Nel trigesimo della morte di Joseph Ratzinger

Un ritratto
tra pubblico e privato

  Un ritratto  tra pubblico e privato  QUO-025
31 gennaio 2023

Già durante la sua esistenza gli sono state dedicate varie e talora imponenti biografie; nei giorni seguiti all’annuncio della tappa terminale della sua vita da parte di Papa Francesco le pagine dei quotidiani si sono affollate di ritratti, testimonianze, interviste e non sono mancate anche distonie. Difficile è, perciò, aggiungere ora un profilo di Benedetto xvi che riveli un lineamento inedito del suo volto di credente, di teologo, di pastore della Chiesa. Tuttavia, un sentiero ristretto può essere ancora identificato in questa mappa così complessa e ramificata, ed è ciò che tentiamo di fare ora intrecciando alcuni ricordi personali con altri che hanno avuto, invece, una rilevanza più oggettiva ed esterna.

Sulla soglia è significativo evocare una sorta di incontro implicito, quando ai miei esordi negli studi teologici lessi — come molti — quell’Introduzione al cristianesimo in cui alla limpidità del suo dettato (ben diverso dall’esoterismo quasi oracolare di certi attuali testi teologici) si univa anche una sorprendente sensibilità verso la cultura moderna (si citavano Bernanos, Buber, Camus, Hölderlin, Nietzsche, Sartre...). Dal 1985 in avanti avvenne, invece, la conoscenza diretta, con la mia cooptazione a membro della Pontificia Commissione Biblica. Fu così che per un intero decennio ho trascorso ogni anno una settimana col cardinale Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. Nelle riunioni quotidiane della Commissione la sua presenza non era mai protocollare ma sempre originale, stimolante, rispettosa della diversità dei vari membri, alcuni veri e propri luminari in quella disciplina. Nei colloqui privati appariva una vena che pochi immaginavano in lui, considerato un arcigno tutore dell’ortodossia cattolica, ossia l’ironia gradevole.

Nacque, così, una certa spontaneità che mi permise — come membro della giuria del Premio Basilicata — di sollecitare la sua accettazione del riconoscimento riservato alla letteratura spirituale. A Potenza il suo intervento — articolato in una celebrazione liturgica, in una conferenza, nelle interviste e nei dialoghi — fu un’altra tappa del mio ricordo di lui, che pure continuò attraverso le pubblicazioni reciprocamente “dedicate” che ci scambiavamo. Anzi, a Milano nel 2002 ebbi l’occasione di presentare con lui un suo testo sulla liturgia, uno dei capitoli vivaci dell’arco dei suoi interessi teologici che si allargavano anche verso confini apparentemente periferici come il diritto e l’etica naturale.

Giunse, così, una data che ebbe un risvolto più pubblico a livello ecclesiale: dopo avermi incaricato di stendere i testi della Via Crucis al Colosseo nell’aprile 2007, nel settembre dello stesso anno, ormai divenuto Papa Benedetto xvi , mi chiamava accanto a sé («So quanto le costerà lasciare la sua Milano», mi disse), mi conferì l’ordinazione episcopale e mi affidò il dicastero vaticano della cultura, dei beni culturali e dell’archeologia sacra, creandomi poi cardinale nel novembre del 2010. All’interno di questa nuova fase della mia vita è stato possibile ritrovare in prima persona alcuni tratti del suo profilo. Certo, la prima componente fu quella teologico-culturale del suo magistero. Netta era la sua convinzione della necessità di circoscrivere con rigore il terreno solido della fede cristiana in un’epoca secolarizzata, fluida, nebulosa, segnata da quel «relativismo» che sgretolava le categorie morali e veritative di base, a partire dallo stesso concetto di natura umana.

In questo orizzonte un cenno particolare merita la sua trilogia su Gesù di Nazaret, come è noto, scritta significativamente a doppia firma, Joseph Ratzinger - Benedetto xvi che ebbi l’occasione di presentare a più riprese, non solo perché sintetizzava, come lui stesso affermò, «un lungo cammino interiore», ma anche perché ricomponeva in armonia storia e fede, un tema a lui caro. Nel Gesù storico si presenta anche l’epifania divina del Cristo. Da un lato, c’è un uomo, Gesù di Nazaret che ha un viso umano, parla una lingua locale, è collocato in coordinate geografiche e storiche definite; d’altro lato, però, in lui si cela l’epifania divina per eccellenza, è «il Figlio del Dio vivente». Questa unità è stata celebrata per secoli dalla fede cristiana, ma è stata anche ripetutamente contrastata, fino a cancellare l’uno o l’altro di questi due profili, ora l’umano perché incompatibile col mistero glorioso del Figlio di Dio, ora il divino perché inconcepibile in un essere umano.

L’architettura ideale del suo trittico cristologico diventava in filigrana quella dell’interpretazione della stessa Sacra Scrittura. Essa esigeva — come ribadirà nel suo successivo documento post-sinodale Verbum Domini (2010) — il riconoscimento di «due livelli non separati, contrapposti o giustapposti, anche se distinti, che si danno solo in reciprocità», quello storico-critico e quello strettamente teologico. Infatti, esegesi e teologia, storia e trascendenza devono incrociarsi in simbiosi.

L’abbozzo del mio ritratto particolare di Benedetto xvi comprende, a questo punto, altre componenti rilevanti anche per la Chiesa. Di grande impatto fu la nascita del “Cortile dei Gentili” per il dialogo tra credenti e non credenti attorno ai temi capitali dell’essere e dell’esistere. A lanciarlo, sulla base simbolica dell’omonimo “cortile” del tempio di Gerusalemme ove potevano accedere anche le gentes, i pagani, che incrociavano le loro voci e i loro sguardi con quelli degli Ebrei, fu un discorso che il Papa tenne il 21 dicembre 2009 alla Curia romana. Benedetto xvi invitava a dar vita a un dialogo «con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo come Sconosciuto».

Preceduto da un’anteprima all’università di Bologna, la più antica d’Europa, inaugurato nella capitale “laica” per eccellenza come Parigi, con eventi alla Sorbona, all’Accademia di Francia, all’Unesco e con un video-messaggio dello stesso Pontefice ai giovani radunati per uno spettacolo nel piazzale di Notre-Dame, il “Cortile dei Gentili” si è ormai ramificato in tutto il mondo con le tipologie più diverse, col coinvolgimento dei soggetti più inattesi (suggestivo sarà con Papa Francesco l’annuale “Treno dei bambini” provenienti dalle esperienze più difficili e fin drammatiche), negli spazi più vari (dalle piazze alle università, dalle carceri ai parlamenti), coi temi più “pesanti” filosofici e sociali ma anche con i soggetti più sorprendenti come la moda, lo sport o le musiche giovanili. Anche all’incontro interreligioso di Assisi, commemorativo dell’archetipo di san Giovanni Paolo ii , il 27 ottobre 2011 Benedetto xvi volle una delegazione emblematica di non credenti, presieduta dalla nota filosofa Julia Kristeva.

C’è, però, un ulteriore lineamento pubblico del suo pontificato che s’intreccia col mio ricordo personale. Infatti, il 21 novembre 2009, ero riuscito a convocare nell’ambito emozionante della Cappella Sistina col suo fondale michelangiolesco trecento artisti di ogni disciplina, nazionalità, religione o ideologia. Curiosamente i primi due posti erano stati assegnati a grandi figure femminili non cattoliche ora scomparse, l’archistar anglo-irachena Zaha Hadid e l’attrice greca Irene Papas. Il Papa era giunto in mezzo a loro e aveva parlato testimoniando un’altra visione a lui cara, quella che accende nel cielo del pensiero una costellazione di tre astri luminosi, il verum, il bonum, il pulchrum. Filosofia/teologia, etica ed estetica sono i tre trascendentali che guidano l’umanità. La via pulchritudinis — già percorsa nel Medio Evo da quel san Bonaventura che era stato oggetto della sua tesi di laurea, una strada da lui amata attraverso la passione per la musica — «ricorda che la storia dell’umanità è movimento e ascensione, è inesausta tensione verso la pienezza, verso la felicità ultima, verso un orizzonte che sempre eccede il presente mentre lo attraversa».

Queste sue parole segnano il suo dialogo tra fede e arte che ebbe altre manifestazioni. Ad esempio, il 31 ottobre 2012, a cinquecento anni esatti dall’inaugurazione della volta della Sistina alla presenza del suo artefice Michelangelo, Papa Benedetto scelse di ripetere gli stessi atti che Giulio ii aveva compiuto il 31 ottobre 1512. Volle, dunque, che gli fossi accanto durante i primi vespri dei Santi, proprio nella Cappella Sistina, con lo sguardo rivolto a quella straordinaria esegesi pittorica dei primi capitoli della Genesi. D’altronde, già l’anno prima, per i suoi sessant’anni di sacerdozio ero riuscito a convocare per un augurio attraverso le loro opere a lui donate, altrettanti pittori, scultori, architetti, letterati, fotografi e musicisti. Tra questi ultimi desidero menzionare, oltre ad Arvo Pärt che gli dedicò un Vater unser di pura bellezza e che in seguito ricevette il Premio Ratzinger, Ennio Morricone che aveva creato un curioso spartito a croce con un intenso Miserere.

Il filo delle memorie pubbliche e personali potrebbe ovviamente allungarsi fino a quel febbraio 2013 in cui, a dimissioni già dichiarate nel Concistoro a cui avevo partecipato, Benedetto xvi volle che fossi io a predicare gli ultimi esercizi spirituali del suo pontificato. Egli li seguì nel silenzio e nella solitudine più assoluta, mentre fuori le mura del Palazzo Apostolico la comunicazione di massa si agitava elaborando anche le più stravaganti interpretazioni del suo gesto. La dimensione mistica della sua persona gli aveva fatto superare, anche se con sofferenza interiore, anni ardui e controversi per la stessa Chiesa cattolica.

Il mio è stato un bozzetto limitato, ma non può concludersi senza il suggello di un tema caro al teologo e al Papa, ribadito da molti articoli e testimonianze di questi ultimi giorni e importante per il mio impegno culturale vaticano. È quello che egli definiva come «la ragione allargata», un motivo che avrebbe voluto sviluppare nel discorso “impedito” alla Sapienza di Roma, ma che ha retto vari suoi interventi. La conoscenza umana è «simbolica», ossia unisce diversi livelli e percorsi, da quello scientifico all’estetico, dal filosofico al teologico, dallo sperimentale al mistico. Proprio per questo si deve impedire che la verità sull’essere e sull’uomo sia considerata appannaggio esclusivo di un solo modello di conoscenza, com’è la pura razionalità scientifica alla quale sfuggono dimensioni che altri canali gnoseologici riescono a perlustrare.

In questa linea, all’inaugurazione della “Biblioteca Ratzinger” in Vaticano, ebbi occasione di far risuonare la sua voce riprendendo il suo discorso tenuto al Collège des Bernardins di Parigi il 12 settembre 2008. Sono parole che potrebbero essere un suggello a questo ricordo minimo e particolare, personale e pubblico al tempo stesso. «Escatologia e grammatica sono interiormente connesse l’una con l’altra. Il desiderio di Dio include l’amore per le lettere, l’amore per la parola... Diventano importanti le scienze profane che ci indicano le vie verso la lingua. Poiché la ricerca di Dio esige la cultura della parola, fa parte del monastero anche la biblioteca che indica le vie verso la parola».

di Gianfranco Ravasi