mondo: gli sbagli, le resistenze, le tragedie, le colpe; dirci tutto, così potremo veramente e fino in fondo imparare da voi.

Carola Susani