Bailamme

Péguy, spes contra spem

 Péguy, spes contra spem  QUO-040
17 febbraio 2023

Il fiume Marna, che scorre da nord a ovest, nel cuore della Francia, è stato il teatro di una battaglia epica all’inizio della Prima guerra mondiale, quando le forze tedesche furono fermate e respinte mentre avanzavano rapidamente su Parigi. Fra le migliaia di soldati che morirono nei primi giorni della battaglia vi fu Péguy, un pensatore profetico e un grande poeta. Dall’età di vent’anni fu ateo, ma ritornò alla fede cattolica sei o sette mesi prima di essere ucciso.

Giovanna d’Arco fu la sua eroina per tutta la vita, mentre lottava con le sofferenze che gli esseri umani sopportano, e trovò conforto nella speranza che si può trovare attraverso l’amore divino. In Le porche du mystère de la deuxième vertu, uno dei grandi poemi contenuti nelle sue Oeuvres poétiques complete, egli ci presenta la speranza come una virtù ed un habitus particolarmente gradito a Dio: «La fede che preferisco, dice Dio, è la speranza (…) ecco ciò che mi stupisce (…) Per sperare, figlio mio, bisogna essere felici davvero, bisogna avere ottenuto, ricevuto una grande grazia. / È la fede che è facile, sarebbe impossibile non credere. È la carità che è facile, sarebbe impossibile non amare. Ma è sperare che è difficile. / Ciò che è facile e in discesa è disperare ed è la grande tentazione. / La piccola speranza avanza tra le sue due sorelle maggiori (…) / Il popolo cristiano non vede che le due sorelle maggiori (…) / E non vede quasi per nulla quella che sta in mezzo (…) / Crede volentieri che sono le due grandi che portano la piccola per mano (…) / Ciechi che non vedono il contrario, / che è quella in mezzo che trascina le sue sorelle maggiori. / E senza di lei non sarebbero nulla (…) / È lei, la piccola, che trascina tutto. / Perché la fede non vede se non ciò che è. / E lei, lei vede ciò che sarà. / La carità non ama se non ciò che è. / E lei, lei ama ciò che sarà».

Credere che chi è morto possa continuare a vivere per sempre, tutto sommato, non è difficile, ma aspettare la risurrezione della carne, il riscatto, il recupero, il giudizio e la salvezza del passato sfiora l’impossibile e, secondo la parola biblica, è sperare contro ogni speranza umanamente razionale. È sperare non solo in una ragionevole immortalità dell’anima, alla quale erano arrivati anche i filosofi greci; non solo in una sopravvivenza tramite e nella propria discendenza — Abramo docet —; non solo nel ricordo delle persone che ci hanno amato o in quello dell’umanità, a causa di ciò che abbiamo fatto di imperituro.

Anzi, il Foscolo arriva addirittura a confutare questo sentire comune, affermando, a questo proposito: «All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne / confortate di pianto è forse il sonno / della morte men duro?».

No, è la risposta a questa domanda retorica: il sonno della morte non è più facile da accettare se il sepolcro è confortato dal rimpianto dei propri cari rimasti in vita. Infatti, egli dice, poche righe più in là: «Anche la Speme, / ultima Dea, fugge i sepolcri; e involve / tutte cose l’obblio nella sua notte».

Nonostante il detto popolare reciti «la speranza è l’ultima a morire», il nostro poeta ha ormai lasciato ogni speranza, per riecheggiare il verso dantesco. Diversa la vicenda umana e spirituale di Péguy, cantore della grande speranza cristiana. 

di Simone Caleffi