Le testimonianze
Il significativo gesto compiuto da chi ha subito atrocità e crudeltà

Le armi deposte
ai piedi della Croce

 Le armi deposte ai piedi della Croce  QUO-027
02 febbraio 2023

Questa la traduzione italiana del testo integrale delle testimonianze pronunciate durante l’incontro del Papa con le vittime delle violenze nell’est della Repubblica Democratica del Congo, che ha avuto luogo nella rappresentanza pontificia di Kinshasa.

Dalla diocesi di Butembo-Beni


Beatissimo Padre,

Mi chiamo Ladislas Kambale Kombi. Sono nato a Eringeti il 15 luglio 2006. Sono un agricoltore di professione. Sono il secondo della mia famiglia. Mio fratello maggiore è stato ucciso in circostanze che ancora oggi non conosciamo. Mio padre è stato ucciso in mia presenza, a Ingwe, verso Kikungu, nel territorio di Beni, da uomini in pantaloni da addestramento e camicie militari. Dal mio nascondiglio, ho seguito il modo in cui lo hanno fatto a pezzi, poi la sua testa mozzata è stata messa in un cesto. Infine, se ne andarono con la mamma. L’hanno rapita. Siamo rimasti orfani, io e le mie due sorelline. La mamma non è più tornata fino a oggi. Non sappiamo cosa ne abbiano fatto.

Santo Padre, è orribile vedere una scena del genere. Non mi lascia mai. Di notte non riesco a dormire. È difficile comprendere una tale malvagità, questa brutalità quasi animale.

Beatissimo Padre, La ringraziamo per essere venuto a consolarci. In seguito all’accompagnamento spirituale e psicosociale della nostra Chiesa locale, io e gli altri bambini che sono qui abbiamo perdonato i nostri aguzzini.

Ecco perché depongo davanti alla Croce di Cristo vincitore il machete uguale a quello che ha ucciso mio padre.

Anch’io — Léonie Matumaini della scuola elementare di Mbau — metto davanti alla Croce di Cristo vincitore il coltello identico a quello che ha ucciso tutti i membri della mia famiglia in mia presenza e che mi è stato dato dai carnefici, chiedendomi di consegnarlo ai soldati delle Forze armate della Repubblica Democratica del Congo.

Anch’io — Fiston Kambale Kakombi, 13 anni, della scuola primaria di Chamboko — perdono i carnefici che mi hanno rapito per 9 mesi. Chiedo a Cristo vincitore sulla croce di toccare il cuore degli aguzzini affinché liberino gli altri bambini che sono ancora nella boscaglia.

Santo Padre, Le chiedo di pregare affinché questi bambini si uniscano a noi a scuola e nella comunità. La ringraziamo.

Dalla diocesi di Goma


Vostra Santità,

Mi chiamo Legge Kissa Catarina e leggo la testimonianza di Bijoux Mukumbi Kamala, che sta accanto a me ma non sa leggere bene il francese.

«Vengo da Walikale. Ho 17 anni. Ho iniziato il calvario della sofferenza nel 2020. Un giorno stavamo andando a prendere l’acqua al fiume. Era a Musenge, in uno dei villaggi del territorio di Walikale. Era il 2020. Durante il tragitto abbiamo incontrato alcuni ribelli. Ci hanno portato nella foresta. Ognuno dei ribelli scelse chi voleva. Il comandante mi voleva. Mi ha violentato come un animale. È stata una sofferenza atroce. Sono rimasta praticamente come la sua donna. Mi violentava più volte al giorno, quando voleva, per diverse ore. E questo è andato avanti per 19 mesi, 1 anno e 7 mesi. Era inutile urlare, perché nessuno poteva sentirmi o venire in mio soccorso. Ho avuto la fortuna di fuggire con una mia amica dopo 19 mesi di sofferenza. Da questa esperienza sono tornata incinta. Ho avuto due bambine gemelle, che non conosceranno mai il loro padre. Le altre amiche che erano state rapite con me quel giorno non sono più tornate. Non so se sono morte o se sono ancora vive.

«Santità, con la presenza di decine di gruppi armati, le uccisioni si sono intensificate ovunque, le famiglie sono state sfollate più volte, i bambini sono rimasti senza genitori, sono stati sfruttati nelle miniere o piuttosto negli eserciti ribelli; le ragazze e le donne hanno iniziato il calvario di violenze sessuali di ogni tipo e torture senza nome. Altre popolazioni sono state sfollate e non hanno più trovato una patria, vagando qua e là.

«Santità, in tutto questo la Chiesa rimane l’unico rifugio che cura le nostre ferite e consola i nostri cuori attraverso i suoi molteplici servizi di sostegno e conforto: le parrocchie e i servizi della Caritas diocesana rimangono i nostri luoghi di ricorso e di aiuto.

«La sua presenza, Santità, ci rassicura sul fatto che tutta la Chiesa si prende cura di noi. Grazie mille per essere venuti. Ecco la stuoia, simbolo della mia miseria di donna violentata. La metto sotto la croce di Cristo, affinché Cristo mi perdoni per le condanne che ho fatto nel mio cuore contro questi uomini. Che la croce di Cristo perdoni me e i miei stupratori e li porti a rinunciare a infliggere sofferenze inutili alle persone. Questa è anche la lancia uguale a quelle con cui sono stati trafitti i petti di molti nostri fratelli. Che Dio ci perdoni tutti e ci insegni il rispetto per la vita umana».

Dalla diocesi di Bunia


Santo Padre,

Mi chiamo don Guy-Robert Mandro Deholo e sono stato mutilato nelle dita di una mano. Presento la testimonianza che aveva preparato Désiré Dhetsina, prima di scomparire alcuni mesi fa, senza lasciare notizie.

«Sono un sopravvissuto a un attacco al campo di sfollati di Bule, nel villaggio di Bahema Badjere, nel territorio di Djugu, nella provincia di Ituri. Questo campo è conosciuto come “Plaine Savo”. L’attacco è avvenuto nella notte del 1° febbraio 2022 da parte di un gruppo armato, che ha ucciso 63 persone, tra cui 24 donne e 17 bambini. Ho visto la ferocia: persone tagliate come carne di macelleria, donne sventrate, uomini decapitati.

«Viviamo in campi per sfollati senza speranza di tornare a casa, perché le uccisioni, le distruzioni, i saccheggi, gli stupri, lo spostamento delle popolazioni, i rapimenti, le molestie, insomma, si direbbe l’esecuzione di un piano di sterminio, di annientamento fisico, morale e spirituale, continuano ogni giorno.

«Padre Santo, abbiamo bisogno di pace e nient’altro che pace, questo dono gratuito di Gesù Cristo risorto. Vogliamo tornare nei nostri villaggi, coltivare i nostri campi, ricostruire le nostre case, educare i nostri figli, vivere insieme ai nostri vicini di sempre, lontano dal rumore delle armi! Vogliamo che il male perpetrato in Ituri si fermi, che sia punito e riparato! Vogliamo vivere con dignità come figli e figlie di Dio. Per questo mettiamo questi machete e martelli sotto la croce di Cristo, affinché ci perdoni per il sangue versato ingiustamente. Che Cristo ci dia momenti di pace e tranquillità in cui tutti abbiano buoni sentimenti l’uno per l’altro.

«Grazie mille per essere venuto a confortarci, Santo Padre. Grazie soprattutto per aver pregato per noi».

Dall’arcidiocesi di Bukavu e dalla diocesi di Uvira


Santo Padre,

Sono Aimée e parlo a nome di Emelda M’karhungulu di Bugobe, Groupement Cirunga, parrocchia di Kabare, nell’arcidiocesi di Bukavu, a sud-ovest di quella grande città. Emelda mi sta accanto ma non parla francese. Leggo la traduzione francese della sua testimonianza in swahili.

«I ribelli avevano fatto un’incursione nel nostro villaggio di Bugobe; era un venerdì sera del 2005. Hanno fatto irruzione nel villaggio, prendendo in ostaggio tutti quelli che potevano, deportando tutti quelli che trovavano, facendo loro portare le cose che erano state saccheggiate. Durante il tragitto, hanno ucciso molti uomini con proiettili o coltelli. Le donne invece le hanno portate al parco di Kahuzi-Biega. All’epoca avevo 16 anni. Sono stata tenuta come schiava sessuale e abusata per tre mesi. Ogni giorno, da cinque a dieci uomini abusavano di ciascuna di noi. Ci hanno fatto mangiare la pasta di mais e la carne degli uomini uccisi. A volte mescolavano le teste delle persone con la carne degli animali. Questo era il nostro cibo quotidiano. Chi si rifiutava di mangiarlo veniva fatto a pezzi e gli altri erano costretti a mangiarlo. Vivevamo nudi perché non scappassimo. Ero una di quelle che obbedivano, fino al giorno in cui, per grazia, riuscii a fuggire quando ci mandarono a prendere l’acqua dal fiume.

«Quando sono tornata a casa, i miei genitori mi hanno portata all’ospedale di Panzi, passando per il centro Olame, dove ho ricevuto un trattamento adeguato. Attraverso l’animazione della Chiesa ho dovuto assumere e accettare la mia situazione. Inoltre, le persone che mi guardavano con scherno sono cambiate. Oggi vivo bene come una donna realizzata che accetta il suo passato.

«La nostra Provincia è un luogo di sofferenza e di lacrime. Cosa posso dire, Santo Padre, delle vittime del disastro di Mulongwe che hanno perso tutto a causa dell’erosione selvaggia? Hanno perso la casa e tutti gli oggetti in essa contenuti. Molti sono morti. Il disastro delle inondazioni nei fiumi di Mulongwe e Kavimvira, nella diocesi di Uvira, dal 17 al 20 aprile 2020, ha fatto sì che 60 persone siano rimaste sepolte sotto il fango delle inondazioni, 45 persone ferite, 3500 case distrutte, 7700 famiglie senza tetto. I sopravvissuti abitano in campi disastrati dove condividono la tenda con 3 o 4 famiglie, cioè diverse decine di persone, nella stessa tenda. È molto affollato. È davvero la sede dell’immoralità. La prostituzione è in pieno sviluppo in questi ambienti di vita. Non hanno nemmeno le condizioni umane minime.

«A causa delle guerre interetniche negli altopiani, dal 2019, in quelli dei territori di Fizi, Mwenga/Itombwe e Uvira, più di 346.000 persone sono state sfollate, di cui 100.000 nel territorio di Uvira e 246.000 nel territorio di Fizi. Molti hanno abbandonato tutto. L’intero altopiano è stato abbandonato agli uomini armati. Molti sono morti, altri sono fuggiti, non sapendo nemmeno dove trovare i propri cari.

«Santo Padre, è con immensa gioia che noi, vittime di atrocità e di altri disastri, prendiamo la parola per presentarle la nostra sincera gratitudine e il nostro ringraziamento per aver compiuto il viaggio verso di noi nonostante le sue numerose incombenze. Ci sta lasciando un’eredità, un dono d’amore attraverso questo avvicinamento, attraverso la sua vicinanza.

«Mettiamo sotto la croce di Cristo questi abiti di uomini in armi che ancora ci fanno paura, per averci inflitto innumerevoli atti di violenza atroci e indicibili, che continuano ancora oggi. Vogliamo un futuro diverso. Vogliamo lasciarci alle spalle questo passato oscuro e poter costruire un bel futuro. Chiediamo giustizia e pace.

«Perdoniamo i nostri carnefici per tutto quello che hanno fatto e chiediamo al Signore la grazia di una convivenza pacifica, umana e fraterna. Grazie Santo Padre per essere venuto».


L’impegno a perdonare


Signore nostro Dio, dal quale abbiamo il nostro essere e la nostra vita,

Oggi deponiamo gli strumenti della nostra sofferenza sotto la croce di tuo Figlio.

Ci impegniamo a perdonarci reciprocamente e a fuggire da ogni percorso di guerra e di conflitto per risolvere le nostre differenze.

Ti chiediamo, Padre, con la tua grazia, di fare del nostro Paese, la Repubblica Democratica del Congo, un luogo di pace e di gioia, di amore e di pace, dove tutti si amano e vivono insieme in fratellanza.

Che il tuo Spirito ci accompagni sempre e che il Santo Padre qui presente preghi per noi.