La calorosa accoglienza nella capitale

Kinshasa abbraccia
il vescovo di Roma

 Kinshasa abbraccia il vescovo di Roma  QUO-026
01 febbraio 2023

Nel suo primo discorso in uno dei Paesi più ricchi di risorse naturali, ma allo stesso tempo tra i dieci più poveri del mondo, martedì 31 gennaio Papa Francesco ha denunciato a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, «la spoliazione e lo sfruttamento» messi in atto da aziende e interessi internazionali: «l’Africa — ha detto — non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare».

Queste parole nette — pronunciate nel palazzo presidenziale, di fronte al presidente Félix Tshisekedi, alle massime autorità politiche, ai leader sociali del Paese e al corpo diplomatico — sembrano riferirsi in primo luogo alle potenze mondiali e alle grandi multinazionali globali che si dedicano alla razzia spietata delle materie prime del continente africano.

Malgrado sia stata principalmente l’avidità di interessi esterni a portare a una massiccia espropriazione delle ricchezze e a immani tragedie, come una guerra che ha provocato cinque milioni di morti e il prolungarsi di un conflitto armato senza fine, anche un piccolo gruppo di congolesi al potere ha approfittato di queste situazioni.

In tale contesto il Papa, sotto un cielo buio che minacciava pioggia, caldo e molto umido, ha invitato la nazione, indipendente dal 1960, a lasciarsi definitivamente alle spalle la violenza e i rancori di quasi tre decenni di guerra.

Di fronte a una platea di circa un migliaio di persone presenti nel giardino del Palais de la Nation, edificio di alto valore simbolico, Francesco ha ricordato che «il diamante, dono della terra, richiama alla custodia del creato», ossia l’ambiente, «e il Congo ospita uno dei più grandi polmoni verdi del mondo, che va preservato»: soprattutto, ha detto il Papa, «senza imporre modelli esterni più utili a chi aiuta che a chi viene aiutato».

Eppure il continente africano per il Pontefice non è solo un’area lacerata da conflitti, con un sottosuolo ricco di materie prime ambite dalle vecchie e nuove potenze coloniali. Per Francesco, l’Africa è «la terra del sorriso e la speranza del mondo», e i diamanti più preziosi di questo Paese sono le persone. Particolarmente apprezzate in questo passaggio, le sue parole rappresentano una bussola in un momento cruciale per i destini dei congolesi.

Il palco da cui hanno parlato il Papa e il capo dello Stato è stato allestito in un luogo simbolico della memoria nazionale, perché è qui che Patrice Lumumba pronunciò il discorso di denuncia del governo coloniale belga il 30 giugno 1960, giorno in cui il Parlamento del Belgio proclamò l'indipendenza del Congo, alla presenza del re Baldovino.

Sullo sfondo, quasi a far da cornice alla visita del Pontefice, il tramonto sul lungo fiume Congo con i suoi colori intensi e un silenzio interrotto solo dal suono dell’acqua delle fontane e dagli applausi — in tutto 13 — dei presenti alle parole pronunciate da Francesco in italiano e tradotte in tempo reale.

La leadership congolese presente nel giardino della residenza presidenziale sa che, dopo anni di sofferenze, la Repubblica Democratica del Congo ha ora la speranza di diventare un attore importante nel cambiamento energetico e tecnologico globale, ma la nuova ricetta per il futuro deve basarsi sulla sfida della lotta alla povertà e la costruzione di una società più inclusiva.

In un clima di cordialità, il presidente Tshisekedi nel discorso di benvenuto ha ringraziato la Chiesa cattolica per il suo impegno decisivo nel campo della salute, dell’educazione e, in particolare, per il suo grande lavoro a favore dei bambini più piccoli e sfortunati e dei poveri, definendo la visita del Papa un importante contributo al benessere del popolo.

I protagonisti della giornata sono stati i congolesi: una marea umana, proveniente soprattutto dalle diverse regioni apostoliche della vasta arcidiocesi di Kinshasa, ha accolto e accompagnato Francesco al suo atterraggio in aeroporto, fino alla sede istituzionale più alta del Paese, dove lo attendevano le autorità locali. Sin dal suo arrivo in terra africana Francesco si è mostrato visibilmente emozionato per l’affetto e l’entusiasmo delle decine di migliaia di persone scese nelle strade poco agibili o nelle vie principali, animando un’accoglienza festosa colorita e gioiosa. Un fiume continuo di gente che ha riempito per chilometri le principali arterie di questo settore della capitale, l’Avenue de la Libération o il Boulevard Lumumba: molti sono scesi in piazza di loro spontanea volontà, ma ciò che è stato visibile al passaggio del corteo del Papa è stata soprattutto la presenza massiccia e organizzata di fedeli di parrocchie, scuole religiose, associazioni di volontariato, sindacati e partiti politici di ispirazione cattolica, con striscioni, scritte e bandiere identificabili dal diverso tipo e colore. Alcuni hanno persino portato gruppi di musicisti a suonare tra la folla, perché qui la musica non è solo una forma d’arte ma è concepita come un mezzo per trasmettere messaggi. Tanti giovani, tante donne e tanti bambini lungo il corteo che, nonostante la pressione della gente, è riuscito a farsi strada senza difficoltà.

La popolazione di Kinshasa è in costante crescita, con un numero sempre maggiore di abitanti che arrivano da altre parti del Paese, e ieri erano presenti molte delle diverse componenti etniche che vivono nella capitale.

Giunto alla residenza presidenziale del Paese, Papa Francesco è stato accolto all’ingresso principale dal presidente Tshisekedi e dalla consorte. Il Pontefice e il capo dello Stato sono poi entrati per un incontro privato, lo scambio di doni e la presentazione della famiglia. Nella circostanza Francesco ha consegnato al presidente una formella della medaglia del viaggio. Al termine il presidente ha accompagnato il Papa nel giardino della residenza, a circa 200 metri dal palazzo. Dopo i discorsi pubblici, il Pontefice si è trasferito in automobile alla nunziatura per il pernottamento, trovando ad accoglierlo all’ingresso un gruppo del Coro giovanile di Kinshasa, che ha eseguito canti popolari. Perché i congolesi non perdono né la speranza né l’allegria, e continuano a sognare un mondo migliore.

dalla nostra inviata
Silvina Pérez