Il Papa nella Repubblica Democratica del Congo

Uniti attorno al Papa
i vescovi di Paesi divisi
da lotte e violenze

 Uniti attorno al Papa  i vescovi  di Paesi divisi da lotte e violenze  QUO-027
02 febbraio 2023

«Insieme oggi crediamo che con Gesù c’è sempre la possibilità di essere perdonati e ricominciare, e pure la forza di perdonare se stessi, gli altri e la storia!». Cristo «desidera ungerci con il suo perdono» per «darci la pace e il coraggio di perdonare a nostra volta, il coraggio di compiere una grande amnistia del cuore». Quando Papa Francesco ha pronunciato queste parole nell’omelia della messa all’aeroporto di N’dolo a Kinshasa, attorno a lui, a celebrare l’Eucaristia, c’erano tra gli altri i vescovi di Paesi i cui governanti si combattono tra loro attraverso milizie e gruppi di ribelli, Paesi che sono stati, e sono, teatro di indicibili violenze e guerre, alimentate non soltanto da forze esterne ma anche dall’interno. Insieme ai confratelli della Repubblica Democratica del Congo, sull’altare e poi a un pranzo insieme, c’erano i vescovi del Rwanda, del Burundi e del Congo Brazzaville.

Prima di ripartire per i rispettivi Paesi, alcuni di loro, riuniti attorno a un tavolo di un hotel, hanno raccontato questa esperienza ai media vaticani, spiegando come la loro presenza qui e la comunione episcopale possono aiutare i processi di pace.

«Stiamo vivendo un momento speciale, un kairos, non dobbiamo farci dividere dalla politica ma vedere che cosa possiamo fare insieme» ci dice il cardinale Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa. «Il messaggio del Papa è stato molto forte. Mentre i politici seminano odio tra i popoli, fanno leva sulla xenofobia, e alimentano la diffidenza tra la gente; i vescovi e la Chiesa sono chiamati ad una altra strada, non devono entrare in questa logica». Ambongo ringrazia i confratelli del Rwanda «per essere venuti qui a Kinshasa. È servito coraggio a farlo. Il coraggio di portare avanti una missione comune».

Gli fa eco il cardinale ruandese Antoine Kambanda, arcivescovo di Kigali, che ricorda il desiderio di Francesco che avrebbe voluto recarsi anche a Goma, alla frontiera con il Rwanda, ma non è stato possibile a causa delle violenze e degli scontri tuttora in corso. «Cosi — dice — siamo venuti qui noi vescovi. Sei su otto. Il messaggio di pace che il Papa è venuto a portarci ci riguarda tutti. Ci tocca tutti. Mi ha toccato personalmente». Il porporato ricorda con commozione il genocidio avvenuto nel suo Paese nel 1994, quando in cento giorni almeno 800mila persone furono uccise a causa di un conflitto etnico-politico. «Non è stato un genocidio causato da altri, dal di fuori. È stato fatto da ruandesi. Da popolazioni che convivono sulle stesse colline. Ogni collina ha avuto la sua tragedia. E noi oggi possiamo domandarci: come si fa a convivere dopo essere passati attraverso un genocidio?». La risposta di Kambanda riecheggia quella appena pronunciata dal Papa: «Il perdono è la strada per la convivenza. Per convivere bisogna perdonarsi. Il perdono è la chiave. Il perdono è una grazia di Dio e riguarda tutti: le persone, i singoli colpevoli. Ma anche le famiglie». La strada del perdono, aggiunge il cardinale ruandese, «è la compassione, il rendersi conto che anche l’altro soffre e che la mia sofferenza è collegata alla sua. Questa è la pedagogia della croce». L’esperienza vissuta del suo Paese «la condividiamo con i nostri confratelli nell’episcopato. Il perdono permette anche una pacificazione della memoria».

«La riconciliazione è la chiave per vivere insieme» afferma l’arcivescovo di Gitega, Bonaventure Nahimana, presidente della conferenza episcopale del Burundi, «è la chiave per risolvere i conflitti religiosi, etnici e politici». È proprio su questo che si è concentrato il processo sinodale delle Chiese burundesi. «Tutte le diocesi si sono coinvolte. Dobbiamo vivere nel perdono per avere davvero comunità aperte, accoglienti, fraterne. Aperte anche nell’accoglienza dell’altro come un fratello, anche quando è straniero. Noi abbiamo in Burundi molti rifugiati congolesi. Per come vivremo questo saremo credibili».

«Siamo qui con una grande delegazione, non solo di vescovi, ma di popolo» spiega l’arcivescovo di Brazzaville, Bienvenu Manamika, presidente della conferenza episcopale del Congo Brazzaville, «la visita del Papa avrà un grande impatto nella regione». Anche se il suo Paese non è direttamente interessato dai conflitti, «siamo comunque coinvolti. Un detto afferma che se la Repubblica Democratica del Congo tossisce, noi in Congo Brazzaville starnutiamo e ci prendiamo l’influenza». «Abbiamo tutti bisogno della pace — aggiunge —. Il conflitto che è in corso nell’Est della RDC non ci lascia tranquilli. Ricorda traumi di guerra già vissuti. Dobbiamo prendere sul serio le parole di Francesco, un messaggio dal quale può nascere una de-escalation della guerra». Manamika osserva che la sola presenza del Successore di Pietro suscita speranza e riguarda tutti: «Spero che le sue parole siano ascoltate anche dalle multinazionali che stanno dietro all’industria estrattiva. Sono i popoli a soffrire per questa situazione, senza giustizia senza dignità non c’è pace». I conflitti interni, conclude, «dipendono da interessi più grandi. Ma quando gli elefanti si combattono è l’erba che soffre. E l’erba è il popolo. Per questo dobbiamo tutti lavorare e pregare per la pace».

«La pace la dobbiamo costruire tutti. Con il perdono, con la riscoperta della comunità che ci unisce e della missione che abbiamo», sottolinea l’arcivescovo di Kisangani, Marcel Utembi Tapa, presidente della conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo. «Dobbiamo convincerci che il perdono personale e quello istituzionale sono legati. Come battezzati, figli di Dio, fratelli e sorelle, dobbiamo imparare a perdonarci. Il Papa sa bene tutto quello che succede qui, e come quello che accede qui sia una minaccia alla pace, un problema che riguarda tutta la sub regione continentale. Ci ha invitato a sviluppare la consapevolezza della fraternità che ci unisce e che non riguarda solo un Paese ma tutta la regione. Tutti siamo chiamati ad essere missionari di pace. Il suo è stato un appello forte agli Stati, alla società civile, alla Chiesa, ai pastori».

Il coraggio di questi vescovi, uniti tra di loro insieme al Successore di Pietro è un piccolo grande segno di speranza per queste terre martoriate, dove i conflitti etnico-politici coinvolgono cristiani da entrambe le parti. Papa Francesco ha detto nell’omelia all’aeroporto di N’dolo: «Sia il momento propizio per te, che in questo Paese ti dici cristiano ma commetti violenze; a te il Signore dice: deponi le armi, abbraccia la misericordia».

di Andrea Tornielli