DONNE CHIESA MONDO

LaChiesa
La riforma della Curia romana letta da una canonista

Conversione missionaria

 Conversione missionaria  DCM-002
04 febbraio 2023

Dal giorno di Pentecoste 2022 è effettiva la riforma della Curia romana, precedentemente disciplinata dalla Costituzione Pastor Bonus del 1988. Notevoli sono i punti di novità, sebbene alcune trasformazioni fossero già avvenute di fatto nel corso degli anni. Il nuovo assetto della Curia risulta più compatto e lineare, le materie precedentemente divise tra Congregazioni e Pontifici Consigli sono ora ricondotte a Dicasteri, alcuni dei quali presentano denominazioni inedite. Sarebbe però riduttivo cogliere il senso della riforma solo sul piano della funzionalità organizzativa. Il titolo stesso della Costituzione apostolica di Papa Francesco fornisce la chiave di interpretazione e la direzione che viene impressa al lavoro della Curia romana: Praedicate Evangelium. Tutto quel complesso di organismi, che costituisce la massima espressione della dimensione istituzionale della Chiesa universale, trova il suo senso e il suo scopo nel servire l’Evangelo. Non a caso il primo Dicastero è quello dell’Evangelizzazione, presieduto direttamente dal Pontefice e diviso in due sezioni: quella per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo e quella per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari. L’evangelizzazione consiste essenzialmente nel testimoniare in parole e opere la misericordia che la Chiesa e ciascuna persona battezzata ha ricevuto. Questo implica che la Chiesa tutta è costantemente impegnata in un processo di conversione missionaria per lasciarsi rinnovare e plasmare dalla misericordia di Dio.

La missione è strettamente congiunta alla comunione: scopo della missione è proprio rendere ogni persona partecipe della comunione che Dio ha voluto con l’umanità entrando in questa storia e in questo mondo. Occorre superare alcuni schematismi ecclesiologici e pastorali secondo cui si dovrebbe curare prima la comunione ad intra, per poter poi annunciare il Vangelo ad extra. Dovremmo abbandonare questo schematismo dualista, perché in realtà possiamo realizzare una comunione vitale soltanto se viviamo come “Chiesa in uscita”, in stato di costante conversione missionaria. Come ogni fedele, così ogni struttura ecclesiale, compresa la Curia romana, ha bisogno di lasciarsi evangelizzare, e questa conversione è per sua natura missionaria, come quella vissuta dagli Apostoli a Pentecoste.

La comunione vissuta dona alla Chiesa il volto della sinodalità, dell’ascolto reciproco e dell’accoglienza inclusiva. La Curia romana, vivendo la stessa dinamica comunionale e missionaria di ogni realtà ecclesiale, realizza in concreto la sinodalità come stile, metodo e forma delle relazioni ecclesiali. Per questo la Curia delineata dalla riforma di Papa Francesco è in rapporto organico non solo con il Papa, ma con il Collegio dei Vescovi e con i singoli Vescovi, e anche con le Conferenze episcopali e le loro Unioni regionali e continentali, e le Strutture gerarchiche orientali: essa cioè non si colloca tra il Papa e i Vescovi, piuttosto si pone al servizio di entrambi e delle strutture intermedie di comunione e collegialità, poiché la Chiesa universale è data dalla comunione delle Chiese particolari.

Il vescovo di Roma, quale garante e custode dell’unità delle Chiese, ha il compito immane di governare la Chiesa universale; la Curia romana, secondo antichissima tradizione, esiste proprio per permettere ai Papi l’esercizio del loro potere primaziale. Da questo discende l’indole vicaria del potere della Curia, per cui ogni Istituzione curiale, e ogni persona che in essa riceve un incarico o un ufficio, esercita il potere non in proprio, ma in nome del Pontefice. L’attuale riforma realizza in modo compiuto tale principio, essendo ormai chiaro che ogni battezzata e ogni battezzato possono essere investiti del potere di governo annesso all’ufficio, sulla base della abilitazione sacramentale ricevuta nel battesimo e in ragione della loro specifica competenza in materia. Viene quindi esplicitato, a scanso di interpretazioni restrittive, che qualunque fedele può presiedere un Dicastero o un Organismo. Saranno i Pontefici, nel procedere alle nomine, a discernere i criteri di rappresentatività delle persone a cui affidare gli incarichi in base al genere, alla appartenenza linguistica, culturale e rituale, allo stato di vita e alla vocazione personale. Negli ultimi anni abbiamo già assistito a un timido incremento della presenza di laici e laiche in ruoli apicali; a questo proposito, alcune dichiarazioni di esperti che si sono affrettati a distinguere le materie adatte a laici e laiche dai Dicasteri che dovrebbero continuare ad essere guidati esclusivamente da chierici, oltre a non trovare supporto nella Costituzione Praedicate Evangelium, costituiscono una mancanza di rispetto per la potestà piena, suprema, immediata e universale del Papa, che nomina chi vuole, senza altri vincoli se non quelli derivanti dal discernimento delle esigenze del Vangelo e della comunione.

La riforma sarà reale e possibile se germoglierà dalla conversione interiore ad accogliere il paradigma del buon Samaritano, che sa deviare dal suo cammino per prendersi cura dell’umanità ferita, volto di Cristo.

di Donata Horak
Teologa, docente di Diritto Canonico presso lo studio teologico Alberoni di Piacenza