Gli occhi chiari di Emanuel

 Gli occhi chiari di Emanuel  ODS-007
04 febbraio 2023

La prima cosa che resta, dopo una giornata “alle docce”, è la puzza della strada che è uguale per tutti. Una pelle trascurata, i capelli sporchi, i vestiti lerci hanno lo stesso odore e questo si può dire che è una cosa democratica, non lo è lo starci sulla strada.

Ho capito che domina la malattia mentale, che essere bambini trascurati incide sull’uomo o la donna che sarai, che se non conosci l’amore che guarisce sarai “graffiato” per sempre.

Non riesco a scordare gli occhi chiari di Emanuel. Ha poco più di vent’anni, i riccioli che incorniciano il viso magro, un viso pulito che stride con la persona che lo accompagna. Un uomo grande, mostra più anni di quelli che ha, dice di essere calabrese, ha lo sguardo furbo e mi preoccupa la vicinanza con Emanuel.

Lui è un fiume in piena. Vuole parlare e in questa sua disponibilità ad offrirsi ad una sconosciuta intravedo la sua necessità di appigliarsi a qualcosa che lo possa salvare. Dice di dormire in un dormitorio, che cerca un lavoro, che in tanti gli danno appuntamento, ma che non li rispettano e che in molti si bloccano quando racconta di avere precedenti penali.

Ad agosto è uscito dal carcere di Rieti, dove ha scontato l’ultima condanna. A 18 anni era a Rebibbia. Spaccio. «Guadagnavo 30-40 mila euro al mese». Racconta che a casa non c’era da mangiare, che la madre è una “zingara napoletana” — parole sue —, che è tossica e che ora è in comunità. Sul braccio ha tatuato il suo anno di nascita che, caso vuole, coincide con il mio. Una similitudine che sento non appartenermi. Io mi sarei aggrappata alla vita che dona un figlio.

Mi ripeto che non posso giudicare, che non so che cosa è accaduto, ma so che la vita è ingiusta con Emanuel.

«Vivevo al Tufello. Mio padre entra ed esce», non c’è bisogno di capire da dove. «Ho bussato alla porta di mia sorella, a lei con i soldi che ho guadagnato ho comprato una casa. Non mi ha voluto vedere». Lo guardo e l’unica cosa che mi viene da dire è: «Tu hai sulle spalle tre vite, non una, non hai vent’anni ne hai 30 di più». Mi chiedo quanto sia giusto che un ragazzo viva così.

Tocca a lui fare la doccia, ma prima finisce la sigaretta, mangia il panino con la mortadella che, di nascosto, gli ho dato per la seconda volta. Poi, pulito, si siede sotto al colonnato di San Pietro e passa il tempo: lo spreca, perché non sa cosa fare. Dice di aver parlato con il cardinale, vuole fare il volontario alle docce… in cuor mio lo spero. Non voglio che lui sia come Ruben, che aveva il covid, che è stato ricoverato al San Camillo e che poi è scappato. L’ho rincontrato alle docce, non si ricordava di me.

La prima lezione che ho avuto dallo sguardo di un povero è che puoi anche non lasciare un segno. Ma che lo sguardo che tu hai incrociato te lo lascia per sempre.

Una volontaria del servizio docce
dell’Elemosineria Apostolica