La messa domenicale a Giuba
L’omelia nell’ultimo appuntamento pubblico del viaggio in terra africana

Deporre le armi dell’odio
e della vendetta
per imbracciare la preghiera e la carità

 Deporre le armi dell’odio e della vendetta  per imbracciare la preghiera e la carità  QUO-030
06 febbraio 2023

Mettere sulle ferite il sale del perdono che brucia ma guarisce


Oltre centomila fedeli in festa hanno partecipato ieri mattina, domenica 5 febbraio, a Giuba — sul grande piazzale antistante il mausoleo “John Garang” e nell’area limitrofa — alla messa celebrata da Papa Francesco per la comunità cattolica del Sud Sudan. Pubblichiamo il testo dell’omelia pronunciata dal Pontefice, alla presenza del presidente della Repubblica, nell’ultimo appuntamento pubblico del viaggio in terra africana.

Le parole che l’Apostolo Paolo ha rivolto alla comunità di Corinto nella seconda Lettura, vorrei oggi farle mie e ripeterle davanti a voi: «Quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso» (1 Cor 2, 1-2). Sì, la trepidazione di Paolo è anche la mia, nel trovarmi qui con voi nel nome di Gesù Cristo, il Dio dell’amore, il Dio che ha realizzato la pace attraverso la sua croce; Gesù, Dio crocifisso per tutti noi; Gesù, crocifisso in chi soffre; Gesù, crocifisso nella vita di tanti di voi, in molte persone di questo Paese; Gesù il Risorto, vincitore sul male e sulla morte. Vengo a voi a proclamarvi Lui, a confermarvi in Lui, perché l’annuncio di Cristo è annuncio di speranza: Egli, infatti, conosce le angosce e le attese che portate nel cuore, le gioie e le fatiche che segnano la vostra vita, le tenebre che vi opprimono e la fede che, come un canto nella notte, levate al Cielo. Gesù vi conosce e vi ama; se rimaniamo in Lui, non dobbiamo temere, perché anche per noi ogni croce si trasformerà in risurrezione, ogni tristezza in speranza, ogni lamento in danza.

Vorrei dunque soffermarmi sulle parole di vita che il nostro Signore Gesù ci ha rivolto oggi nel Vangelo: «Voi siete il sale della terra […]. Voi siete la luce del mondo» (Mt 5, 13.14). Che cosa dicono queste immagini a noi, discepoli di Cristo?

Anzitutto, siamo sale della terra. Il sale serve a dare sapore al cibo. È l’ingrediente invisibile che dà gusto a tutto. Proprio per questo, fin dai tempi antichi, è stato visto come simbolo della sapienza, cioè di quella virtù che non si vede, ma che dà gusto al vivere e senza la quale l’esistenza diventa insipida, senza sapore. Ma di quale sapienza ci parla Gesù? Egli utilizza questa immagine del sale subito dopo aver proclamato ai suoi discepoli le Beatitudini: capiamo allora che sono esse il sale della vita del cristiano. Le Beatitudini, infatti, portano in terra la sapienza del Cielo: rivoluzionano i criteri del mondo e del modo comune di pensare. E che cosa dicono? In poche parole, affermano che per essere beati, cioè pienamente felici, non dobbiamo cercare di essere forti, ricchi e potenti, bensì umili, miti, misericordiosi; non fare del male a nessuno, ma essere operatori di pace per tutti. Questa — dice Gesù — è la sapienza del discepolo, è ciò che dà sapore alla terra che abitiamo. Ricordiamoci: se mettiamo in pratica le Beatitudini, se incarniamo la sapienza di Cristo, non diamo un buon sapore solo alla nostra vita, ma anche alla società, al Paese dove viviamo.

Ma il sale, oltre a dare sapore, ha un’altra funzione, essenziale ai tempi di Cristo: conservare i cibi perché non si corrompano, diventando avariati. La Bibbia, però, diceva che c’era un “cibo”, un bene essenziale che andava conservato prima di ogni altro: l’alleanza con Dio. Perciò a quei tempi, ogni volta che si faceva un’offerta al Signore, si metteva un po’ di sale. Ascoltiamo infatti che cosa dice la Scrittura in proposito: «Nella tua oblazione non lascerai mancare il sale dell’alleanza del tuo Dio; sopra ogni tua offerta porrai del sale» (Lv 2, 13). Così il sale ricordava il bisogno primario di custodire il legame con Dio, perché Lui è fedele a noi, la sua alleanza con noi è incorruttibile, inviolabile e duratura (cfr. Nm 18, 19; 2 Cr 13, 5). Perciò il discepolo di Gesù, in quanto sale della terra, è testimone dell’alleanza che Lui ha realizzato e che celebriamo in ogni Messa: un’alleanza nuova, eterna, infrangibile (cfr. 1 Cor 11, 25; Eb 9), un amore per noi che non può essere incrinato neanche dalle nostre infedeltà.

Fratelli, sorelle, siamo testimoni di questa meraviglia. Anticamente, quando delle persone o dei popoli stabilivano tra loro un’amicizia, spesso la stipulavano scambiandosi un po’ di sale; noi che siamo sale della terra, siamo chiamati a testimoniare l’alleanza con Dio nella gioia, con gratitudine, mostrando di essere persone capaci di creare legami di amicizia, di vivere la fraternità, di costruire buone relazioni umane, per impedire che prevalgano la corruzione del male, il morbo delle divisioni, la sporcizia degli affari iniqui, la piaga dell’ingiustizia.

Oggi vorrei ringraziarvi perché siete sale della terra in questo Paese. Eppure, dinanzi a tante ferite, alle violenze che alimentano il veleno dell’odio, all’iniquità che provoca miseria e povertà, potrebbe sembrarvi di essere piccoli e impotenti. Ma, quando vi assale la tentazione di sentirvi inadeguati, provate a guardare al sale e ai suoi granelli minuscoli: è un piccolo ingrediente e, una volta messo sopra un piatto, scompare, si scioglie, però è proprio così che dà sapore a tutto il contenuto. Così, noi cristiani, pur essendo fragili e piccoli, anche quando le nostre forze ci paiono poca cosa di fronte alla grandezza dei problemi e alla furia cieca della violenza, possiamo offrire un contributo decisivo per cambiare la storia. Gesù desidera che lo facciamo come il sale: ne basta un pizzico che si scioglie per dare un sapore diverso all’insieme. Allora non possiamo tirarci indietro, perché senza quel poco, senza il nostro poco, tutto perde gusto. Iniziamo proprio dal poco, dall’essenziale, da ciò che non compare sui libri di storia ma cambia la storia: nel nome di Gesù, delle sue Beatitudini, deponiamo le armi dell’odio e della vendetta per imbracciare la preghiera e la carità; superiamo quelle antipatie e avversioni che, nel tempo, sono diventate croniche e rischiano di contrapporre le tribù e le etnie; impariamo a mettere sulle ferite il sale del perdono, che brucia ma guarisce. E, anche se il cuore sanguina per i torti ricevuti, rinunciamo una volta per tutte a rispondere al male con il male, e staremo bene dentro; accogliamoci e amiamoci con sincerità e generosità, come fa Dio con noi. Custodiamo il bene che siamo, non lasciamoci corrompere dal male!

Passiamo alla seconda immagine usata da Gesù, la luce: Voi siete la luce del mondo. Una famosa profezia diceva di Israele: «Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (Is 49, 6). Ora la profezia si è compiuta, perché Dio Padre ha inviato il suo Figlio, ed è Lui la luce del mondo (cfr. Gv 8, 12), la luce vera che illumina ogni uomo e ogni popolo, la luce che splende nelle tenebre e dissipa le nubi di qualsiasi oscurità (cfr. Gv 1, 5.9). Ma lo stesso Gesù, luce del mondo, dice ai suoi discepoli che anche loro sono luce del mondo. Ciò vuol dire che noi, accogliendo la luce di Cristo, la luce che è Cristo, diventiamo luminosi, irradiamo la luce di Dio!

Gesù aggiunge: «Non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5, 15). Si tratta anche in questo caso di immagini familiari a quei tempi: diversi villaggi in Galilea erano sulle colline, ben visibili da lontano; e le lampade, nelle case, erano poste in alto perché facessero luce in tutti gli angoli della stanza; poi, quando dovevano essere spente, si coprivano con un oggetto di terracotta chiamato “moggio”, che faceva mancare l’ossigeno alla fiamma fino a estinguerla.

Fratelli e sorelle, l’invito di Gesù ad essere luce del mondo è chiaro: noi, che siamo suoi discepoli, siamo chiamati a splendere come una città posta in alto, come un lucerniere la cui fiamma non deve essere mai spenta. In altre parole, prima di preoccuparci delle tenebre che ci circondano, prima di sperare che qualcosa attorno si rischiari, siamo tenuti a brillare, a illuminare con la nostra vita e con le nostre opere le città, i villaggi e i luoghi che abitiamo, le persone che frequentiamo, le attività che portiamo avanti. Il Signore ce ne dà la forza, la forza di essere luce in Lui, per tutti; perché tutti devono poter vedere le nostre opere buone e, vedendole — ci ricorda Gesù —, si apriranno con stupore a Dio e gli daranno gloria (cfr. v. 16): se viviamo come figli e fratelli sulla terra la gente scoprirà di avere un Padre nei cieli. A noi è dunque chiesto di ardere d’amore: non accada che la nostra luce si spenga, che dalla nostra vita scompaia l’ossigeno della carità, che le opere del male tolgano aria pura alla nostra testimonianza. Questa terra, bellissima e martoriata, ha bisogno della luce che ciascuno di voi ha, o meglio, della luce che ognuno di voi è!

Carissimi, vi auguro di essere sale che si sparge e si scioglie con generosità per insaporire il Sud Sudan con il gusto fraterno del Vangelo; di essere comunità cristiane luminose che, come città poste in alto, gettino una luce di bene su tutti e mostrino che è bello e possibile vivere la gratuità, avere speranza, costruire tutti insieme un futuro riconciliato. Fratelli e sorelle, sono con voi e vi auguro di sperimentare la gioia del Vangelo, il sapore e la luce che il Signore, «il Dio della pace» (Fil 4, 9), il «Dio di ogni consolazione» (2 Cor 1, 3), vuole effondere su ciascuno di voi.

 

Per l’arcivescovo Mulla

Scoraggiante lentezza del processo di riconciliazione


Gratitudine «per aver preso la coraggiosa decisione di visitare il nostro Paese, che sta soffrendo a causa delle conseguenze della guerra civile: credo che la sua visita sia un segno di solidarietà nei nostri confronti e dimostri il desiderio di riportare la tranquillità». Con queste parole si è rivolto al Papa l’arcivescovo di Juba, monsignor Stephen Ameyu Martin Mulla, a conclusione della messa.

«Santità, Lei è venuto per esortare i nostri leader politici a operare per la pace e per il bene comune del Sudan e del Sud Sudan. Ha già espresso questa preoccupazione con i suoi ripetuti appelli alla riconciliazione tra le parti in guerra. Nell’aprile 2019, ad esempio, ha ospitato i leader sud sudanesi per un ritiro spirituale di due giorni in Vaticano, durante il quale li ha esortati a rafforzare il fragile processo di pace del Paese. Sorprendentemente, si è persino inginocchiato per baciare i loro piedi come simbolo di umiltà e servizio all’umanità. Tuttavia, la lentezza del processo di pace è scoraggiante».

«Condividiamo la sua paterna preoccupazione per il ristabilimento della pace nel nostro Paese» ha proseguito l’arcivescovo. «La guerra ha portato distruzione indiscriminata di vite umane e di beni come case e bestiame. Abbiamo subito saccheggi, stupri, deterioramento economico, lo sfollamento di molte persone e un flusso di rifugiati nei Paesi vicini. Di fronte a questi impatti negativi della guerra civile sul nostro popolo innocente», si vede che «la guerra distrugge mentre la pace costruisce». 

Nonostante tutto, ha proseguito, «la Chiesa in Sudan e Sud Sudan è cresciuta», «ha prodotto due santi: Daniele Comboni e Giuseppina Bakhita e ha testimoniato la fede attraverso il martirio. Tra i martiri della prima guerra, conosciuta come “Anyanya One” (durata dal 1956 al 1972), ci sono William Deng, padre Saturlino Ohure e padre Leopoldo Anyuar. Durante l’attuale guerra civile, suor Veronika Teresa Rackova, una religiosa medico slovacca, uccisa il 16 maggio 2016 mentre prestava servizio nella diocesi di Yei. Suor Mary Abbud e suor Regina Roba sono state uccise il 16 agosto 2021».

«Il nostro Paese — ha detto ancora a Francesco — sta veramente soffrendo a causa della guerra civile. Siamo alla ricerca di pace e riconciliazione. Tuttavia, la pace di cui il nostro Paese ha tanto bisogno non è puramente umana, basata su interessi personali, ma piuttosto la pace di Gesù. Una pace che deve essere guidata dalla verità e dall’amore. Possa questo grande evento della sua visita portare benedizioni e pace duratura al nostro Paese».