La Santa Sede alla Conferenza di Helsinki del 1973

Si vis pacem, para pacem

 Si vis pacem, para pacem  QUO-045
23 febbraio 2023

Quasi mezzo secolo fa si riuniva a Helsinki la prima sessione della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (Csce), con la partecipazione a pieno titolo della Santa Sede; era la prima volta dal Congresso di Vienna del 1815.

Annunciando il 22 giugno 1973 la partecipazione a Helsinki di una delegazione vaticana guidata da monsignor Agostino Casaroli (futuro Segretario di Stato di Giovanni Paolo ii ), Paolo vi osservò che la Sede Apostolica non considerava quella conferenza meramente europea, ma come un evento destinato ad attirare l’attenzione dei popoli del mondo intero. Il mondo era fin troppo abituato a trattare le questioni della sicurezza con la logica dell’equilibrio del terrore, invece che con un aperto dialogo politico. Paolo vi avvertiva che a Helsinki forse si sarebbe potuto invertire la rotta, e la diplomazia vaticana avrebbe potuto offrire un contributo a tal fine.

Monsignor Casaroli guidò la delegazione vaticana alla Conferenza di Helsinki, la cui apertura era prevista per il 3 luglio 1973. Grande esperto e infaticabile costruttore dell’Ostpolitik vaticana, non solo sotto Montini ma anche con Giovanni xxiii , il prelato piacentino, diplomatico di lungo corso, fin da subito impostò un nuovo registro. Dalle carte di Casaroli si evince come egli fosse persuaso che l’equilibrio del terrore non era né sufficiente né sicuro per mantenere la pace, almeno per due ragioni: i rapporti di equilibrio tendevano a mutare di continuo, poiché ciascuno dei “contendenti” cercava di alterare l’equilibrio a proprio vantaggio, scatenando nell’altro reazioni uguali e contrarie anche nel campo degli armamenti (col rischio di un’escalation). In secondo luogo, accumulando armamenti e intensificando la sfida reciproca, c’era il pericolo che prima o poi si giungesse a gesti sconsiderati.

Questa visione fu illustrata da Casaroli il 6 luglio 1973 a Helsinki, nella prima sessione della Csce. «La Santa Sede — egli disse — è dunque decisamente favorevole alla ricerca di altri mezzi e di altre forme che mirino a garantire la sicurezza comune. È persuasa che, invece di seguire l’antico adagio si vis pacem, para bellum occorre preparare la pace se si vuole realmente la pace. Si tratta di un compito tra i più complicati e difficili. Se per preparare la guerra ciascuno cerca da solo o con i suoi alleati di adottare le proprie misure, la preparazione della pace richiede al contrario il concorso di tutte le parti, concorso che non potrebbe limitarsi a un atto transitorio, ma che esige continuità». Quel che dunque la Santa Sede voleva era lo stabilimento di relazioni internazionali che riposassero su una pace «coscientemente ricercata e fermamente difesa, come la sola alternativa valida di fronte al pericolo di distruzione dei continenti e del mondo o — cosa appena meno grave — di fronte al pericolo che i popoli vivessero sotto la continua minaccia e nel terrore di una tale catastrofe».

Per la Santa Sede, dunque, il cammino verso la pace riposava in un costante, continuo dialogo fra i popoli. Con una precisazione: la vera pace si poteva conseguire solo rispettando canoni di giustizia. Casaroli lo disse a Helsinki molto chiaramente: «La Santa Sede annette particolare importanza al principio, già eloquentemente qui invocato, secondo cui il fondamento della pace è la giustizia. Questo concetto può apparire troppo astratto e prestarsi a sviluppi moralistici o retorici senza grande influenza sui problemi pratici della pace. Si potrebbe al contempo considerarlo come fattore di disturbo capace di alimentare fermenti di rivendicazioni, di scontento e di agitazione […]. Mi sia permesso di ricordare, a tal proposito, che ogni pace che non riposi sulla giustizia e che, a fortiori, la contraddica, non sarà mai una vera e durevole pace; anche in termini di Realpolitik.[…] Non è, questa, una pura e semplice riflessione ma anzitutto la constatazione di un’esperienza».

Formulare principi giuridici che fossero sinonimo di “giustizia” tuttavia non bastava. I principi giuridici per una pace duratura dovevano essere ispirati da comportamenti etici nei rapporti internazionali. Solo con tale connubio sarebbe stato possibile difendere l’uguaglianza sovrana degli Stati, così come la loro integrità territoriale; solo ciò avrebbe portato all’eguaglianza dei diritti di tutti i popoli (e in particolare del diritto a disporre di se stessi); solo così si sarebbe rispettato il principio di non interferenza negli affari interni, e sarebbe nata un’autentica cooperazione tra gli Stati. Ispirato da etica e giustizia, ciascuno avrebbe rispettato il principio di non ricorso alla minaccia o all’impiego della forza, e avrebbe sempre puntato al regolamento pacifico delle controversie.

Casaroli formulò poi a Helsinki un enunciato capitale: «La Santa Sede — spiegò — non minore importanza annette, anche in materia di salvaguardia della sicurezza e della buona intesa tra i popoli, al riconoscimento e all’impegno al rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali da parte di tutti gli Stati partecipanti alla conferenza». E nel chiudere il suo intervento chiese ai presenti se non avvertissero «l’eco di questo sublime comandamento dell’amore fraterno che risuonò diciannove secoli or sono sul limitare dell’Europa» rovesciando il corso della Storia. Come emerge dalle carte del prelato, questa era un’aggiunta al discorso fatta su richiesta del diretto superiore di Casaroli, il cardinale Jean Villot, e certamente di Paolo vi .

La Santa Sede giunse a Helsinki ispirata da un certo “realismo idealistico” (o “idealismo realista”). Si era tutti alla ricerca di una mutua cooperazione per vantaggi comuni in Europa; ma bisognava realisticamente guardare anche al resto del pianeta, agli altri continenti e al “sud” del mondo. Tutti avevano diritto alla pace con giustizia. Ma ciò significava anche molte de-escalation, anzitutto nel campo degli armamenti.

Si vis pacem, para pacem. Questo “brocardo” forse descrive bene l’approccio della Santa Sede alla Csce. Pensare a una pace con giustizia (che sola può render duratura la pace) significava concepire un’idea meno astratta di pace globale; una pace calata nell’amore per l’Umanità.

Papa Francesco e il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, hanno evidenziato di recente l’importanza della Csce per il dialogo, la comprensione reciproca, la pace e la giustizia internazionale. Cinquant’anni fa, Helsinki fu strumento di distensione, oggi irripetibile. Eppure (lo ha detto il segretario di Stato Parolin in un recente simposio organizzato dall’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede in collaborazione con i Media Vaticani e la rivista « Limes» ), si può provare oggi a «far rivivere lo spirito di Helsinki adoperandoci con creatività» per una pace con giustizia; tanto più che «abbiamo bisogno di realizzare nuove regole per i rapporti internazionali», che oggi sono «molto più liquidi e dunque inconsistenti». Guardando a Helsinki e ai suoi principi inattuati, siamo annichiliti dal pessimismo della delusione e dalla frustrazione del fallimento. Il che rappresenta il terreno ideale per la rinuncia a ogni ulteriore impegno per la pace e per una nuova distensione. Ma l’esperienza di Helsinki ha anche insegnato che è possibile inventare l’inesistente, poggiando sulla creatività e sulla buona fede dell’uomo. Ciò che è accaduto, mutatis mutandis, può quindi accadere di nuovo: creare un percorso di dialogo e di cooperazione.

«La Santa Sede è pronta a fare tutto il possibile per favorire questo percorso — ha detto il Cardinale Parolin, richiamando il Magistero di Francesco —. Ci auguriamo di far rivivere lo spirito di Helsinki in modo rinnovato e adeguato alle situazioni del presente». Guardando all’esperienza vaticana a Helsinki, l’augurio di Parolin non è una speranza “liquida”. È invece un appello a rimodellare la comunità internazionale, con l’impegno di ciascuno, su principi di autentica giustizia e pace.

Matteo Luigi Napolitano