«Comandante» di Edoardo De Angelis e Sandro Veronesi

Lezione di umanità
da un sottomarino

 Lezione di umanità da un sottomarino  QUO-036
13 febbraio 2023

Salvare il nemico? Una storia di ieri che parla all’oggi


«Naufraghi, Rina mia. Uomini vinti che nuotavano a fatica e puntavano tutte le loro forze residue sul nero sommergibile che li aveva appena ridotti in quello stato. Uomini che fino a mezz’ora prima avevano le stesse cose che abbiamo tutti noi, e bada, Rina, che non parlo di denaro, non parlo di ricchezze, parlo delle povere cose che ogni uomo si porta sempre dietro, anche in guerra: le foto dei propri cari, il rasoio, il pennello e il sapone per radersi, le sigarette, gli zolfanelli, il pettine, la brillantina, le forbicine, il portachiavi, la roba di ricambio, un maglione di lana fatto ai ferri dalla mamma, le scarpe da riposo, un orologio da taschino appartenuto a un antenato, un mazzo di carte da gioco, una penna stilografica con l’inchiostro raggrumato nel pennino. Tutte quelle loro povere cose in quel momento stavano per toccare il fondo dell’oceano insieme alla nave che le conteneva. Quegli uomini ora non avevano più nulla. Avevano solo un corpo, sempre più pesante, sempre più vicino alla fine, un corpo ancora caldo che l’acqua gelata avrebbe assiderato in pochi minuti. Anzi, Rina cara, non è giusto che io ti dica “avevano”: loro erano quel corpo, ormai erano soltanto quello. Non erano superstiti, come li chiama l’ordine 154 di Donitz, erano naufraghi».

È Salvatore Todaro che parla. Un flusso di coscienza, il suo, che culmina in una decisione sola, coraggiosa e pazzoide: salvare il nemico, i ventisei uomini che stanno combattendo la guerra per mare e non sono alleati degli italiani. Il motivo? Semplice: si tratta di persone — persone in pericolo, persone che stanno per morire nelle acque — e non c’è alcuna legge, alcuna norma o alcun ordine scritto più importante di una, molte vite.

Ce lo dice la storia, quando ci consegna i dettagli di questa vicenda (poco nota), realmente accaduta nel corso del Secondo conflitto mondiale, e ce lo dicono il regista Edoardo De Angelis e lo scrittore Sandro Veronesi nell’opera che hanno scritto a quattro mani. Comandante (Firenze, Bompiani, 2023, pagine 160, euro 16) si intitola questo libro in cui i fatti e gli eventi reali del 1940 — quelli, per l’appunto, legati alla figura di Todaro, «mago, fachiro, ipnotizzatore» ma prima di tutto uomo, serio e saldo, al comando — sono la risposta alle cronache del nostro tempo.

Un uomo, già vittima di un incidente che lo condanna a portare un busto d’acciaio, decide nonostante tutto di imbarcarsi sul sommergibile «Cappellini» («Cappellini in onore ... del Comandante Alfredo Cappellini, che saltò in aria insieme a tutto il suo equipaggio il 20 luglio del 1866 durante la battaglia di Lissa per non aver voluto abbandonare la cannoniera corazzata Palestro colpita dal fuoco delle navi austroungariche») e di andare alla guerra, di combattere per il proprio Paese. Davanti alla pietà che prova nei confronti di chi sta letteralmente dall’altra parte, dà — agli uomini di tutti i tempi e luoghi — una straordinaria lezione di umanità, quell’umanità che oggi molto probabilmente, dinnanzi ai corpi senza vita del Mediterraneo, manca in chi deve prendere decisioni, in chi deve assumersi responsabilità, in chi invece di guardare e fare qualcosa mostra totale indifferenza.

Comandante è, poi, un romanzo (e non si vede l’ora di gustare sul grande schermo l’omonimo film, in lavorazione naturalmente firmato da De Angelis, regia e sceneggiatura, e Veronesi, sceneggiatura, con Pierfrancesco Favino come protagonista) immersivo. Perché immersivo? Perché il lettore si immerge, non a caso, nelle esistenze di una molteplicità di giovani chiamati a combattere: ragazzi che provengono da regioni differenti dell’Italia, parlano lingue diverse, hanno abitudini svariate, eppure sono tutti accomunati dalle stesse paure, dalla stessa speranza di vivere il futuro dopo la guerra («Minniti, Schiassi, Mancini, il Capo Silurista Giuseppe Parlato, Negri, Raffa, è un susseguirsi di occhi spiritati, brufoli, capelli sporchi, bocche carnose, vene in rilievo sulla fronte, risate, pelle tirata, tatuaggi, mani che non stanno mai al proprio posto. Attaccati alle pareti, santi, santini, madonne, mogli, fidanzate e modelle di rivista, corni e ferri di cavallo. Teste d’aglio incastrate tra gli strumenti. Tutta la giovinezza del mondo è compressa in questo sigaro d’acciaio»).

Un libro, dunque, sul sacrificio di vite umane, quello che più volte è stato detto non doversi più ripetere ma invano, considerate le altre, innumerevoli, guerre di oggi e, come già ricordato, i viaggi della speranza dei nostri migranti in un mare che invece di accogliere diventa cimitero.

Nato per puro caso anche «per miracolo» (lo spiega bene Veronesi nell’appena citata prefazione), il volume non è altro che un monito nei confronti degli italiani, e non solo. Affinché «gli italiani (quelli che vanno per mare, ma soprattutto quelli che non ci vanno, che prendono il sole sul bagnasciuga, e giocano a racchettoni, e partecipano alle feste in spiaggia, e considerano giusto, perfino patriottico, lasciar morire affogata la gente che fugge dalla povertà, dalla persecuzione e dalla guerra) sappiano di chi sono figli. Anzi, nipoti». E, magari, una volta scoperto, pensino, pure per un attimo, a chi riposa «sul fondo del mare», coperto «da croci di corallo». Un volume, in definitiva, di denuncia, politico, umano, troppo umano. Imperdibile.

di Enrica Riera