Nel libro di Marco Campedelli

L’umana spiritualità
di Eduardo

 L’umana spiritualità di Eduardo  QUO-039
16 febbraio 2023

Ci sono libri che vengono da lontano e, forse proprio per questo, non è facile recensirli. Per di più, pur senza dichiarare di essere anche un saggio autobiografico, Il vangelo secondo Eduardo (Torino, Claudiana, 2022, pagine 128, euro 12,50) di Marco Campedelli in realtà lo è. Certo, il protagonista unico e assoluto è Eduardo De Filippo anzi, forse è meglio dire, il suo teatro, che coincide però pienamente, come per ogni grande artista, con la sua persona, almeno con quella che avrebbe voluto essere. È pur vero che, per chi ha la fortuna di conoscere Campedelli, è impossibile non riconoscere in ogni pagina la sua profondità e il suo garbo intellettuali, la sua limpidezza di pensiero e di linguaggio, la sua passione per quella teologia che prende corpo “fuori” dai palazzi, siano essi le accademie o le sagrestie. Quella teologia di cui tutti abbiamo bisogno per nutrire una fede altrimenti sterile e di cui tutti possiamo essere capaci se sappiamo cogliere che «è perché è profondamente laico che Eduardo ha uno sguardo religioso sulla vita».

Campedelli è capace di guardare a Eduardo e alla sua «ecologia teatrale» con il distacco necessario per offrircene una presentazione critica dotata di analisi approfondite, ma anche di appassionata partecipazione. È lui stesso presente nel testo. Non solo quando, ripetutamente, richiama possibili coincidenze tra quanto si muove dentro e dietro l’immaginario partenopeo del grande genio del teatro italiano e il suo piccolo mondo veneto che, senza nessuna pretesa scenografica perché sarebbe del tutto impropria, resta però uno dei codici narrativi che Campedelli utilizza per manifestare la sua sentita partecipazione al mondo messo in scena da Eduardo.

Un mondo che, pur essendogli estraneo, gli diventa sentitamente «familiare». Perché le differenze socio-culturali restano in superficie e si raggiunge invece la comune umanità, ma anche la comune capacità di attingere all’immaginario religioso per cogliere che solo se profondamente laico lo sguardo sulla vita diviene religioso. Come ha fatto Pasolini, che avrebbe voluto che Eduardo interpretasse, in un film in realtà mai realizzato, Epifanio, l’ultimo re magio che da Napoli parte seguendo la stella cometa. Annota Campedelli: «Non spiega, Eduardo, tantomeno il divino. Tutt’al più indica, mostra, come il re magio fa con la stella e la segue».

L’analisi di due commedie, De Pretore Vincenzo, cioè i dialoghi ultraterreni di un mariuolo napoletano, e Natale in casa Cupiello, al cui centro palpita quel «rito culturale» della costruzione del presepe che, come ha scritto il teologo Bruno Forte, «traduce il vangelo in dialetto», consentono a Campedelli di far emergere la raffinata tessitura teologica di Eduardo. Sul palcoscenico, infatti, non ci sono soltanto i suoi personaggi, ma nitida è anche la presenza del Dio di Gesù, che dialoga con De Pretore Vincenzo, vittima di un sistema che «aveva dogmatizzato le disuguaglianze» e che, alla richiesta di Luca Cupiello di «dare carne a un sistema di idee e di dottrine che si erano fatte via via disincarnate» risponde con la sua nascita e la sua morte.

Il riferimento alla terza commedia, Filumena Marturano, serve a Campedelli soltanto da pretesto per rimandare all’Eduardo-Epifanio di Pasolini, che consente di intercettare questa presenza in modo ancora più palpabile, dato che impregna ogni angolo della città partenopea e ogni piega della vita che la anima.

Dicevo in apertura che questo libro è uno di quelli che vengono da lontano. Non soltanto perché il lettore percepisce che l’itinerario interpretativo proposto da Campedelli arriva lì dove, come grazie a un’immersione di profondità, è possibile vedere non solo le onde di superficie, ma la preziosità di ciò che vive e si muove sul fondale marino.

Ma anche perché viene da lontano il fascino di Campedelli per Eduardo. Viene da quel ragazzino di tredici anni che aspettava il venerdì sera per vedere le commedie di Eduardo. La televisione era in bianco e nero e «non aveva raggiunto quella sorta di teocrazia del consumo profetata da Pasolini», ma era portatrice di humanitas e trasmetteva ogni settimana il grande teatro perché assolveva al suo compito: fare cultura.

di Marinella Perroni