La testimonianza del nunzio in Ucraina, monsignor Kulbokas:
«I bisogni della popolazione sono tanti, ci affidiamo alla Vergine»

Un Paese martoriato
raccolto in preghiera

 Un Paese martoriato raccolto in preghiera   QUO-046
24 febbraio 2023

È la preghiera la risposta più forte e più sentita con cui l’Ucraina affronta oggi il triste anniversario del conflitto, esploso esattamente il 24 febbraio di un anno fa. Nel Santuario mariano di Berdychiv si tiene, infatti, una veglia orante alla quale prendono parte tutti i vescovi latini del Paese, insieme al nunzio apostolico, monsignor Visvaldas Kulbokas. Iniziative simili sono in programma in tutte le diocesi dell’Ucraina, come pure in quelle di altre nazioni del mondo. «Faremo una supplica al Signore e alla Madre di Dio — spiega il presule, intervistato da Svitlana Dukhovych per Vatican News —: fateci ritornare al mondo creato da Dio perché il mondo in cui stiamo vivendo adesso è stato creato dalla violenza, dall’aggressione, dalla guerra, ma non è il mondo di Dio». La preghiera è quanto mai necessaria, aggiunge il rappresentante pontificio, perché «in un anno di guerra così intensa non si è riusciti a trovare altre soluzioni. Quindi rimane solo il miracolo divino, rimane solo la preghiera e questa è la nostra arma spirituale principale, anzi è quella efficace. E abbiamo piena fiducia nella protezione della Vergine Maria».

Con commozione, poi, monsignor Kulbokas ricorda due momenti dell’ultimo anno che gli sono rimasti «molto a cuore»: «Uno è un colloquio che ho avuto con le mogli di due militari, incontrate in nunziatura nel mese di maggio. Una delle signore già aveva perso, purtroppo, suo marito; l’altra era in contatto con il coniuge proprio durante il nostro incontro. E ho visto che effetto fa quando la connessione telefonica si interrompe: cade la linea e la donna non sa se in quel momento ha già definitivamente perso suo marito o se è ancora vivo. Poi, dopo pochi minuti la linea torna e lei piange perché colui che riteneva potesse essere morto invece è ancora vivo. È un trauma continuo, ogni secondo». L’altra istantanea di un anno di guerra ricordata dal nunzio apostolico riguarda «i gruppi, le associazioni delle mamme, mogli, a volte sorelle oppure anche fratelli, che in tante occasioni mi hanno detto: “Non sappiamo se il nostro familiare è vivo o no, se è ferito o meno. Non riusciamo a visitarlo, non riusciamo a sapere dove si trova, non riusciamo a sapere se ha vestiti caldi per i mesi freddi invernali”. È un continuo non sapere ed è una tortura. Nella mia mente rimangono impresse tutte queste testimonianze e io le porto nella preghiera, soprattutto nella celebrazione della Messa e nella recita del Rosario di tutti i giorni».

Il nunzio apostolico si sofferma, poi, sui danni provocati dal conflitto, non solo a livello materiale, ma anche e soprattutto a livello umano: «Ho visto le statistiche alcuni giorni fa: si contano 150.000 abitazioni distrutte. Ma queste non sono solo cifre, perché ogni distruzione causa non solo dolore, non solo perdite, ma anche difficoltà. Per esempio: a Mykolaïv e Kherson, la gente ha bisogno di indumenti, perché non c’è acqua sufficientemente pulita per lavarli. E i volontari e i sacerdoti mi raccontano che quando portano il pane alla popolazione, la gente comincia a mangiarlo direttamente sul posto, non appena lo ricevono». Nella regione di Kharkiv, continua monsignor Kulbokas, «tantissime case sono rimaste senza finestre e tanta gente vive nei sotterranei. A Bakhmut, le persone escono dai rifugi per prendere il cibo che viene portato loro dai volontari della Caritas e poi corrono di nuovo a nascondersi nei rifugi». Oltre a tutto questo, c’è bisogno anche di un altro tipo di supporto: «C’è grande richiesta di psicologi capaci di consigliare le famiglie su come affrontare i traumi subiti in prima persona o dai militari che ritornano dal fronte; e poi ci sono i feriti». Senza dimenticare «la grandissima emergenza» dei bambini» che vivono «continuamente con lo stress della guerra».

Infine, monsignor Kulbokas ricorda con gratitudine la Lettera di Papa Francesco al popolo ucraino diffusa il 25 novembre, a nove mesi dall’inizio della guerra: una missiva che esprime «grande calore» e che ha rappresentato una vera boccata di «ossigeno» per la popolazione ucraina che si è sentita profondamente compresa nella sua sofferenza.