L’auspicio del Pontefice per il Paese “dono del Nilo”

Scorrano fiumi di pace
sbocci la riconciliazione

 Scorrano fiumi di pace sbocci la riconciliazione  QUO-029
04 febbraio 2023

La seconda tappa del viaggio apostolico in Africa inizia con un’immagine che rimarrà a lungo: l’arrivo di Papa Francesco all’aeroporto di Giuba, sotto un sole implacabile, insieme all’arcivescovo di Canterbury e al moderatore della Chiesa di Scozia, per un pellegrinaggio ecumenico di pace in Sud Sudan, volto a sbloccare la situazione di stallo del Paese.

Il motto della visita è emblematico: «Prego perché tutti siano una cosa sola» (Giovanni 17). È un viaggio di pace, ma anche un viaggio ecumenico. Per andare verso la pace e la concordia è necessario fare un passo avanti e camminare insieme, e dall’aeroporto della capitale prende forma una pagina importante; la narrazione condivisa tra cristiani, alle prese con le stesse domande, le stesse paure e preoccupazioni per i problemi che affliggono il mondo di oggi.

Dopo aver trascorso tre giorni nella Repubblica Democratica del Congo, Francesco è arrivato in Sud Sudan. Ai piedi dell’aereo è stato accolto dal presidente della Repubblica, Salva Kiir Mayardit, e da tre bambini che che gli hanno offerto un mazzo di fiori di tamarindo e una colomba. 

Dopo la Guardia d’onore e l’esecuzione degli inni, il Papa e il capo dello Stato si sono diretti verso la “Vip Lounge” dell’aeroporto, dove ha avuto luogo la presentazione delle delegazioni e dove si sono trattenuti per un breve incontro.

Fuori la gente sorride, saluta; si respira un’aria molto tranquilla e rilassata in questa parte del Sud Sudan che oggi si sente lontana dal clima di guerra civile con cui ha convissuto per molti anni.

Giuba è una città in festa, con migliaia di persone lungo l’itinerario di cinque chilometri che separa lo scalo aereo dal palazzo presidenziale, dov’è diretto il Papa: sono venuti anche da lontano per dargli il benvenuto. Piccoli rami di alberi hanno sostituito gli striscioni e le bandiere di altre visite papali per salutare il corteo di automobili; e particolarmente festosi sono stati i canti delle donne che hanno accompagnato l’intero percorso, lungo quella che era fino a poco tempo fa l’unica strada asfaltata della capitale. Sopra le teste dei tanti bambini svettavano numerosi cartelloni con grandi foto che ritraevano l’incontro del 2019 in Vaticano: quello tra il Papa e le principali autorità politiche di questo giovane Paese.

Una volta a Giuba il vescovo di Roma ha compiuto la visita di cortesia al capo dello Stato, insieme con l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e il moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, il pastore Iain Greenshields. All’ingresso della residenza i tre leader religiosi sono stati accolti dal presidente Salva Kiir Mayardit, che il Papa ha poi incontrato in privato nel suo studio, dopo aver firmato il libro d’onore. «Qui pellegrino, prego perché in questo caro Paese, dono del Nilo, scorrano fiumi di pace; gli abitanti del Sud Sudan, terra della grande abbondanza, vedano sbocciare la riconciliazione e germogliare la prosperità», ha scritto Francesco.

Il momento è stato suggellato dalla presentazione della famiglia del capo dello Stato e dallo scambio di doni: il Pontefice ha lasciato una formella della medaglia commemorativa del viaggio. Contemporaneamente, nell’adiacente “Board Room” erano riuniti i vice presidenti della Repubblica — Riek Machar Teny Dhurgo, James Wani Igga, Taban Deng Gai, Rebecca Nyandeng Garang De Mabior (vedova di John Garang, leader dell’Esercito di Liberazione del Popolo del Sudan ed ex vice presidente) e Hussein Abdelbagi — insieme ai cardinali Parolin, segretario di Stato, e Koch, prefetto del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, agli arcivescovi Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato, Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, e van Megen, nunzio apostolico in Sud Sudan; all’arcivescovo di Canterbury e al moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia. Ad essi si sono poi uniti Papa Bergoglio e il presidente sud sudanese per un incontro, durante il quale il primo ha donato ai cinque vicepresidenti altrettante medaglie d’argento del viaggio.

Infine, con 40 minuti di ritardo rispetto alla tabella di marcia indicata dal protocollo, la delegazione ha raggiunto il giardino della residenza per il primo appuntamento pubblico nel Paese: quello con le autorità, la società civile e il corpo diplomatico, scandito dai discorsi del capo dello Stato, dell’arcivescovo Welby, del pastore Greenshields e dello stesso Francesco.

Nell’elegante giardino, allestito per l’occasione con sobrietà e curato nei minimi particolari, si sono ritrovati rappresentanti degli organismi internazionali operanti nella regione, i diplomatici accreditati a Giuba, insieme a diverse organizzazioni non governative e a una massiccia presenza della stampa internazionale oltre ai 70 giornalisti del seguito papale.

Il Sud Sudan è diventato indipendente solo di recente, nel 2011. La guerra civile del 2013 ha portato a un ingente esodo della popolazione e a una crisi umanitaria definita “catastrofica” da molti organismi di assistenza internazionale. Le ferite del Paese sono ancora aperte e c’è molta attesa per i frutti che la visita del Papa e il suo messaggio di pace e speranza porteranno.

Francesco ha iniziato il suo discorso intorno alle 18 e ha parlato in modo franco, diretto, immediato, interrogandosi su un camino di pace che ancora stenta a decollare, nonostante gli accordi e la promessa di libere elezioni che si sarebbero dovute tenere proprio in questo mese di febbraio e che invece sono state nuovamente rinviate. Quindi ha tracciato la strada per ripartire sul lungo e faticoso cammino della pace: «Abbiamo intrapreso questo pellegrinaggio ecumenico di pace dopo aver ascoltato il grido di un intero popolo che, con grande dignità, piange per la violenza che soffre», ha detto.

Molto applaudito è stato il passaggio in cui ha indicato l’unica parola mancante nella travagliata storia sud sudanese, un termine che indica una volontà concreta di cambiamento: basta! Per il Pontefice occorre dire basta «senza “se” e senza “ma”: basta sangue versato, basta conflitti, basta violenze e accuse reciproche su chi le commette, basta lasciare il popolo assetato di pace. Basta distruzione, è l’ora della costruzione!».

Il presidente sud sudanese da parte sua ha voluto subito mettere sul tavolo la carta più attesa, la più desiderata: «In onore della storica visita — ha assicurato — ci sarà la ripresa dei colloqui di pace», un primo risultato che è un seme su cui costruire.

Inoltre Radio Tamazuy — emittente indipendente il cui nome in arabo significa “mescolanza” essendo costituita da giornalisti di diverse etnie — ha reso noto che il capo dello Stato ha graziato 71 detenuti che stavano scontando condanne diverse. Con un decreto che è stato letto sulla South Sudan Broadcasting Corporation (Ssbc) di proprietà statale — riferisce la radio — Kiir ha concesso la grazia a 36 reclusi nel braccio della morte e a 35 condannati per reati minori, ordinando alle autorità carcerarie di eseguire l’ordine. Il capo dello Stato non ha fornito motivazioni per il gesto, ma nel dicembre scorso, la nunziatura apostolica in Sud Sudan gli aveva consegnato una lettera del Papa, rivolta a tutti i leader del mondo, in cui egli invocava clemenza per i detenuti.

Al termine, il Papa si è diretto alla sede della nunziatura apostolica distante circa due chilometri dal Palazzo presidenziale: nell’edificio collocato temporaneamente in uno stabile nella zona delle ambasciate il Pontefice pernotta durante il soggiorno in Sud Sudan. 

dalla nostra inviata
Silvina Pérez