La Chiesa in soccorso:
edifici aperti e raccolte fondi

Women react as they watch rescue personnel search for victims and survivors through the rubble of ...
07 febbraio 2023

«Una situazione apocalittica, non ho mai visto niente di simile». Monsignor Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei, definisce così la situazione nella città poche ore dopo il terremoto che nella notte di lunedì 6 febbraio ha devastato Turchia e Siria. La voce è rotta dall’emozione, ci chiede di ascoltare le sirene delle auto di soccorso e ripete più volte che adesso occorrono aiuti immediati per salvare questa popolazione. «La gente è tutta in strada, nonostante il freddo e la pioggia, dorme nelle macchine e cerca di comunicare con i telefonini», racconta mentre si sposta nelle varie zone della città per capire quali palazzi sono crollati e quante case risultano inagibili. Il terremoto turco non conosce confini, ha attraversato zone dove «ci sono moltissimi rifugiati e le temperature rigide rendono i soccorsi ancora più difficili», spiega Laura Stopponi, responsabile dell’Ufficio Europa di Caritas Italiana, che nel ricordare come «in Turchia i terremoti siano una costante», sottolinea come qualcosa di simile risalga a quasi un secolo fa. «Adesso — aggiunge — è importante procedere con le raccolte fondi». Come quella lanciata dal vicario apostolico di Anatolia, Paolo Bizzeti, da subito all’opera per organizzare gli aiuti. Anche il vicario delegato, padre Antuan Ilgit, rinnova l’appello: «Mancano cibo e acqua potabile», scrive sui social. Poi racconta che insieme alle suore dà sostegno a chi è rifugiato. «Le strade di Iskenderun — prosegue — sono piene di sabbia e acqua, al porto questa mattina c’è stato un grande incendio e speriamo che nelle prossime ore arrivi un tir da Smirne con alimenti e acqua». In Siria un appello perché si sostenga la popolazione colpita arriva da padre Bahjat Elia Karakachl, parroco latino di San Francesco, ad Aleppo. «Vorrei che la comunità internazionale sia vicina ai siriani, già provati da 12 anni di guerra. Un sostegno concreto, senza dimenticare il lavoro per una soluzione politica che dia, oggi più che mai, speranza a questa gente», dice ai media vaticani. Fra Ibrahim Alsabah è stato per anni parroco ad Aleppo ed ora si trova a Nazareth. Da lì segue, fin dalle prime ore successive al sisma, quanto sta accadendo alla sua comunità. «Case, edifici crollati, strade danneggiate, anche la nostra chiesa di San Francesco è stata colpita. Il mio pensiero va poi ai comuni più a nord di Aleppo, dove ci sono delle comunità cristiane latine», racconta con la voce rotta dall’emozione. La chiesa è stata allestita questa notte per far dormire chi ha perso la casa e così sarà anche per i prossimi giorni. «Purtroppo è impossibile trovare dei materassi, ma si stanno fornendo delle coperte da mettere anche a terra per mitigare le temperature sotto lo zero», spiega. Un suo amico, sacerdote melchita, è tra le vittime di Aleppo. Si chiamava don Imad Daher. «Era con il vescovo emerito melchita, monsignor Jean—Clément Jeanbart, che è stato tratto in salvo dal balcone della casa. Per don Imad invece non c’è stato niente da fare», conclude.

di Andrea De Angelis