A colloquio con suor Rita Mboshu Kongo che sarà nel seguito papale

Per denunciare il male
e annunciare la speranza

 Per denunciare il male  e annunciare la speranza  QUO-024
30 gennaio 2023

Alla rivista spagnola Mundo Negro, il Papa, parlando di lei, ne ha lodato l’impegno per la comunità congolese a Roma: «Insegna all’università, ma comanda come se fosse un vescovo». Suor Rita Mboshu Kongo, religiosa congolese delle Figlie di Maria ss. Corredentrice, missionaria, teologa, fautrice del rito zairese e impegnata a Kinshasa in progetti di sviluppo per le donne, scoppia in una fragorosa risata: «Il vescovo, sì, perché la missione del vescovo è servire la Chiesa, diocesana e universale. Non comandare e dare ordini, ma dire agli altri “alziamoci, camminiamo insieme”». E proprio per «imparare come servire la Chiesa», la suora partirà domattina nel seguito del Papa per il viaggio in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan: «Con il Santo Padre sto imparando qual è la mia missione nella Chiesa come donna, come consacrata, come africana».

Un Papa, dopo 37 anni, torna nella Repubblica Democratica del Congo. Che significato ha questa visita per lei e per i congolesi, suor Rita?

Papa Francesco per noi è un missionario instancabile, un evangelizzatore patentato, che va nel nostro Paese a pregare con i congolesi e per i congolesi. È come un padre che ha ascoltato il grido e il pianto dei suoi figli, e dice: «Non mollate, continuate, Dio è con voi». Per noi cattolici, il vero (ma non l’unico) significato della visita è anzitutto confermare i credenti nella fede. Certo, lo sappiamo, c’è un risvolto politico e sociale, nel senso che il Papa si rivolge anche alle persone di buona volontà, agli attori politici che hanno la missione di curare la cosa pubblica, affinché mettano al centro delle loro scelte le persone umane, evitando discriminazioni razziali, tribali e religiose.

La Repubblica Democratica del Congo ha registrato una nuova recrudescenza delle violenze. L’arrivo del Papa può essere un contributo per una pace duratura o almeno una tregua momentanea? Oppure le ferite sono così profonde che è difficile anche solo sperare nella pace?

Dice bene, le ferite sono profonde. Ci sono criminali che continuano ad ammazzare gente innocente senza pietà. Ci sono persone senza scrupoli che vogliono accaparrarsi minerali strategici per le nuove tecnologie del futuro. Ci sono giovani il cui futuro è oramai compromesso perché sotto armi e droghe provenienti dai Paesi altamente democratici. Papa Francesco va quindi a denunciare e annunciare: denunciare il male, in modo che chi fomenta le guerre possa rinunciare ai progetti diabolici, e annunciare Gesù Cristo, luce del mondo. Non è un viaggio che rimarrà senza frutto. No, no, no. Forse i malvagi continueranno, ma il Signore lavora nelle coscienze ed è capace di arrivare dove gli uomini non arrivano. La presenza del Papa è un modo per dire «guardiamoci in faccia, con la guerra non si arriva da nessuna parte. Cercate di lavorare bene, di condividere le ricchezze, di aiutare pure i poveri». Il Santo Padre certamente spera in una pace duratura. Ma la pace è possibile se i protagonisti di questa strage inutile, che è la guerriglia, decidono di uscire dalle tenebre in cui vivono, per fare spazio alla luce ed operare il bene. Insomma, la pace è possibile se c’è una vera conversione.

Il Papa la porterà con sé nel suo seguito, insieme ai suoi principali collaboratori. Che effetto le fa?

Credo che ciò che ha spinto il Santo Padre a chiamarmi è che ha visto in me una figlia che deve imparare come vivere e servire accanto a suo padre. Come, cioè, devo comportarmi da religiosa, da missionaria, da donna, da africana, nella Chiesa universale. Qui a Roma svolgo una missione nella mia comunità congolese e anche nella mia congregazione. Quindi il Papa mi porta con sé per dire: «Guarda, figlia, come mi comporto, è così che tu devi fare con i tuoi fratelli e le tue sorelle». Ho tanto da imparare...

In tema di servizio, lei fa la spola tra Roma e Kinshasa per progetti a favore soprattutto delle donne. Come la Fondazione Papa Francesco per l’Africa, nata l’anno scorso. Quali risultati avete ottenuto da queste iniziative?

La Fondazione è una piccola goccia nell’oceano ma cerchiamo di fare tante cose per la cura integrale della persona. Per aiutare le donne, ma anche i ragazzi, le famiglie, ad essere consapevoli che sono creati a immagine di Dio e che non devono vivere come vermi. Nella Fondazione le cose stanno andando bene: abbiamo acquistato una piccola casa adesso in riparazione per mettere in piedi un atelier. Fino all’anno scorso lavoravamo in una parrocchia, senza una sede. Con la grazia di Dio abbiamo trovato questo luogo e le ragazze possono lavorare serene. È un’esperienza di speranza e le donne sono tutte cambiate: le farei vedere le foto di quando sono arrivate e, dopo un anno, come sono diventate. I risultati per ora sono discreti, nel senso che abbiamo da poco iniziato, ci vorranno anni per fare dei bilanci. Ma da questo punto di vista, è tutto grandioso.

di Salvatore Cernuzio


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