La testimonianza di suor Elena Balatti, coordinatrice della Caritas diocesana di Malakal

Speranza in un futuro migliore

 Speranza in un futuro migliore  QUO-023
28 gennaio 2023

«Che tutti siano uno». La frase del Vangelo di Giovanni campeggia su centinaia di manifesti appesi nelle principali città del Sud Sudan dove Papa Francesco è atteso dal 3 febbraio dopo aver visitato la Repubblica Democratica del Congo. Quelle parole accostate alla foto del Pontefice e al disegno di una colomba, la dicono lunga sull’attesa e sulle aspettative che questa visita sta suscitando nella popolazione locale. «I sudsudanesi hanno ancora ben presente l’immagine del Papa che si inginocchia e bacia i piedi dei politici di Juba dopo aver chiesto loro, “come fratello”, di “rimanere nella pace” — spiega Elena Balatti, suora comboniana, coordinatrice dell’Ufficio per lo Sviluppo umano integrale (Caritas) nella diocesi di Malakal — quel gesto fortissimo è per i sudsudanesi importante perché vedono nel Pontefice un leader che lotta al loro fianco per la pacificazione del Paese».

La pace è un sogno per il Sud Sudan. Paese nato nel 2011 dalla secessione consensuale dal Sudan, ha sempre vissuto nell’instabilità a causa di continui conflitti di potere, spesso a carattere etnico. Ciò ha provocato una profonda instabilità che ha impoverito la società locale. «Dove non c’è sicurezza — continua suor Elena — è difficile avviarsi su una strada di sviluppo. L’anno scorso, per esempio, nella regione dell’Alto Nilo sono scoppiati combattimenti che hanno impedito ai contadini di mietere quanto avevano seminato. Quei raccolti o sono andati persi o sono stati saccheggiati e gli agricoltori hanno perso tutto. Impoverendosi».

Non sono solo i conflitti a danneggiare il Paese. Il Sud Sudan, come molte altre nazioni del Corno d’Africa, ha subito molto forte l’impatto dei cambiamenti climatici. Un tempo le piene del Nilo erano concentrate in alcune zone e in alcuni periodi dell’anno. Erano attese e benedette dai contadini che vedevano i loro campi fertilizzati naturalmente. «Negli ultimi tre anni — osserva suor Elena — il livello delle acque del Nilo si è alzato. Le inondazioni sono molto forti e hanno invaso territori sempre più vasti che si sono trasformati in acquitrini. La gente che viveva sulle sponde del grande fiume ora ha paura delle alluvioni e si ritira in zone più elevate per mettersi in sicurezza».

L’instabilità e le alluvioni stanno provocando enormi sfollamenti. Decine di migliaia di persone cercano rifugio in campi profughi sempre più grandi. Qui uomini, donne e bambini sopravvivono con le risorse garantite loro dalle organizzazioni internazionali, ma senza potersi costruire un futuro dignitoso e un riscatto dalla povertà. «Il 2022 — osserva suor Elena — è stato durissimo. Tra alluvioni, raid di milizie, tensioni politiche e sociali non c’è stato un momento di tregua. La gente è esausta e cerca la pace e la tranquillità».

Nella situazione di crisi generale, alla Caritas arrivano numerose richieste di aiuto e si cerca di rispondere al meglio alle esigenze, anche se l’impegno è consistente. «Come Caritas Malakal — osserva suor Elena — abbiamo in primis lavorato per rispondere all’emergenza sociale, attraverso la distribuzione di aiuti alimentari per gli sfollati. Grazie a gruppi Caritas di altre nazioni siamo riusciti anche a dare assistenza agli sfollati donando loro materiali che servono loro per costruire ripari provvisori in attesa di sistemazioni più stabili. In questa stagione fredda siamo poi riusciti a procurarci fondi per acquistare coperte per aiutare la gente in questa difficile situazione».

Nel 2022, Caritas Malakal aveva nei propri piani la diminuzione degli aiuti diretti di emergenza e la crescita dell’aiuto indiretto per la sicurezza alimentare. «È meglio, come dice l’antico proverbio, donare una canna da pesca piuttosto che un pesce, in modo tale che la persona possa diventare autonoma — spiega suor Elena — abbiamo quindi lanciato alcuni programmi, soprattutto in campo agricolo. Ci siamo riusciti solo parzialmente perché i fondi sono stati in parte devoluti ai piani di emergenza. Comunque Caritas intende, in futuro, investire una maggiore quota degli aiuti per favorire lo sviluppo aiutando contadini e pescatori donando loro gli strumenti per coltivare e pescare».

In questo contesto, i rapporti tra le varie confessioni sono buoni. Con il Consiglio ecumenico delle Chiese «le relazioni sono buone — sottolinea suor Elena — ma anche i rapporti con la piccola comunità musulmana sono positivi. Sotto questo profilo c’è grande collaborazione e questo ci fa ben sperare». Il segno di questa collaborazione è il fatto che Papa Francesco visiterà il Sud Sudan insieme a Ian Greenshields, moderatore dell’assemblea generale della Chiesa di Scozia, e a Justin Welby, arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana. «Il fatto che il Papa e il primate anglicano vengano insieme — commenta suor Elena — è un evento di portata storica. Questa visita pastorale a cinquecento anni dallo scisma ha una valenza importante perché segnala, da un lato, l’ottima collaborazione tra le due Chiese e, dall’altro, il desiderio di lanciare un messaggio comune di pace».

La Chiesa cattolica, da tempo, si sta preparando a questo evento epocale. «Le comunità a tutti i livelli — conclude suor Elena — hanno tenuto sessioni di preghiera affinché l’arrivo di Papa Francesco porti frutti spirituali e dia il via a un cammino di pace. Negli ultimi giorni poi le parrocchie si stanno organizzando per raccogliere fondi e mandare i propri fedeli all’incontro con il Pontefice. Qui l’attesa è grande. Il Papa incarna la speranza di un futuro migliore».

di Enrico Casale