Bisogna parlare ai giovani dell’Olocausto

 Bisogna parlare ai giovani dell’Olocausto  QUO-022
27 gennaio 2023

Sono passate quasi quattro generazioni dalla Shoah e dalla Seconda guerra mondiale. Bisogna quindi parlare ai giovani della Shoah affinché il tempo non cancelli i segni di questa tragedia. In questo contesto sono molto importanti le parole di Papa Francesco pronunciate durante l’udienza generale di mercoledì 25 gennaio: «Il ricordo di quello sterminio di milioni di persone ebree e di altre fedi non può essere né dimenticato né negato». Per realizzare il messaggio del Santo Padre dobbiamo, da un lato, trasmettere la conoscenza e creare uno spazio per una riflessione approfondita e, dall’altro, permettere ai giovani di trovare il proprio modo di commemorare la Shoah.

La Giornata internazionale di commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto è stata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite in occasione dell’anniversario della liberazione del campo di concentramento nazista e di sterminio di Auschwitz-Birkenau (27 gennaio 1945). Questo luogo ci riempie di orrore ancora oggi. Ci riempie di orrore per la portata del crimine e le sue motivazioni. Lo sterminio pianificato degli ebrei, da parte dei tedeschi nazisti durante la Seconda guerra mondiale, è un crimine contro l’unico e vero Dio e contro il suo popolo. Va inoltre ricordato che un destino altrettanto tragico è toccato al popolo ebraico nei campi di concentramento di Treblinka, Sobibór, Majdanek, Belzec e in altri luoghi.

Nel 1939 in Europa vivevano circa dieci milioni di ebrei. Il Paese in cui, in percentuale, ce n’era il numero maggiore era la Polonia con circa 3 milioni. Quando la Germania nazista invase la Polonia nel 1939 e ne occupò le terre fino alla fine della guerra nel 1945, fu proprio sul suolo polacco che decise di istituire campi di concentramento e di sterminio. Questi campi divennero luogo di esecuzione e di omicidio di massa di persone di origine ebraica, provenienti dalla Polonia e da molti altri Paesi europei, oltre che di rappresentanti di altre nazioni. L’obiettivo del nazismo tedesco era la completa eliminazione del popolo ebraico. Altri popoli indesiderati, destinati all’annientamento, erano i sinti, i rom e i polacchi.

Nella documentazione della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo della Santa Sede Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah si legge che l’ideologia nazionalsocialista «rifiutò di riconoscere qualsiasi realtà trascendente quale fonte della vita e criterio del bene morale. Di conseguenza, un gruppo umano, e lo Stato con il quale esso si era identificato, si arrogò un valore assoluto e decise di cancellare l’esistenza stessa del popolo ebraico, popolo chiamato a rendere testimonianza all’unico Dio e alla legge dell’alleanza. A livello teologico non possiamo ignorare il fatto che non pochi aderenti al partito nazista non solo mostrarono avversione all’idea di una divina provvidenza all’opera nelle vicende umane, ma diedero pure prova di un preciso odio nei confronti di Dio stesso. Logicamente, un simile atteggiamento condusse pure al rigetto del cristianesimo e al desiderio di vedere distrutta la Chiesa o per lo meno sottomessa agli interessi dello stato nazista. Fu questa ideologia estrema che divenne la base delle misure intraprese, prima per sradicare gli ebrei dalle loro case e poi per sterminarli. La Shoah fu l’opera di un tipico regime moderno neopagano. Il suo antisemitismo aveva le proprie radici fuori del cristianesimo e, nel perseguire i propri scopi, non esitò a opporsi alla Chiesa perseguitandone pure i membri […]. Sfortunatamente, i governi di alcuni Paesi occidentali di tradizione cristiana, inclusi alcuni del Nord e Sud America, furono più che esitanti ad aprire i loro confini agli ebrei perseguitati. Anche se non potevano prevedere quanto lontano sarebbero andati i gerarchi nazisti nelle loro intenzioni criminali, i capi di tali nazioni erano a conoscenza delle difficoltà e dei pericoli a cui erano esposti gli ebrei che vivevano nei territori del Terzo Reich. In quelle circostanze, la chiusura delle frontiere all’immigrazione ebraica, sia che fosse dovuta all’ostilità antigiudaica o al sospetto antigiudaico, a codardia o limitatezza di visione politica o a egoismo nazionale, costituisce un grave peso di coscienza per le autorità in questione».

Segno eloquente sono state le visite e la commemorazione delle vittime dell’ex campo di concentramento e sterminio nazista tedesco di Auschwitz-Birkenau da parte di tre pontefici. San Giovanni Paolo ii , quando andò ad Auschwitz nel 1979 durante il suo primo pellegrinaggio in patria, invitò le persone a tornare a Dio e ai suoi comandamenti affinché la tragedia della Shoah non si ripeta mai più. Nel 2006 Papa Benedetto xvi ad Auschwitz ha smascherato il piano criminale, affermando che le autorità del Terzo Reich, da criminali spietati, annientando il popolo ebraico intendevano uccidere il Dio che aveva chiamato Abramo. «Con la distruzione di Israele, con la Shoah, volevano, in fin dei conti, strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell’uomo, del forte», aveva affermato il Santo Padre. Papa Francesco, visitando il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau nel 2016 ha pregato in silenzio. Il suo commovente silenzio è stato un appello alla pace, altrettanto necessaria ai giorni nostri.

Al contempo occorre sottolineare che nel 2016 un numero record di giovani ha visitato il Museo di Auschwitz, grazie ai gruppi che hanno partecipato alla Giornata mondiale della gioventù a Cracovia. È un esempio per il futuro che indica che i giovani che partecipano agli eventi organizzati dalla Chiesa possono visitare anche i luoghi del martirio del popolo ebraico.

La Giornata internazionale di commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto ci invita a riflettere, pregare, ricordare e agire concretamente per la pace, la riconciliazione e la conversione dei cuori al Dio di Israele e al nostro Dio. Guardando al futuro delle relazioni tra ebrei e cristiani, in primo luogo chiediamo ai nostri fratelli e sorelle cattolici di rinnovare la consapevolezza delle radici ebraiche della loro fede. Chiediamo loro di ricordare che Gesù era un discendente di Davide; che dal popolo ebraico nacquero la Vergine Maria e gli Apostoli; che la Chiesa trae sostentamento dalle radici di quel buon ulivo a cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico dei gentili (cfr. Romani, 11, 17-24); che gli ebrei sono nostri cari e amati fratelli, e che, in un certo senso, sono veramente i «nostri fratelli maggiori» (Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo della Santa Sede, Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah).

di Stanisław Gądecki
Arcivescovo presidente della Conferenza episcopale polacca