Un canto nella notte

 Un canto  nella notte  QUO-030
06 febbraio 2023

Siamo tornati cantando. Con i canti del Congo e del Sud Sudan ancora nelle orecchie, cioè nel cuore. Ricordare questo significa: riportare al cuore. Nella memoria di questo lungo viaggio diviso tra due Paesi il primo ricordo che resta e resiste è il canto.

Canti diversi quelli del Congo e quelli del Sud Sudan (frutto di storie diverse) ma che scaturiscono entrambi lì da dove meno li si potrebbe aspettare; sono “canti nella notte” come ha detto il Papa nell’omelia di domenica mattina davanti a quasi centomila persone raccolte a Giuba e dedicata all’annuncio di Cristo crocifisso e risorto che è «annuncio di speranza: Egli, infatti, conosce le angosce e le attese che portate nel cuore, le gioie e le fatiche che segnano la vostra vita, le tenebre che vi opprimono e la fede che, come un canto nella notte, levate al Cielo. Gesù vi conosce e vi ama; se rimaniamo in Lui, non dobbiamo temere, perché anche per noi ogni croce si trasformerà in risurrezione, ogni tristezza in speranza, ogni lamento in danza».

Canti e danze: abbiamo visto due popoli cantare e danzare, pur vivendo nell’ombra di una notte che sembra non aprirsi ad un’alba ancora lontana.

Due popoli, due fiumi. Nei suoi discorsi il Papa è spesso tornato sull’immagine dei due grandi fiumi che segnano e in qualche modo “generano” le due terre visitate, il fiume Congo e il “grande padre” Nilo. Nel discorso al clero del Sud Sudan, nella cattedrale di Giuba, Papa Francesco ha riflettuto su questo legame tra i canti e i fiumi e parlando del Nilo ha osservato come: «Nel letto di questo corso d’acqua si riversano le lacrime di un popolo immerso nella sofferenza e nel dolore, martoriato dalla violenza; un popolo che può pregare come il salmista: “lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo” (Sal 137, 1). Le acque del grande fiume, infatti, raccolgono i gemiti sofferenti delle vostre comunità, il grido di dolore di tante vite spezzate, il dramma di un popolo in fuga, l’afflizione del cuore delle donne e la paura impressa negli occhi dei bambini».

E invece questi due popoli, lungo tutti questi giorni, lungo tutte le strade percorse dal Papa, hanno cantato, accompagnando la sua visita con una gioia sorgiva, traboccante. La felicità di essere stati raggiunti dal vescovo di Roma ha suscitato un effetto di restituzione generosa, smisurata. Cantare è già di per sé un gesto generoso, che se da una parte richiede uno sforzo maggiore rispetto al parlare, dall’altra viene spesso compiuto da ogni persona con naturalezza, perché anche quando ci mettiamo a fischiettare una musica passeggiando, cantiamo in quanto “siamo cantati” («...Cantami, o Diva»), come sotto un’ispirazione, qualcosa di più grande che ci precede, viene incontro e trascina.

Forse allora è la generosità, anzi è la dismisura che, paradossalmente, può essere quella misura utile per un primo bilancio, a caldo, di questo quarantesimo viaggio così importante di Papa Francesco in Africa. Da questo punto di vista l’immagine che allora può rendere efficacemente una sintesi del viaggio è quella del bambino che tende la mano al Papa per dargli dei soldi arrotolati: quel bambino, dando tutto quel poco che possiede, ha cantato, divinamente, la sua canzone.

di Andrea Monda