«Di fronte alla sofferenza di tanti innocenti, bambini, donne, mamme, famiglie» nella «tribolata Siria» devastata dal terremoto del 6 febbraio scorso, Papa Francesco rinnova l’appello affinché «si faccia tutto il possibile per la gente» e «non vi siano ragioni o sanzioni che ostacolino gli urgenti e necessari aiuti alla popolazione». L’auspicio è contenuto nel discorso del Papa a giovani sacerdoti e monaci delle Chiese ortodosse orientali, ricevuti in udienza stamane, giovedì 23 febbraio, nella Biblioteca privata del Palazzo apostolico vaticano. A motivo di un forte raffreddore, il Pontefice non ha pronunciato il testo preparato — che pubblichiamo di seguito — ma ha scelto di consegnarlo ai presenti.
Cari fratelli,
vi saluto con gioia nel Signore. Sono lieto di accogliervi per la terza edizione di questa bella iniziativa di visite a Roma di giovani sacerdoti e monaci delle Chiese ortodosse orientali. Siete i benvenuti! Quest’anno siete giunti qui all’inizio della Quaresima, itinerario che i cristiani percorrono in preparazione alla Pasqua di Cristo, cuore della nostra fede. Mi viene in mente un altro cammino: quello che due discepoli fecero insieme al Risorto proprio nel giorno di Pasqua (cfr. Lc 24, 13-35). Quel cammino verso Emmaus può in un certo senso simboleggiare il percorso ecumenico dei cristiani verso la piena comunione. Vedo infatti dei punti in comune tra i due tragitti, tre elementi che vorrei condividere con voi oggi.
Il primo è che, se i cristiani camminano insieme, come facevano i due discepoli di Emmaus, saranno accompagnati da Cristo, che affiancherà, motiverà e porterà a compimento il loro percorso. Infatti Gesù raggiunge quei due discepoli, sconvolti e disorientati, lungo la strada; si accosta ad essi in incognito, facendosi viandante con loro. Allora il tragitto diventa un pellegrinaggio. Certo, la tristezza e il ripiegamento su sé stessi hanno impedito ai loro occhi di riconoscerlo (cfr. v. 16); similmente lo scoraggiamento e l’autoreferenzialità impediscono ai cristiani di Confessioni diverse di vedere ciò che li unisce, di riconoscere Colui che li unisce. Allora, in quanto credenti dobbiamo credere che, quanto più camminiamo insieme, tanto più saremo misteriosamente accompagnati da Cristo, perché l’unità è un pellegrinaggio comune.
Dice l’Evangelista che quei due discepoli «conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto», «conversavano e discutevano insieme» (vv. 14-15). Questo è il secondo elemento, il dialogo: dialogo della carità, dialogo della verità, dialogo della vita, per riprendere le tre tipologie indicate dal Vademecum ecumenico del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Il dialogo dei pellegrini di Emmaus porta al dialogo con Gesù, che ne diventa l’esegeta; sulla base delle loro conversazioni, Cristo parla ai loro cuori, li ridesta, li fa ardere spiegando in tutte le Scritture ciò che si riferisce a Lui (cfr. v. 27). Questo ci mostra che il dialogo tra i cristiani si fonda sulla Parola di Dio, che il Signore Gesù ci fa comprendere con la luce del suo Spirito.
Peregrinare insieme e dialogare; giungiamo al terzo elemento: l’Evangelista spiega che quando i discepoli si avvicinarono a Emmaus, Gesù «fece come se dovesse andare più lontano» (v. 28). Il Signore non impone la sua presenza, ma i discepoli lo pregano di rimanere: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto» (v. 29). Hanno desiderato stare insieme con Cristo. Non sono andati ciascuno a casa propria, ma hanno voluto prolungare la compagnia con Gesù e tra di loro, lo hanno pregato, hanno insistito. Ecco il terzo elemento: bisogna desiderare l’unità con la preghiera, con tutto il cuore e le forze, con insistenza, senza stancarsi. Perché, se il desiderio dell’unità è spento, non basta camminare e dialogare: tutto diventa qualcosa di dovuto e formale. Se invece il desiderio spinge ad aprire le porte a Cristo insieme al fratello, tutto cambia. La Scrittura ricorda che Gesù non spezza il Pane con i discepoli rinunciatari e disuniti; sta a loro invitarlo, accoglierlo, desiderarlo insieme. Questo è forse ciò che oggi più manca ai cristiani delle varie Confessioni: un desiderio ardente di unità, che venga prima degli interessi di parte.
Cari fratelli, l’unità è pellegrinaggio, l’unità è dialogo, l’unità è desiderio. Se viviamo queste tre dimensioni nel cammino ecumenico, allora, come quei discepoli, giungeremo a riconoscere insieme Cristo allo spezzare del Pane e beneficeremo della comunione con Lui alla stessa mensa eucaristica (cfr. vv. 30-31). E, come i due di Emmaus tornarono di corsa a Gerusalemme per raccontare con gioia e stupore quanto avevano sperimentato, così anche noi potremo testimoniare in modo credibile il Crocifisso Risorto, «perché il mondo creda» (Gv 17, 21). Cari fratelli, vi siete messi in viaggio per venire qui. Vi ringrazio per questo. Nel vostro pellegrinare a Roma spero che possiate avvertire la presenza viva del Risorto, che la nostra comunione cresca nel dialogo fraterno, che si rinnovi in ciascuno un desiderio ardente di unità.
Il Signore vi benedica e la Madre di Dio vi protegga. Vi chiedo di portare il mio saluto ai vostri Vescovi e alle vostre Chiese. Qualcuno di voi viene dalla tribolata Siria; vorrei esprimere una vicinanza particolare a quel caro popolo, provato, oltre che dalla guerra, dal terremoto che, come in Turchia, ha provocato tante vittime e devastazioni terribili. Di fronte alla sofferenza di tanti innocenti, bambini, donne, mamme, famiglie, auspico che si faccia tutto il possibile per la gente, che non vi siano ragioni o sanzioni che ostacolino gli urgenti e necessari aiuti alla popolazione.
Cari fratelli, vi ringrazio e vi porto nella preghiera; vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di me rivolgendovi al Signore. Se vi è gradito, adesso possiamo pregare insieme, ognuno nella propria lingua, il Padre Nostro.