Dolore e speranza

EDITORS NOTE: Graphic content / TOPSHOT - A newborn baby who was found still tied by her umbilical ...
08 febbraio 2023

Quando accadono tragedie devastanti come quella del terremoto in Turchia e in Siria gli uomini si attaccano, si aggrappano disperatamente alla speranza. La speranza ha senso proprio quando la situazione è disperata. È questo anche il senso della preghiera: «Quasi tutte le cose che gli uomini chiedono nella preghiera — osserva C. S. Lewis — sono imprevedibili: il risultato di una battaglia o di un’operazione, la perdita o l’ottenimento di un lavoro, un amore corrisposto. Non preghiamo certo per le eclissi». L’eclissi è l’opposto del terremoto in termini di prevedibilità: è un grande “spettacolo” di cui si sa già tutto prima. Da questo punto rappresenta bene il clima, il mood si dice oggi, dell’attuale mondo occidentale tecnologicamente avanzato, dove tutto è spettacolarizzato e non c’è spazio se non per ciò che è previsto, programmato, pianificato; anche i viaggi, l’emblema dell’avventura, sono “organizzati”. E ovviamente qualcosa sfugge sempre. Come un terremoto. E qui scattano le due sorelle in perenne competizione: la paura e la speranza.

Le immagini che stiamo vedendo in questi giorni parlano da sole e dicono queste due dimensioni: quella della paura e quella della speranza. La gioia che esplode improvvisa quando un genitore ritrova il figlio vivo, riportato in salvo da sotto le macerie, e il dolore muto e inconsolabile che si abbatte quando questo “miracolo” non accade. Ieri questo giornale ha pubblicato in prima pagina la foto di due mani, quella di un padre che stringendo la mano della figlia ormai morta cercava in qualche modo di darle, restituirle la vita. Quanta vita c’è in questa morte e quanta morte c’è nella nostra vita, anche se evitiamo di guardarla, di pensarci.

Più tardi è arrivata la notizia di un miracolo avvenuto: la bambina appena nata sotto le macerie e ritrovata vita, ancora attaccata al cordone ombelicale della madre ormai morta. Non c’è amore più grande del dare la vita. Le mamme lo fanno da sempre, in qualsiasi condizione, anche quelle più estreme, come questa madre di Jinderis, in Siria. Questa bambina è come la luce di una stella che, inconsapevole della morte della sua fonte, arriva ostinatamente sulla Terra, dopo un lungo viaggio siderale, a splendere sulle sorti degli uomini, rincuorandoli.

Ma assomiglia anche a qualcos’altro questa piccola enorme storia della neonata sotto le macerie: al mistero della Pasqua. A Jinderis ieri era Sabato Santo. Gesù è morto ed è sepolto, anche lui come quella mamma è sotto la pietra e da lì non smette di generare la vita, per tutti. Gesù, morto donando la vita per amore, è quel cordone ombelicale che, dall’abisso della morte, ci sostiene, ci nutre, ci rincuora e ci illumina il cammino. Questo nostro cammino così incerto, imprevedibile, meraviglioso e drammatico che chiamiamo vita.

di Andrea Monda