Gli incontri di ieri pomeriggio nella nunziatura apostolica a Kinshasa

Storie di dolore
e di redenzione

 Storie di dolore  e di redenzione  QUO-027
02 febbraio 2023

Sotto lo sguardo sofferente di Gesù crocifisso sfilano le vittime di anni di conflitto armato nella Repubblica Democratica del Congo. Da più di vent’anni, la parte orientale del Paese non conosce pace. Sono uomini, donne e bambini, vittime di stupri, di traumi indicibili, che hanno visto le famiglie massacrate sotto i loro occhi. Nel salone centrale della nunziatura apostolica di Kinshasa raccontano le loro storie, il loro dolore, la loro redenzione e il loro impegno per gli altri. Nel pomeriggio di mercoledì 1° febbraio, secondo giorno del suo viaggio in terra africana, Papa Francesco ascolta profondamente commosso il dolore e la disperazione di quanti hanno subito gravi violazioni dei diritti umani in una guerra invisibile che il mondo si rifiuta ostinatamente di vedere.

Negli ultimi mesi, decine di migliaia di persone hanno dovuto abbandonare le loro case e le loro terre per sfuggire a una guerra difficile da comprendere. I ribelli dell’«M23», armati come un esercito regolare, si sono insediati a pochi chilometri dalla città di Goma, dove vive più di un milione di persone, causando morte e distruzione. Coloro che sono davanti al Papa in una cerimonia semplice, essenziale, quasi raccolta ma commovente, provengono da città come Bunia, Butembo e Beni, Goma, Masisi, Rutshuru, Bukavu, Uvira. Luoghi di cui Papa Francesco ha detto nel suo discorso: «i media internazionali non parlano quasi mai: qui e altrove tanti nostri fratelli e sorelle, figli della stessa umanità, sono presi in ostaggio dall'arbitrio dei più forti, da coloro che hanno le armi più potenti, armi che continuano a circolare. Il mio cuore è oggi nella parte orientale di questo immenso Paese, che non avrà pace finché non sarà raggiunta, nella sua parte orientale, la pace».

Dopo un canto e la proiezione di un video dai due schermi allestiti nella sala, al Pontefice vengono presentante le testimonianze di altre vittime che descrivono gli abomini subiti, la scomparsa di familiari e l’uccisione di abitanti nei villaggi. Poi, uno alla volta, alcuni dei presenti raccontano il loro dolore, ciascuno condividendo la propria testimonianza, leggendola da un foglio di carta marrone. Al termine ognuno ha messo sotto la croce uno dei simboli del male subito: il machete con cui è stata tagliata la testa del padre, il coltello con cui gli assassini hanno ucciso il resto della famiglia, la stuoia come segno della brutale violenza che tante donne subiscono ogni giorno.

Particolarmente toccante è la storia di Emelda M’karhungulu, di Bukavu: «I ribelli hanno fatto irruzione nel nostro villaggio nel 2005. Hanno preso in ostaggio quante più persone possibile, hanno deportato tutti quelli che hanno trovato e li hanno costretti a trasportare i beni saccheggiati. Durante il tragitto, hanno ucciso molti uomini. Avevo 16 anni», racconta, «e ho subito abusi per tre mesi. Ogni giorno, da cinque a dieci uomini abusavano di ciascuna di noi. Ci hanno fatto mangiare pasta di mais e la carne degli uomini uccisi. A volte mischiavano le teste delle persone con la carne di animali. Chi si rifiutava veniva fatto a pezzi e gli altri erano costretti a mangiarlo». La testimonianza di Bijoux Mukumbi Kamala descrive orrori simili, stupri perpetrati con crudeltà animale più volte al giorno per diverse ore, per un anno e sette mesi. «Ecco la stuoia, simbolo della mia miseria di donna violentata. Che la croce di Cristo perdoni me e i miei stupratori e li porti a rinunciare a infliggere sofferenza alle persone. Questa è anche la stessa lancia con cui sono stati trafitti i petti di molti nostri fratelli. Che Dio ci perdoni tutti e ci insegni a rispettare la vita umana».

Il Papa è stato profondamente toccato dall’orrore emerso da queste storie. Eppure questi uomini e queste donne si impegnano solennemente per la riconciliazione, dimostrando forza nella fede e mostrando la dinamica vitale che l’amore generato dalla croce è stato in grado di mettere in moto.

Francesco ha ringraziato per «il coraggio di queste testimonianze», dopo aver consolato con abbracci e carezze chi aveva sperimentato sulla propria pelle «violenze disumane».

Al termine del discorso del Pontefice, le vittime presenti hanno letto un impegno reciproco a perdonare. L’incontro si è poi concluso con la recita del Padre Nostro, al termine della quale il Papa ha impartito la benedizione apostolica.

Dopodiché il vescovo di Roma ha ricevuto, sempre nella sede della rappresentanza pontificia, un gruppo di rappresentanti di alcune opere caritative e assistenziali attive nel Paese: Telema Ongenge, Ospedale «de la Rive» per malati di lebbra, Associazione Fasta, Centro Dream e altre realtà facenti parte di una rete capillare del mondo cattolico. Essa si fa carico di situazioni di grave disagio sociale che condannano le persone alla solitudine e a ingrossare le fila di quello che Papa Francesco chiama il mondo degli “scartati”.

Anche in questa circostanza le testimonianze degli assistiti — disabili, malati, senza fissa dimora — e dei volontari che se ne prendono cura hanno caratterizzato l’incontro, terminato col discorso del Papa, la recita del Padre Nostro e la benedizione.

dalla nostra inviata
Silvina Pérez