DONNE CHIESA MONDO

LeStorie
Lisa Clark, premio Nobel, in prima linea contro le guerre

La pace va costruita, solo così regge

 La pace va costruita, solo così regge  DCM-002
04 febbraio 2023

È stata la guerra di Bosnia a consegnare a Lisa Clark, interprete di conferenze internazionali, la missione della pace. Racconta: «Conoscevo abbastanza bene la Jugoslavia e parlavo un po’ la lingua. Durante le primissime settimane di conflitto, presi la macchina e andai in Croazia, da sola. Tornai dopo 5 o 6 giorni e non avevo capito niente: la Jugoslavia è finita, dicevo, ma no, non arriveranno a uccidersi… E invece… Così, quando Beati i Costruttori di Pace ha lanciato le iniziative per la Bosnia, ho cominciato a impegnarmi. Perché mi stava a cuore, quel Paese tutto intero che per me era la Jugoslavia. Non dimentico il 7 dicembre del 1992: la marcia dei 500 a Sarajevo, con i vescovi Luigi Bettazzi e don Tonino Bello, nelle ultime settimane della sua vita».

Da allora, Lisa Clark, americana di Los Angeles di base a Firenze, è impegnata al fianco delle popolazioni nei territori sconvolti dalle guerre, convinta che «è dalla prospettiva di chi riceve le pallottole, che si capisce meglio come impegnarsi contro la guerra, contro la prepotenza dei più forti e la negazione dei diritti dei deboli».

Ha vissuto nella Sarajevo sotto assedio (1993-1995), promuovendo reti di collegamento e solidarietà nella città e tra le persone separate dai fronti.

Poi in altre aree della Bosnia e nel Kosovo. Ha partecipato a missioni di osservazione dei diritti umani ed elettorali in Palestina, Albania e Chiapas. Ha coordinato la missione della società civile per le prime elezioni democratiche nella Repubblica Democratica del Congo e accompagnato missioni istituzionali in Eritrea, Etiopia, Somalia, Kenya. È vicepresidente di Beati i Costruttori di Pace, referente per il disarmo nucleare della Rete Italiana Pace e Disarmo, rappresentante italiana di Ican-Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari, con cui ha ricevuto il Nobel per la Pace nel 2017, e co-presidente dell’International Peace Bureau, che il Nobel lo ha ricevuto. nel 1910.

Fa una premessa, parlando di pace: «Non sono pregiudizialmente contro l’uso delle armi o della forza militare. Sono scandalizzata dal fatto che abbiamo permesso alle istituzioni dei Paesi europei di aggregarsi a una nozione che viene dal mio Paese di origine, gli Stati Uniti: che solo la forza militare può risolvere le situazioni. Io proprio non ci sto».

Anche sull’Ucraina, dice: «Non condanno come un peccato mortale l’invio di armi difensive, i razzi che abbattono gli aerei o i missili in arrivo; penso che sia accettabile in questa situazione». Ma aggiunge: «Trovo scandaloso che manchi tutto il resto e che questo abbia influito sul discorso pubblico. Trovo sconvolgente che vada per la maggiore, anche in Italia, il pensiero: ma che si deve fare contro chi ti aggredisce?! Certo, ci si difende, su questo non ci sono dubbi… Però, non vanno ignorati i segnali che indicano una volontà di resistere anche con sistemi che aprano al dialogo».

Per questa, e per tutte le altre guerre, va fatto «ciò che abbiamo sempre fatto: creare reti di amicizia, costruire ponti e non muri. È un percorso che non sempre porta rapidamente alla soluzione che vorremmo: la guerra è più rapida, più tempestiva, di quanto lo sia la costruzione della pace. Solo che, una volta costruita, la pace regge».

E se non regge? Vediamo guerre che non finiscono mai. Lisa Clark è convinta: «Non regge quando si chiama pace semplicemente la sconfitta militare di una parte. Per me, quello che c’è oggi in Bosnia non è pace. Il peccato mortale dell’accordo del ’95 a Dayton [che pose ufficialmente fine alle ostilità, ndr] fu riconoscere le conquiste e i confini dettati dalle armi. Quando parti dall’idea che devi dividere una comunità, perché la convivenza non è una cosa possibile, allora anche la pace è impossibile, perché la pace è convivenza».

E’ il problema dei negoziati. Come si fanno? «Non tutto - dice Lisa Clark - dev’essere deciso al primo incontro; e non tutto dev’essere deciso subito, ora, adesso. Anzi, bisogna darsi tempo, coinvolgere tutte le parti in causa, l’ho sperimentato nella Repubblica Democratica del Congo. Avere delle modalità di avvicinamento è essenziale nel costruire la pace. Tra Russia e Ucraina, gli scambi di prigionieri sono stati dei segnali, l’accordo sul grano è stato un segnale. In inglese le chiamiamo confidence building measures, misure che costruiscono fiducia. Ma l’essenziale, per sedersi a un tavolo, è il cessate il fuoco».

Quando a Ican fu assegnato il Nobel per la pace, Lisa Clark parlò di «una vittoria per la società civile: siamo noi che possiamo costringere i nostri Stati a scegliere cosa è eticamente e moralmente accettabile e cosa non lo è». E questa è quella parte della missione che si può svolgere in casa propria: «Fare azione nella popolazione affinché tutti si rendano conto, abbiano voglia di informarsi e non si rassegnino al fatto che la guerra è una cosa terribile ma c’è sempre stata… Però dobbiamo anche fare attenzione. Un pochino i miei amici congolesi, per esempio, si adagiano sul fatto che tutto dipende dall’ingordigia che viene da fuori, ma non è esattamente cosi: in molti Paesi c’è tanta corruzione».

di Federica Re David